La Military (in)effectiveness Araba nel volume “Armies of Sand” di Kenneth M. Pollack
- Alberto Mariotti
- 13 feb 2022
- Tempo di lettura: 16 min

1. Introduzione
Chi studia la storia contemporanea e le relazioni internazionali della regione MENA dell’ultimo secolo non può fare a meno di notare, tra le altre cose, una costante dei paesi arabi della regione: la continua crescita delle importazioni di sempre più sofisticati sistemi d’arma e, parallelamente, un’intrinseca debolezza delle loro Forze Armate e della loro military effectiveness:[1] A partire dall’immediato secondo dopoguerra, con la prima guerra arabo-israeliana (1948), fino alle più recenti performance delle forze saudite in Yemen, o dell’esercito iracheno contro l’avanzata dei miliziani dell’ISIS alle “porte” di Baghdad del giugno-luglio 2014 - passando per la guerra siro-israeliana del 1982, la prima guerra del golfo tra Iraq e Iran, e la sconfitta libica in Chad del 1987 – le forze armate arabe hanno conseguito una lunga serie di notevoli fallimenti e pessime performance, nonostante capacità materiali, in senso quantitativo e qualitativo, a loro netto vantaggio. In un conflitto e/o in guerra, si sa, la supremazia nelle capacità materiali è lungi dall’essere l’unico (e più importante) fattore derimente, per quanto rilevante esso sia.
Al di là di questo, gli eserciti arabi, a partire dal 1948 ai giorni nostri, quando impiegati operativamente in contesti di guerra hanno mostrato un pattern comune caratterizzato da scarse performance combattive. Più che gli esiti di questi – vittoria e sconfitta sono determinate da una sconfinata moltitudine di fattori - più rilevante sembra essere il modo con cui tali forze armate arabe, appartenenti a Paesi diversi e impiegate in contesti e contro attori differenti, hanno sofferto e mal performato durante i vari conflitti: caratteri e deficienze condivise in specifici aspetti del modo di condurre i conflitti che sembrano mostrare una base comune.
Tutto ciò non è certo sfuggito a politici, analisti, ufficiali e accademici nel corso degli ultimi decenni. D’altra parte, parlando della sicurezza di stati e regioni, guerre e conflitti, efficacia ed efficienza di eserciti nazionali, tale oggetto di indagine ricopre una rilevanza tutt’altro che di secondo piano. A maggior ragione visto il crescente linkage (in corso dagli anni Settanta) della regione MENA con le potenze esterne, la formazione di allineamenti (se non vere e proprie alleanze) tra Stati arabi e queste ultime, l’aumento delle importazioni militari nella Regione e i tentativi più recenti di disengagementamericano. Questo ultimo proprio con l’obiettivo/auspicio di lasciare agli Stati mediorientali l’onere della sicurezza e stabilità regionale, assistendo i propri partner nella costruzione e rafforzamento degli apparati di sicurezza. Difatti, nel corso dei decenni è sorta una moltitudine di teorie e spiegazioni circa le croniche problematiche incontrate dai Paesi arabi in tale campo, con l’obiettivo di rintracciarne le cause e provare a fornire qualche soluzione.
Quattro sono i principali “filoni di ricerca” a tal proposito, ognuno focalizzato su un aspetto peculiare che sembra accomunare i regimi arabi della regione nella storia recente. Alcuni studiosi ed esperti militari, in misura maggiore di provenienza euroatlantica, non hanno tardato a rintracciare le cause e puntare il dito verso la pesante dipendenza e ricorso da parte dei regimi arabi alla dottrina e metodi operativi sovietici. Molti accademici e scienziati politici hanno invece studiato e approfondito i nessi e le relazioni tra potere civile e potere militare, sostenendo che le scarse performance militari delle forze armate arabe siano dovute a una loro eccessiva politicizzazione, risultato e soluzione alla tendenza endemica nella regione ai colpi di stato militari. Considerando invece l’appartenenza della totalità dei regimi arabi al c.d. “Terzo Mondo”, altri studiosi hanno rintracciato la causa della debolezza militare di questi al cronico sottosviluppo economico degli Stati arabi a partire dal dopoguerra. Infine, alcuni osservatori, specie chi ha avuto modo di lavorare a fianco e in prima linea con le forze armate di questi stati, non hanno potuto che sottolineare e commentare le specificità dei pattern comportamentali derivanti dalla cultura araba.
