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L’imparzialità alla prova dei social e la ragione per separare ius in bello ed ius ad bellum

Aggiornamento: 20 set 2022

Fig.1: Incontro tra il presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa, Maurer, e il Ministro degli Esteri russo Lavrov. (ICRC)

1. Introduzione


Sono passati quasi sei mesi dal 24 febbraio 2022, giorno in cui la Russia ha iniziato la sua offensiva in Ucraina. La percezione della sicurezza in Europa è cambiata: la NATO trova un nuovo slancio dopo la crisi d’identità post guerra fredda (vedi l’analisi di Laura Santilli), l’opinione pubblica europea si scopre dipendente dal punto di vista energetico (vedi l’analisi di Alessandro Galbarini) e presto anche da quello delle materie prime. In questo periodo abbiamo poi potuto osservare i leader europei rispondere alla crisi dei profughi ucraini (vedi l’analisi di Davide Giacomino) e riproporre la comunità europea di difesa. A livello internazionale si è visto come i vari membri della Comunità internazionale abbiano risposto all'aggressione anche per far fronte all’impasse del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dovuto al sistema di veti (vedi le analisi di Claudia Rampulla e Daniele Palladino, e l’analisi di Sabrina Boero).


Da un punto di vista mediatico, la diffusione quasi immediata di immagini del conflitto e la loro condivisione sui social, attraverso commenti e post, ha modificato gli schemi e le tattiche della guerra di propaganda. Si è parlato di prima “guerra social”, sebbene il Medioriente abbia conosciuto un fenomeno simile durante le c.d. primavere arabe. In questo flusso di informazioni, le organizzazioni umanitarie, che ricordano l’importanza dell’imparzialità e della neutralità dell’aiuto e richiamano le parti in conflitto al rispetto del diritto umanitario, si sono trovate nel vortice di un “conflitto online” talvolta accusate di aiutare l’aggressore o l’aggredito o d’intervenire in ritardo. Per tale ragione è importante ricordare la necessaria separazione tra il diritto che regola le ipotesi di ricorso all’uso della forza (ius ad bellum) ed il diritto che si applica in guerra (ius in bello).


2. Le critiche al Comitato Internazionale della Croce Rossa


Il 24 marzo 2022, il Presidente del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), Peter Maurer, incontrava il Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov nel tentativo di raggiungere un accordo per facilitare l'assistenza umanitaria e garantire i corridoi umanitari. L’incontro, che seguiva una missione simile in Ucraina, ha suscitato una profonda rabbia amplificata dalla diffusione di false informazioni e accuse attraverso i social, seguita da richieste di allontanamento della Croce Rossa e attacchi al personale della Società nazionale ucraina.


In risposta, il Comitato internazionale emetteva un comunicato in cui affermava: “Neutrality and impartiality are not abstract concepts or lofty principles that have no relation to people's real-life experiences. It is a means to an end, a way of working that allows us to reach, help and in many cases save the lives of civilians, no matter what side of the frontline they are on. Our presence is to assist and protect and should never be interpreted as legitimizing sovereignty or territorial claims, which are the exclusive right and obligations of the political actors”.


3. Neutralità e imparzialità


Richiamandosi allo spirito di Solferino e al Movimento internazionale di Croce Rossa, i due principi di neutralità ed imparzialità insieme a Umanità e Indipendenza sono stati riaffermati anche dalle Nazioni Unite nelle risoluzioni dell’Assemblea Generale 46/182 and 58/114, che creavano l’Ufficio per il coordinamento dell’assistenza umanitaria (UNOCHA). Tuttavia, nelle guerre asimmetriche moderne, volte anche a vincere “il cuore e la mente” della popolazione locale o dell'opinione pubblica nazionale e globale, la linea di demarcazione tra l’aiuto umanitario, le attività di sviluppo o di consolidamento della sicurezza e della pace si è spesso affievolita.


Se da un lato si è cercato di assicurare una continuità tra aiuto umanitario e sviluppo sostenibile, dall’altro, si è assistito a una progressiva equiparazione dell’aiuto ai già numerosi strumenti di risoluzione delle crisi. Gli aiuti finiscono per essere uno strumento di politica estera al pari degli accordi commerciali o dei trust fund per lo sviluppo. Gli esempi sono molteplici come la Strategia globale dell'UE per la politica estera e di sicurezza del 2016, o il “Comprehensive approach” della NATO. Le notizie dei soldati che contribuivano a distribuire, non a proteggere, l’aiuto umanitario come parte di una strategia contro insurrezionale non hanno facilitato il richiamo al rispetto dei principi umanitari, come ben evidenziato da MSF in Afghanistan


Slim, in the New Humanitarian, sottolinea come non necessariamente tutti gli attori umanitari debbano essere neutrali. Lo Stato rimane il principale responsabile per la distribuzione degli aiuti. In contesti complicati, tuttavia, sono spesso le ONG locali che riescono a raggiungere i civili. Esse possono essere o non essere politicamente schierate ma allo stesso tempo generalmente provvedono all’assistenza umanitaria in maniera imparziale. Lo stesso diritto internazionale umanitario, in particolare l’art. 18 della I Convenzione di Ginevra, parla della possibilità di ricorrere agli abitanti e alle società di soccorso per raccogliere e curare i feriti o per consegnare aiuti umanitari alla popolazione E stabilisce un obbligo di non usare violenza contro i feriti della parte avversaria.


