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La Politica Estera Italiana di Aldo Moro

  • 8 mar 2021
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 24 mar 2021

1. Introduzione


La rilevanza della politica estera italiana negli anni del dopoguerra è riconducibile alle azioni di una ristretta cerchia di politici. Il filo conduttore delle iniziative di governo su temi esteri fu sicuramente l’apertura nei confronti del mondo arabo che venne strategicamente promossa dallo statista democristiano Amintore Fanfani in contesti internazionali quali la contesa per la navigazione del canale di Suez. Nel succedergli, Aldo Moro fu deciso a portare avanti il suo operato, ponendosi come sostenitore di una politica estera filoaraba e aperta al dialogo con il blocco di paesi sovietici. Per comprendere appieno l’evoluzione della politica estera italiana negli anni 60’ e 70’, verrà quindi presentata la figura di Aldo Moro. In particolare, la presente analisi si focalizzerà sulla sua eredità intellettuale e politica e analizzerà le caratteristiche principali della linea di politica estera di quegli anni.


2. Accenni biografici


Aldo Moro nasce il 23 settembre 1916 a Maglie, in provincia di Lecce. Nel 1938 si laurea in giurisprudenza presso l’Università di Bari e viene, nello stesso anno, nominato assistente alla cattedra di Diritto e procedura penale. Agli esordi della sua carriera, Moro si dedicò quasi interamente ad attività di natura accademica, ricoprendo ruoli di professore ordinario in numerosi atenei italiani. Fu infatti docente di Filosofia del Diritto e di Storia e Politica Coloniale all’Università di Bari dal 1941 al 1963, per poi accettare la cattedra di Istituzioni di Diritto e Procedura Penale presso La Sapienza di Roma. Parallelamente all’attività squisitamente accademica, Moro fondò insieme ad alcuni colleghi la rivista «La Rassegna»[1] e contribuì all’attività radiofonica di Radio Bari. Inoltre, grazie al suo riconosciuto talento accademico e alla sua indole ricercatrice, Aldo Moro scrisse numerose pubblicazioni sul diritto penale e sulla filosofia del diritto, analizzando ad esempio il concetto di subiettivazione della norma penale (1942), di capacità giuridica penale (1938) e la natura giuridica della ‘exceptio veritatis’ (1954).


3. Gli esordi politici


L’interesse di Aldo Moro per la politica si sviluppò a partire dal 1943, anno in cui iniziò a collaborare con alcuni esponenti democratici cristiani che si opponevano al regime fascista, tra cui Alcide de Gasperi, Mario Scelba, Giovanni Gronchi e Amintore Fanfani. Il 19 marzo dello stesso anno, il gruppo fondò la Democrazia Cristiana (DC) con l’intento di promuovere una linea politica moderata, cristiana e antifascista. Inizialmente Moro si unì alla fazione di sinistra guidata dal vicesegretario Giuseppe Dossetti, di cui diventò un fidato alleato.


Nel 1946, alla giovanissima età di trent’anni, fu nominato vicepresidente della DC e membro dell’Assemblea Costituente presso cui contribuì alla stesura della Costituzione italiana insieme alle maggiori figure politiche del dopoguerra. In particolare, svolse il ruolo di relatore per la sezione relativa ai diritti del cittadino. Il 23 maggio 1948 fu eletto deputato della circoscrizione di Bari-Foggia e sottosegretario al Ministero degli Affari Esteri nel corso del quinto governo De Gasperi.


Tuttavia, dopo il ritiro dalla DC del fidato collega Dossetti, Moro contribuì alla formazione della corrente demo-cristiana Iniziativa Democratica, guidata dal collega Amintore Fanfani. Successivamente, nel 1953 ricevette la nomina di deputato alla Commissione Giustizia della Camera e di presidente del Gruppo parlamentare della DC.


Negli anni in cui la Democrazia Cristiana poteva contare sull’appoggio indiscusso dei suoi elettori, Aldo Moro fu eletto due volte a capo del Ministero della Pubblica Istruzione[2] e Ministro di Grazia e Giustizia per il governo Segni. Nel 1959, alla giovane età di quarantatré anni, diventa segretario della DC e decide di portare a termine il processo di apertura a sinistra iniziato dal predecessore Fanfani.