2 Cause, effetti e teorie sull’inconsistenza delle forze armate arabe. L’apporto del volume “Armies of Sand” di Pollack
L’imponente (563 pagine) e autorevole volume qui recensito “Armies of Sand: The past, present and future of Arab Militaries” di Kenneth M. Pollack - Resident Scholar all’American Enterprise Institute ma con un passato come analista militare per la CIA e due volte membro del National Security Staff - pubblicato nel 2019 da Oxford University Press, si inserisce all’interno di questo dibattito teorico ma di rilevanti risvolti pratici, circa le potenziali cause alla base della ripetuta inefficienza militare riscontrata dalle forze armate dei paesi arabi in scenari di conflitto. E lo fa apportando un notevole contributo a partire dalla metodologia scelta per il proprio studio: nonostante infatti nel tempo “siano stati scritti innumerevoli libri, articoli e paper sull’argomento, volti a sottolineare una o l’altra specifica causa esplicativa”, afferma, “nessuno ha mai guardato e preso in considerazione l’insieme di queste nel tentativo di dedurre quali siano false e quali giuste; se questi pattern ricorrenti sull’inefficacia miliare delle forze armate arabe possono esser ricondotti a un’unica dominante causa/fonte, o a una combinazione di alcune o tutte di quelle ad oggi individuate” (p. 20).
È doveroso premettere, e l’autore non tarda a farlo, che Armies of Sand non (rap)presenta una ricostruzione e narrazione storica dei conflitti e dell’evoluzione militare e politica dei paesi arabi della regione, per la quale d’altronde ci vorrebbe un altrettanto consistente volume, bensì una densa trattazione teorica sul tema oggetto di studio (la military effectivness degli eserciti arabi e le sue cause), che porta con sé, al fine di “criticare” le teorie esistenti e argomentare la propria tesi di fondo, una moltitudine di case studies. Per farlo, l’autore si appoggia quindi ai suoi scritti passati, e sono numerosi i rimandi a uno dei suoi precedenti studi e alla letteratura ivi trovata[2], testi probabilmente più adatti a chi è interessato alla storia militare e alle dinamiche interstatali dei paesi della Regione, la cui conoscenza è in parte data per scontata lungo tutto il volume. L’autore presenta nel capitolo introduttivo e nel successivo primo capitolo proprio i risultati del precedente studio, ovvero “quegli aspetti delle operazioni militari che sono stati particolarmente problematici per le forze armate arabe (e in maniera ragguardevole per tutte queste) o aspetti rilevanti sulle performance militari rispetto a una più giustificazioni fornite in passato per spiegare tali insuccessi” (p. 24) (Figura 1). Lo fa portando agli occhi del lettore, come breve esempio e caso di studio introduttivo ed esemplificativo, una breve ma dettagliata analisi delle operazioni militari condotte dagli eserciti arabi (Egitto, Giordania, Siria) nella Guerra dei Sei Giorni (1967).

A partire da ciò, il libro viene organizzato e suddiviso in quattro chiare e distinte parti, ognuna delle quali si prende in carico l’oneroso problema di enunciare, spiegare, articolare e trovare evidenze e confutazioni circa una delle quattro principali argomentazioni/spiegazioni sulle sistematiche e ripetute underperformance degli eserciti arabi. Valore aggiunto indispensabile per tale metodologia è poi il procedere con un metodo comparativo, portando l’attenzione - per ogni variabile indipendente affrontata (dottrina sovietica, politicizzazione, sottosviluppo economico, specificità culturali) - sulle performance di altri attori militari, non arabi, soggetti alle medesime variabili.