Sebbene poi i volontari e i funzionari che distribuiscono aiuti sotto l’egida, ad esempio, del meccanismo di protezione civile dell’Unione Europa siano neutrali, l’aiuto proviene dagli Stati, che sono politicamente schierati: come tale, l’aiuto umanitario spesso viene percepito come non neutrale. In ogni caso, gli attori umanitari neutrali, capaci di lavorare attraverso le linee di conflitto, rimangono estremamente utili e necessari. Che siano Medici Senza Frontiere, Emergency o OXFAM, per citarne alcuni, essi valutano attentamente come e quando denunciare una situazione, analizzando il rischio che tale dichiarazione possa essere utilizzata dalla propaganda, impedendo l’accesso e l’aiuto.


Differente è sicuramente la questione dell’imparzialità, della non discriminazione e dell’aiuto in base ai bisogni. L’ imparzialità, per esempio, citata all’ art. 70 del I protocollo e l’ art. 18 del II protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra, dedicati all’ aiuto umanitario, ha sicuramente la sua base più forte nel divieto di distinzione nell’applicazione del diritto internazionale umanitario (DIU).

Fig.2: aiuti umanitari greci verso l’ Ucraina attraverso il meccanismo europeo di protezione civile (Unione Europea)

4. Il divieto di distinzione nell'applicazione del diritto internazionale umanitario


Il 12 Aprile 2022, i professori Benedetti, Bilkova e Sassoli all’inizio delle loro osservazioni a seguito della missione istituita dal meccanismo di Mosca dell’OSCE che analizzava le violazione dei diritti umani e del DIU nel contesto della crisi ucraina scrivevano:

“Both Russia and Ukraine have to comply with the same rules of IHL. This total separation between jus contra bellum (the law prohibiting to wage war traditionally referred to as jus ad bellum) and jus in bello (the law applicable in war) has several consequences, often difficult for public opinion to understand and for those fighting to defend their country to accept. […] This equal application of IHL to both belligerents is particularly difficult to accept in the current situation, where Russia is the aggressor and therefore responsible for all human suffering in Ukraine, whether or not it results from violations of IHL and even when it is directly caused by Ukraine, because even that would not have occurred if Ukraine had not to defend itself from the Russian invasion”.[1]

Il principio d’uguaglianza dei belligeranti cioè l’applicabilità del diritto internazionale umanitario su un piano di parità tra le parti è enunciata dal Preambolo del I Protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra:

“Reaffirming further that the provisions of the Geneva Conventions of 12 August 1949 and of this Protocol must be fully applied in all circumstances to all persons who are protected by those instruments, without any adverse distinction based on the nature or origin of the armed conflict or on the causes espoused by or attributed to the Parties to the conflict”. L’Art. 1 comune delle Convenzioni di Ginevra continua: “The High Contracting Parties undertake to respect and to ensure respect for the present Convention in all circumstances”, mentre l’art. 2 comune alle Convenzioni ribadisce: “In addition to the provisions which shall be implemented in peacetime, the present Convention shall apply to all cases of declared war or of any other armed conflict which may arise between two or more of the High Contracting Parties, even if the state of war is not recognized by one of them”.

Le Convenzione, come tutto il diritto umanitario, che come vedremo vuole ridurre la sofferenza di chi non partecipa alle ostilità, presuppone la non distinzione tra coloro che stanno combattendo una “guerra giusta” e coloro che stanno invece aggredendo. L’applicazione del DIU vuole essere scissa da analisi di questo tipo o valutazioni di tipo morale o etico che potrebbero stabilire chi sono i “buoni” o cattivi”. In questo senso, l’uguaglianza dei belligeranti è interdipendente con la separazione tra ius ad bellum e ius in bello, in quanto accetta la realtà di fatto che i conflitti esistono indipendentemente dalla violazione del divieto dell’uso della forza e vi è la necessità, una volta iniziate le operazioni militari, le parti rispettino un minimo di regole per la protezione dei civili e la cura dei prigionieri di guerra o dei feriti.


5. Ius ad bellum e ius in bello


Nata sostanzialmente tra le due guerre mondiali nei corridoi della Società delle Nazioni, sebbene nella storia moderna e contemporanea si rilevino tentativi, per altro mai sopiti, di definire la guerra giusta o di temperare i comportamenti dei soldati, la teorizzazione della separazione dei due concetti ha iniziato a svilupparsi soprattutto dopo la II guerra mondiale.