4. Il centro-sinistra di Aldo Moro


Negli anni dal 1963 al 1978, lo statista pugliese fondò ben cinque governi mantenendo una linea politica di centro-sinistra e avvalendosi dell’appoggio della DC, del Partito Socialista Italiano, del Partito Repubblicano Italiano minore e del Partito Socialista Democratico Italiano.[3]


In veste di Primo Ministro, Aldo Moro realizzò una vasta gamma di riforme sociali ed economiche tra cui è doveroso citare l’istituzione della regione Molise come ventesima regione d’ Italia, la ‘Legge Ponte’ del 1967 che introdusse l’obbligatorietà di standard minimi per l’edilizia abitativa e l’ambiente, la legge sull’introduzione dell’educazione pre-elementare pubblica volontaria per i bambini dai 3 ai 5 anni e la legge sull’estensione della previdenza sociale (1965). Inoltre, venne introdotta la pensione sociale e la pensione di anzianità, la quale permetteva ai lavoratori di andare in pensione dopo 35 anni di contributi anche prima di aver raggiunto l’età pensionabile. Infine, Moro fece innalzare il salario minimo di legge ed estendere l’assicurazione sanitaria a disoccupati, ai mezzadri e ai commercianti in pensione.


5. La politica estera di Moro


Sebbene nei primi anni di attività politica non mostrò un interesse particolare per gli affari internazionali, Moro decise di allontanarsi presto dalle posizioni isolazioniste e neutrali di Dossetti in favore di una più ampia visione della politica estera mirata all’apertura nei confronti del mondo arabo e del blocco sovietico. In veste di capo di governo Moro ha dimostrato di essere consapevole di quanto fosse importante per l’Italia avere un piano di politica estera pragmatico e indirizzò i suoi ministri degli Affari Esteri affinché lavorassero per favorire il processo di integrazione europea, in quegli anni minacciato da controversie interne tra il blocco di paesi comunisti e l’Occidente.


5.1 I rapporti con il Medio Oriente


Riguardo ai rapporti con il Medio Oriente, lo statista pugliese decise di perseguire un disegno politico in continuità con quello del predecessore Fanfani, adottando una posizione filoaraba con la speranza di aumentare la propria sfera di influenza politica ed economica in Medio Oriente. In diverse occasioni Moro stesso assunse il ruolo di interlocutore europeo e intraprese diversi viaggi in Medio Oriente e nell’Africa sub-sahariana nel tentativo di rinforzare i legami con il mondo arabo e di difendere la causa nazionale palestinese. La volontà di aprirsi al dialogo euro-arabo si rese altresì necessaria con lo scoppio della crisi petrolifera e la comparsa della minaccia terroristica in Italia da parte di gruppi palestinesi. Infatti, l’aggravarsi della minaccia terroristica spinse Moro a stringere un patto segreto, conosciuto come Lodo Moro (1972-1973), che concedeva libertà alle forze palestinesi di muoversi nel territorio italiano e utilizzarlo per il trasporto di armi in cambio della promessa che in Italia non ci sarebbero stati più attentati terroristici.


5.2 La Dichiarazione di Helsinki


In occasione della sua nomina a Presidente del Consiglio delle Comunità Europee (CCE), Aldo Moro espose l’idea di una Conferenza per la sicurezza e la cooperazione nell’area mediterranea con l’obiettivo di attenuare le tensioni causate dalla guerra fredda e promuovere lo sviluppo economico-sociale dei popoli della comunità europea. La proposta di Moro diede vita ad un lungo dialogo tra stati che si concluse il 1° agosto 1975 con la consegna dell’Atto finale di Helsinki (o Dichiarazione di Helsinki), un documento formale che riconosceva l’inviolabilità dei confini nazionali, l’eguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione dei popoli e ribadiva l’obbligo dei paesi europei di risolvere i conflitti in modo pacifico. Il documento riscosse un notevole successo internazionale con trentacinque stati firmatari, inclusi gli USA e l’URSS, e costituì un primo passo per la creazione dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE).