Lo schema, che è percorso lungo tutto il libro (o almeno nelle parti I II e III), appare dunque chiaro: isolare la variabile (indipendente) identificata dalla letteratura tradizionale come causa dell’inefficienza delle forze armate arabe, fornendone una breve illustrazione/spiegazione, e indagare se e come questa abbia effettivamente un impatto trasversale sugli stati arabi coinvolti in conflitti durante il periodo storico individuato. Il motivo è semplice: se si assume questa come unica (o principale/maggiore) causa, dovremmo aspettarci, da un lato, che tutti gli stati arabi che mostrano scarse capacità ed efficienza militare siano in certa misura soggetti a tale variabile indipendente; dall’altro, che altri attori, non arabi ma comunque appartenenti anch’essi al “terzo mondo”, se soggetti alla medesima ‘forza’ abbiano sofferto delle medesime problematiche.
2.1 L’incompiutezza delle spiegazioni tradizionali
Procedendo nel modo appena descritto Pollack evidenzia le debolezze logiche e la mancanza, almeno in parte, di riscontri fattuali circa le spiegazioni causali tradizionali. Mentre tuttavia l’autore arriva a respingere con forza la teoria secondo cui l’inefficacia militare araba è dovuta principalmente all’influenza esercitata dalla dottrina sovietica, in quanto “il problema, piuttosto, era meno di aderenza quanto di applicazione di quei metodi in una maniera rigida e meccanica che non era quella intesa e pensata dai suoi fautori” (p. 103); le evidenze emerse circa gli effetti della politicizzazione e sottosviluppo economico sono più eterogenee.
Da una parte, l’analisi dei diversi casi di studio evidenzia che, quando le forze armate sono soggette a forte politicizzazione, questa risulta avere un forte impatto sulla leadership strategica, sulla raccolta e gestione di intelligence a livello strategico, e un minor ma comunque significativo impatto sulla coesione e il morale delle unità. Tuttavia, altrettanto importante è che, nonostante gli ingenti sforzi effettuati dalle élite politiche dei paesi presi in considerazione nell’intraprendere processi di ristrutturazione e depoliticizzazione, le loro Forze Armate hanno dimostrato comunque profonde lacune e problemi nella leadership e gestione a livello tattico delle informazioni, operazioni aeree, utilizzo e mantenimento dei sistemi d’arma. Ne deriva, secondo Pollack, che queste non siano prodotto della politicizzazione: quest’ultima ha sicuramente contribuito nel tempo alle scarse performance militari, ma non è l’unico (probabilmente nemmeno il più importante) fattore nella inefficacia delle forze armate arabe. L’analisi comparativa permette infatti di “sottolineare i modi in cui la politicizzazione ha e non ha contribuito alle deficienze degli eserciti arabi negli anni (…). Mentre emerge infatti chiaramente la sua influenza sul piano della leadership e della gestione informazioni al livello strategico”, sul piano tattico le profonde differenze tra le due forze armate non arabe e quelle arabe post-riforme sembrano suggerire che i problemi riscontrati dalle seconde a questo livello abbiano origine diversa rispetto al grado di politicizzazione (pp. 227-29).
Dall’altra, anche dall’analisi sugli effetti del mancato sviluppo economico emergono evidenze miste che costringono l’autore a riconoscere che questo “ha sicuramente un impatto sulla capacità degli eserciti arabi di impiegare in maniera ottimale i propri sistemi d’arma e sulla loro capacità di manutenzione”, contribuendo in questo modo alle pesanti sconfitte. In tal senso, “il mancato sviluppo economico è certamente un elemento, potenzialmente anche importante, che contribuisce a spiegare l’inefficacia degli eserciti arabi; ma semplicemente non risulta essere il più importante”. Ancora una volta, comparando l’esperienza degli eserciti arabi con quella delle forze armate di altri sei paesi non-arabi aventi a grandi linee lo stesso sviluppo e indici economici, emerge che “non esiste realmente una Third World Way of War, come statuito da alcuni proponenti l’idea del basso sviluppo economico alla base dei problemi militari dei paesi arabi” (p. 339). Solo negli aspetti di efficienza militare riguardanti le capacità tecniche e tecnologiche vi è una qualche similarità tra i diversi paesi, e anche lì le somiglianze sono minori di quanto ci si potrebbe aspettare.