Lo ius ad bellum definisce quando sia lecito l’uso della forza nelle relazioni internazionali. Al divieto generale di usare la forza, previsto dall’art. 2(4) della Carta delle Nazioni Unite, esistono alcune eccezioni, principalmente quello della legittima difesa collettiva e individuale o le misure di mantenimento della pace approvate dal Consiglio di Sicurezza. Anche per questo, la comunità internazionale contemporanea si è sempre impegnata a giustificare i propri interventi militari. Si vedano le motivazioni fornite dagli Stati Uniti per giustificare la risposta militare all’11 settembre. Allo stesso modo per il secondo intervento militare in Iraq si invocarono le autorizzazioni del Consiglio di Sicurezza date nelle risoluzioni 678 (1990) e 687 (1991), concepite per il primo intervento realizzato alcuni anni prima. Il conflitto russo-ucraino non si sottrae a questo tipo di rivendicazioni. Se da una parte l’Ucraina ha invocato il diritto alla legittima difesa per rispondere a un’aggressione, dall’altro la Russia ha fatto altrettanto per rispondere alle minacce della NATO o dell’Ucraina.


Lo ius in bello, invece, è l’insieme dei trattati e delle norme consuetudinarie che regolano i mezzi e i metodi di guerra (es. le Convenzioni dell’Aia 1899 e 1907), la protezione di coloro che non prendono parte alle ostilità o che non possono più combattere (es. le quattro Convenzioni di Ginevra 1949 e i loro Protocolli aggiuntivi). Lo ius in bello o diritto internazionale umanitario governa la condotta delle ostilità. È bene tenere presente, tuttavia, che anche nelle situazioni dove il diritto umanitario fosse rispettato alla lettera, la morte e la sofferenza non potrebbero essere eliminate del tutto, perché esso regola, ma non proibisce, la condotta delle ostilità.

Fig. 3: 25 Febbraio 2022 , Kiev una ragazza guarda un cratere lasciato da un esplosione di fronte a degli appartamenti (UNICEF/UNOCHA)

6. La separazione dello ius ad bellum e ius in bello


La principale ragione per l’esistenza di una separazione tra le due nozioni è la necessità di proteggere il più possibile le vittime del conflitto dalle violenze del belligerante che aggredisce e di colui che si difende. Un’applicazione non paritaria, in contesti dove i contendenti contestano la correttezza dell’intervento della parte nemica, potrebbe ridurre la protezione. Da sempre vi è stato il tentativo di minare l’uguaglianza dei belligeranti da coloro che si considerano servitori di cause più nobili. Si guardi al tentativo degli Stati Uniti di non concedere lo status di prigioniero di guerra ai membri di Al-Qaeda e dei talebani.


Come ben esplicitato dal gruppo di esperti dell'OSCE, il principio della separazione tra ius in bello e ius ad bellum ha come conseguenze, in primo luogo, il già citato principio di uguaglianza dei belligeranti. In secondo luogo il fatto che determinare quando si applica il DIU richiede una valutazione della situazione sul campo, come, ad esempio, se vi sia violenza armata tra le forze armate di due o più Stati, che innesca un conflitto armato internazionale (IAC). Le giustificazioni alla base del ricorso alla violenza sono del tutto irrilevanti. Nella situazione ucraina, indipendentemente dalla definizione che ne danno le parti, vi è violenza tra gli eserciti di due Stati (Russia e Ucraina). In terzo luogo, gli argomenti relativi allo ius ad bellum non possono essere utilizzati per interpretare il DIU. Così, ad esempio, l'analisi di proporzionalità richiesta prima di sferrare un attacco è la stessa per un comandante militare che tenta di occupare una città sul territorio della parte avversa come per il comandante che difende una città.


7. Conclusione


Il tema trattato risulta estremamente complesso e di non facile applicazione. Nei conflitti mediaticamente rilevanti, vi è la tendenza a prendere una parte, a guardare con sospetto chi discute con la parte avversa e richiama entrambi i belligeranti a rispettare il diritto umanitario, sebbene anche la sua perfetta applicazione non sarebbe in grado di evitare totalmente i danni e le vittime. Esistono poi tentativi più sottili di minare la separazione tra i due concetti. In più, come si è detto, l’applicazione perfetta del DIU non eviterebbe i danni e le vittime. Eppure è fondamentale ribadire la necessità del rispetto del DIU da parte di tutti: la necessità di non contaminare la nostra imparzialità per richiamare entrambi gli schieramenti agli stessi standard rimane fondamentale. L’alternativa sarebbe ancora più catastrofica.


(scarica l'analisi)

Note


[1] Report on Violations of International Humanitarian and Human Rights Law, War Crimes and Crimes against Humanity committed In Ukraine since 24 February 2022, ODIHR.GAL/26/22/Rev.1, 12 Aprile 2022 p. 4-5


Bibliografia

  • R. KOLB, Origin of the Twin Terms jus ad bellum - jus in bello, Int’l Rev. Red Cross (1997), 320, 553–562,

  • A. ROBERTS, The equal application of the laws of war: a principles under pressure, Int’l Rev. Red Cross (2008), 872, pp. 931-962

  • M. SASSOLI, Ius ad bellum and Ius in bello: the separation between the legality of the use of force and humanitarian rules to be respected in warfare: crucial or outdated?, in M.N. Schmitt and J. Pejic (eds.), International Law and Armed Conflict: Exploring the Faultlin, The Netherlands pp. 241-264.

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