5.3 Il Trattato di Osimo

Figura 1

Quando si parla di Trattato di Osimo ci si riferisce all’accordo siglato il 10 novembre 1975 nella cittadina di Osimo (Ancona) che pose fine al contenzioso tra Italia e Jugoslavia originatosi dopo il secondo conflitto mondiale riguardante la cessione dei territori della ‘zona B’ a sud di Trieste. Le tensioni tra Italia e Jugoslavia vennero appianate quando, dopo aver fallito nel tentativo di istituire un Territorio Libero di Trieste (TLT),[4] i rispettivi paesi firmarono il Memorandum di Londra (1954), un accordo che stabiliva la divisione dell’area in una zona A, amministrata civilmente dall’Italia, e in una zona B, guidata da Belgrado(Figura 1).


Tuttavia, l’intesa raggiunta con il Memorandum di Londra era solo apparente e di questo ne erano fermamente convinti Aldo Moro e altri leader socialdemocratici i quali decisero, nel 1975, di porre fine al conflitto territoriale firmando in gran segretezza il Trattato di Osimo. Nonostante l’opposizione dell’opinione pubblica e dei ministri degli Affari Esteri italiano e jugoslavo, Moro riteneva che la sistemazione territoriale fosse ormai non modificabile e che giungere ad un accordo avrebbe favorito le manovre di politica interna e rafforzato i legami con Belgrado. Sul piano di politica interna, infatti, l’apertura verso paesi sovietici consolidò l’alleanza dei democristiani con i socialisti e favorì il coinvolgimento del Partito Comunista Italiano negli affari di politica estera. Inoltre, la linea di politica estera portata avanti dal governo Moro (Ostpolitik italiana)[5] fu di fatto una scelta strategica che non solo permise di risolvere la questione adriatica in modo pacifico, ma consentì anche all’Italia di consolidare i propri confini orientali, arginando così i problemi interni al regime di Belgrado e ottenendo un chiaro vantaggio economico e politico.

6. Conclusione


Sulla base di quanto emerso dalla seguente analisi, gli anni ’70 furono caratterizzati da gravi crisi internazionali e tensioni interne di natura non solamente economica, ma soprattutto politica e sociale. In veste di capo di governo e ministro per gli Affari Esteri, Aldo Moro intraprese una linea di politica estera pragmatica e intraprendente, ponendosi come iniziatore della ‘fase mediterranea’ e rivendicando lui stesso il ruolo di mediatore sullo scenario internazionale nelle situazioni più delicate, talvolta evitando che queste avessero ripercussioni catastrofiche per la politica interna italiana.


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Note

[1] La rivista venne fondata nel 1943. [2] La prima volta per il governo demo-cristiano di Adone Zoli (1957) e la seconda nel corso del secondo governo di Amintore Fanfani (1958). [3] Coalizione anche conosciuta come Organic Center-left, caratterizzata da tendenze consociazioniste e social corporatiste. [4] Accordi di Parigi del 1947. [5] Termine usato nella storiografia per indicare l’apertura italiana al dialogo con paesi socialisti negli anni ’60 e ’70.


Bibliografia


  • M. BUCARELLI, Aldo Moro e la ferita del Trattato di Osimo, Archivio Il Piccolo, 2014

  • M. BUCARELLI, La politica estera italiana e la soluzione della questione di Trieste: gli accordi di Osimo del 1975, Qualestoria n.2, 2013

  • M. BUCARELLI, La “questione jugoslava” nella politica estera dell’Italia repubblicana (1945-1999), ARACNE editrice, 2008

  • D. D’AMELIO, Il dibattito pubblico sul trattato di Osimo fra ragion di Stato e protesta locale, «Qualestoria» n. 2, 2013

  • F. IMPERATO et al., Fra diplomazia e petrolio. Aldo Moro e la politica italiana in Medio Oriente (1963-1978), Bari, 2018

  • S. MURA, Aldo Moro, Antonio Segni e il centro-sinistra, Carocci Editore, Studi Storici, 2013

  • G. PIEPOLI, Bari, «finestra spalancata sul vicino Oriente»: la lezione di Aldo Moro, Euro-Balkan Law and Economics Review, 2020


Sitografia


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