3. La cultura dominante araba come principale determinante
Rifiutando completamente l’ipotesi circa l’influenza sovietica, e riconoscendo solo in parte i fattori politici ed economici come causativi dell’inefficienza militare degli eserciti arabi, Pollack si lascia i successivi nove capitoli (pp. 340-523) per argomentare e convincere il lettore circa il ruolo esercitato dalla “cultura” – intesa come “valori appresi/condivisi dagli individui e modelli di comportamento sviluppati da una comunità nel corso della storia”, e rappresentata dunque dalla “maniera effettiva di come le cose vengono fatte in una società e i valori che informano il come le cose andrebbero fatte da parte dei membri di quella società” (p.355)– sui pattern comportamentali dei gruppi sociali e, di conseguenza, (anche) sulle forze armate[3].
Il terreno su cui si muove Pollack è alquanto “scivoloso”, e l’autore ne è ben consapevole (“dealing with culture is like working with nitroclycerin”, p. 343). Quando generalmente si fa riferimento “alla cultura” - che sia in di un gruppo sociale, etnico, popolo o di uno Stato - d’altronde, il rischio di cadere in banali stereotipi privi di fondamento è elevato. Così come quello di cedere alla tentazione di ascrivere a essa, senza neanche specificarne una definizione chiara e appropriata, ogni comportamento deviante rispetto a quanto ci si aspetta. Avendo poi come oggetto del proprio studio le forze armate arabe in generale, appartenenti cioè a un vario numero di differenti stati che hanno in comune l’esser demograficamente a maggioranza araba, il pericolo è doppio: è davvero possibile parlare di una cultura araba dominante e trattarla senza tener di conto le (talvolta anche) profonde differenze all’interno di essa?
Pollack decide dunque di muoversi in maniera meticolosa: in primis, chiarisce al lettore il più ampio nesso che esiste tra warfare e cultura, ovvero il mutare storico dell’arte della guerra e l’affermarsi, in un determinato tempo e contesto, di un suo modello dominante. Tale regressione gli permette inoltre di “mettere le mani avanti” e chiarire che “niente di tutto ciò dovrebbe esser visto come esaltazione di un tipo di cultura e denigrazione di un’altra. Le culture enfatizzano alcuni tratti e schemi comportamentali rispetto ad altri sulla base delle circostanze della società, sia fisiche che storiche” e questi tratti e schemi comportamentali incentivati dalla cultura hanno senso per quella società in quel periodo e in quel luogo. In altre parole “la cultura può garantire alcuni vantaggi a una società rispetto a un’altra in alcuni domini, ciò non significa tuttavia che una sia superiore all’altra, se non in quella precisa e limitata sfera di competizione” (p. 349).
In secondo luogo, tramite gli scritti di antropologi e psicologi esperti di mondo arabo, Pollack chiarisce il come gli aspetti culturali di una società influenzano il comportamento individuale e di gruppo. Sottolinea in particolare come la cultura, da una parte, “influisce sugli outcome preferiti da un individuo in una determinata situazione”, dall’altra “modella il corso d’azione e i metodi cui un individuo è predisposto per raggiungerli” e “tende a informare gli individui che certi modi di agire siano migliore di altri” (p. 357): ovvero influisce e modella sia i mezzi che i fini. Ovviamente, esistono in ogni gruppo e società membri che preferiscono e agiscono secondo norme culturali differenti, devianti rispetto a quella generalmente accettata. La cultura per come intesa, dunque, specifica meramente come la maggior parte delle persone in una società agirà nella maggior parte delle situazioni. Ma all’interno di un’ampia società come quella costituita dal mondo arabo, la cultura varierà anche da comunità a comunità e da nazione a nazione. Tuttavia, come osservato da numerosi studiosi “la società araba possiede e presenta una propria cultura dominante, a cui si aggiungono poi sottoculture peculiari alle varie comunità e controculture presenti in alcuni gruppi”[4]. Per tutte queste ragioni, “la cultura è meno utile nel comprendere il comportamento di un individuo, mentre risulta più efficace nello spiegare i comportamenti nel tempo di ampi gruppi” (p. 360).
Infine, poiché Pollack stesso riconosce in partenza che “la cultura non è statica ma, anzi, è in costante cambiamento in relazione a come la comunità reagisce a nuove esperienze” (sottolineando tuttavia che questi cambiamenti sono lenti e possono essere impercettibili nel giro di generazioni), egli ribadisce più volte di focalizzarsi sui tratti della cultura araba manifesti nel periodo preso in esame (1948-2016). Anche all’interno di questo lasso temporale è poi inevitabile riconoscere gli importanti cambiamenti che hanno riguardato tale cultura. Tuttavia, “sebbene alcuni dei tratti esaminati nel libro risultano più propri e affini alla cultura araba nei primi decenni del periodo considerato, piuttosto che negli ultimi, è comunque vero che tutti questihanno avuto una pesante influenza sul modello comportamentale arabo nel periodo esaminato” (p. 366).
3.1 Cultural Patterns del mondo arabo e riscontro sull’efficacia militare
Una volta chiarita la relazione esistente tra cultura e warfare in generale, e come la prima influisce sull’agire dei singoli e dei gruppi in particolare, l’autore fa ricorso a una cospicua letteratura di esperti in sociologia, antropologia e psicologia culturale circa pattern comportamentali arabi, per redarne una lista e illustrarli al lettore. Nell’affidarsi a questa tipologia di “metodo di Delfi” Pollack si impone una serie di criteri: include solo schemi comportamentali individuati da esperti di Medio Oriente e non da generalisti/amatori; decide di escludere quelli su cui non vi è un ampio consenso tra gli stessi esperti (se non sull’evidenza di quello schema comportamentale, sugli ‘effetti’ che esso tende a produrre); così come preferisce non includere quei tratti che sembrano non avere rilevante impatto sulle operazioni militari.
Emerge quindi una lista di otto ricorrenti pattern comportamentali enfatizzati dalla cultura araba dominante – 1) conformità alle regole e valori del gruppo; 2) centralizzazione dell’autorità; 3) deferenza all’autorità e passività individuale; 4) lealtà al gruppo; 5) manipolazione delle informazioni; 6) atomizzazione della conoscenza; 7) coraggio personale e, in ultimo, 8) una certa ambivalenza nel considerare i lavori di tipo manuale e tecnico – che sembrano facilmente sovrapporsi e spiegare i consistenti e ricorrenti problemi (ma anche i punti di forza) riscontrati dagli eserciti arabi nel periodo in esame e messi in evidenza nei primi capitoli del volume.
Il passaggio chiave successivo costruito dall’autore è evidenziare il nesso che spieghi il modo attraverso cui questi schemi comportamentali di derivazione culturale causano quelli sull’inefficacia militare: questo può essere rintracciato nei metodi, forme e processi educativi, formali e informali, a cui è soggetto quello che diverrà il personale militare, a partire dall’età infantile fino ad arrivare all’addestramento una volta dentro le Forze Armate. Pollack afferma che, guardando ai metodi di insegnamento stessi, si può osservare che nelle famiglie e scuole arabe si tende a insegnare la conformità, la deferenza all’autorità, la lealtà al gruppo e tanti degli altri tratti elencati in precedenza. Non a caso, molte di queste caratteristiche si possono riscontrare non solo nelle forze armate ma anche nelle organizzazioni civili dei paesi arabi. Poiché tuttavia le forze armate sono forse uno degli agenti di socializzazione più influenti, riscontrare nel personale e organizzazione militare quegli stessi tratti suggerisce che anche al suo interno vengano impiegati in maniera estesa gli stessi metodi.
L’addestramento militare (training) è difatti un ulteriore processo educativo, in cui, oltre agli aspetti tecnici e operativi viene insegnato alle reclute come pensare e agire in qualità di soldato o ufficiale. Il fatto che l’addestramento rinforzi gli stessi valori culturali e schemi comportamentali di altre istituzioni educative, afferma Pollack, dimostra che la performance degli eserciti arabi in combattimento è largamente il prodotto di un set di incentivi interni che i militari portano con sé in guerra, piuttosto che una gamma di valori imposti dalla politicizzazione, da una dottrina militare estera o da altre circostanze. E, proprio visto che i metodi educativi nel mondo arabo, sia formali che informali, all’interno delle organizzazioni civili e militari, insegnano agli individui (“dalla culla alla tomba”) ad agire in conformità agli “schemi culturali arabi” individuati, diviene sempre più chiaro che questi schemi culturali non sono solo correlati alle performance militari, bensì causativi di queste (p. 416).
3.2 Eccezioni che confermano la regola
Il passaggio finale compiuto dall’autore è quello di prendere in esame alcuni casi “eccezionali”. Un’eccezione, d’altronde, può dimostrare la falsità di una teoria, “confermare la regola”, oppure semplicemente essere inspiegabile, in quanto l’agire umano talvolta trascende le spiegazioni logiche. Pollack rintraccia almeno quattro casi[5], nel periodo in esame, in cui elementi delle forze armate di alcuni stati arabi hanno performato notevolmente meglio rispetto alla regola (ma comunque ben al di sotto delle best practices del “modello dominante di warfare”). Allo stesso modo l’autore ne esamina altri due, questa volta di attori non statali, in cui milizie e gruppi di insorti hanno raggiunto risultati inattesi mostrando notevoli e inaspettate capacità combattive: quelle di Hezbollah e quelle di Daesh. Ad accomunare queste esperienze è il fatto che questi attori armati, statali e non statali, sono riusciti a raggiungere una maggiore efficacia militare e combattiva trovando alcuni modi per mitigare o eliminare, tra i propri ranghi, le influenze problematiche determinate dalle inclinazioni culturali; enfatizzando al contempo gli schemi comportamentali (culturalmente derivati) che invece erano in grado di fornire elementi di vantaggio.
4. Conclusioni
Il volume di Kenneth M. Pollack qui presentato costituisce indubbiamente un egregio lavoro di impostazione teorica, ma con particolare valenza pratica, utile a chiunque voglia comprendere più a fondo le cause dietro a un annoso problema per gran parte dei Paesi arabi, ovvero la loro ‘incapacità’ attuale e passata di dotarsi di eserciti in grado di combattere e performare secondo quelle best practices e standard di alto livello conformi al contemporaneo paradigma dominante di warfare.
Lo fa adottando un chiaro e scorrevole schema teorico, capace di mettere in luce la debolezza di alcune ipotesi delle teorie tradizionali, e riuscendo soprattutto ad affrontare il difficile tema in oggetto in una prospettiva integrata e omnicomprensiva. Sebbene infatti possa inizialmente sembrare al lettore che la trattazione venga affrontata “per compartimenti stagni” e, in tal modo, non tenga effettivamente di conto dei possibili intrinsechi legami esistenti tra le variabili e cause prese in esame (dando così l’idea di non cogliere e affrontare la complessità del tema), questo è vero solo fino a un certo punto. Da una parte infatti, tale impostazione, logicamente ineccepibile, è necessaria soprattutto per confutare le tradizionali teorie, che sembrano non porsi problemi nel rintracciare come causa fondamentale e unica una di quelle citate. Dall’altra, in più parti del libro l’autore non manca di sottolineare le influenze esercitate anche dagli aspetti politici (politicizzazione delle forze armate) ed economici (sottosviluppo economico). Questi hanno indiscutibilmente un impatto e contribuiscono a spiegare alcuni aspetti della military ineffectiveness araba: semplicemente, sostiene e dimostra Pollack, non possono essere considerati i principali fattori determinanti di quest’ultima.
Fondamentale e innovativa in tal senso è la suggestione fornita nel capitolo 18, dove l’autore fa emergere come politicizzazione, sottosviluppo economico e pattern culturali arabi abbiano il loro maggiore impatto su differenti segmenti della catena di comando delle Forze Armate (figura 2). Poiché si è detto che “la cultura è meno utile nel comprendere il comportamento di un individuo, mentre risulta più efficace nello spiegare i comportamenti nel tempo di ampi gruppi”, ne deriva che le azioni conformi agli schemi di comportamento culturali saranno sempre maggiori al livello più basso della catena di comando (p. 403). Differentemente, quando l’autore ha discusso il tema della politicizzazione ha fatto emergere come questa abbia il maggiore impatto ai livelli più alti della catena di comando diminuendo notevolmente scendendo ai gradi inferiori.
Infine, l’impatto generato dal mancato sviluppo economico sulla catena di comando è ampiamente correlato con due fattori: il grado d’istruzione del personale e l’importanza dei dispositivi d’equipaggiamento, specie ad alta tecnologia, in riferimento al loro ruolo. Poiché generalmente, almeno nei paesi arabi, gli alti gradi militari possiedono un grado d’istruzione maggiore e non utilizzano operativamente sistemi d’arma complessi, i problemi derivanti dal mancato sviluppo economico dovrebbero emergere maggiormente ai gradi più bassi della catena di comando degli eserciti arabi, diminuendo linearmente fino ai gradi superiori.

Le interazioni tra politica, economia e cultura – semplificate e accantonate durante la trattazione del volume per necessità teoriche e analitiche - sono ben comprese da Pollack, il quale proprio nel capitolo finale torna a ricordarle al lettore. Se da una parte esiste la diffusa convinzione, tra esperti nel mondo arabo, che proprio i pattern culturali specifici visti tendono a predisporre le società arabe a un tipo di governo autoritario, estrema centralizzazione, compartimentalizzazione e tesaurizzazione delle informazioni; è anche vero che la interazione tra cultura e politica è sempre di tipo circolare e auto-rafforzante. In questo senso, nel tempo, la politica aiuta a modellare la cultura così come la cultura modella la politica. In maniera analoga, i valori culturali e gli schemi comportamentali da questi determinati giocano un ruolo considerevole nel modellare lo sviluppo economico di un Paese, così come il sistema economico, nel tempo, ha un’influenza critica sugli aspetti e pratiche culturali. Sebbene siano indiscutibili questi profondi legami e interazioni, occorre tenere a mente che cultura, economia e politica operano in ambiti diversi ed è possibile distinguere i loro effetti sul comportamento umano. In tal senso è possibile affermare che alcuni incentivi che influenzano il comportamento umano derivino maggiormente da uno piuttosto che dall’altro e, secondo quanto argomentato da Pollack, gli aspetti culturali specifici del mondo arabo sembrano esercitare il maggiore impatto sull’incisività militare degli eserciti arabi.
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Note
[1] La Military Effectiveness si riferisce al come i vari corpi delle Forze Armate (Esercito, Marina, Aviazione) conducono qualitativamente le operazioni militari: come impiegano adeguatamente i sistemi d’arma e le tecnologie a loro disponibili; ovvero quanto bene conducono le operazioni rispetto agli standard operativi del modello dominante di warfare a loro contemporaneo. La military effectiveness è sempre uno dei fattori che concorrono a determinare chi vince e chi perde in un conflitto, tuttavia non sempre è quello determinante. (K.M. Pollack, Armies of Sand: The past, present and future of Arab Militaries, New York, Oxford University Press, 2019, nota 22, Introduzione). [2] Pollack, Kenneth M. (2002), Arabs at War: Military Effectiveness, 1948-1991. Lincoln: University of Nebraska Press, Pp. 717 [3] Le Forze Armate possono essere agenti di socializzazione estremamente influenti, in quanto agiscono su persone relativamente giovani tramite una invadente forma di educazione (training) per cercare di modellare il loro modo di pensare e agire rispetto a quello dei civili. È importante quindi riconoscere che, mentre i tratti e modelli comportamentali che forniscono un vantaggio o svantaggio a un esercito (in un determinato tempo e dato il modello dominante di warfare in questo) derivano inevitabilmente dalla cultura; quest’ultima può essere nazionale/della società, della organizzazione specifica delle forze armate (che può replicare o divergere da quella nazionale) o di uno specifico, rilevante, sottogruppo sociale. (Pag. 352) [4] Halim Barakat (1993), The Arab World: Society, Culture, and State, Berkley: University of California Press, p. 42 Pollack considera “mondo arabo” l’insieme di 18 Nazioni a popolazione prevalentemente araba. Queste condividono una cultura dominante araba: sebbene ogni nazione costituisca una sottocultura che si differenzia da quella dominante, le similarità sono maggiori delle differenze. [5] Giordania 1948; Egitto 1973; Siria 1982; Iraq 1987-90
Bibliografia
Pollack, Kenneth M. (2019), Armies of Sand: The past, present and future of Arab Militaries, New York, Oxford University Press
Pollack, Kenneth M. (2002), Arabs at War: Military Effectiveness, 1948-1991. Lincoln: University of Nebraska Press
Barakat Halim (1993), The Arab World: Society, Culture, and State, Berkley: University of California Press
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