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Conflitti armati non internazionali: le difficoltà di classificazione e il caso della Siria

Guerra
Fig.1 Fonte: Shutterstock

1. Definizione di conflitto armato non internazionale nel quadro del DIU


Il diritto internazionale umanitario (DIU) cerca di contenere gli effetti di un conflitto armato limitando l’impiego di mezzi e metodi di guerra e proteggendo le persone che non prendono, o non possono più prendere, parte alle ostilità. Classificare correttamente un conflitto armato è fondamentale al fine di stabilire le regole che si applicheranno in battaglia. Mentre un conflitto armato internazionale (IAC) coinvolge due o più Stati, un conflitto armato non internazionale (NIAC) si riferisce a situazioni di violenza sul territorio di uno Stato che comportano scontri prolungati tra le forze governative e uno o più gruppi armati organizzati, o tra i gruppi stessi [1].


Storicamente, i NIAC erano considerati una questione interna degli Stati interessati, a cui non si applicavano disposizioni di diritto internazionale. Questo punto di vista è fortemente cambiato in seguito all’adozione dell’articolo 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, in cui gli Stati hanno deciso di determinare garanzie minime da rispettare durante i conflitti che non hanno carattere internazionale. La nozione di conflitto armato non internazionale è stata riaffermata e trattata di conseguenza nell’articolo 1 del protocollo aggiuntivo II, che integra l’articolo 3 comune introducendo il requisito del controllo territoriale. Esso prevede che le forze armate dissidenti o altri gruppi armati organizzati “esercitano, su una parte del suo territorio, un controllo tale da permettere loro di condurre operazioni militari prolungate e concertate, e di applicare il presente Protocollo”.


Anche i tribunali internazionali hanno contribuito alla consueta evoluzione delle norme sul diritto internazionale umanitario applicabili ai NIAC. Oggi è ampiamente accettato che le regole più dettagliate dei conflitti internazionali possano fungere da quadro per l’interpretazione dei principi generali dei NIAC o essere applicate ad essi per analogia. Pertanto, le norme applicabili ai conflitti armati non internazionali sono contenute anche nel diritto internazionale umanitario consuetudinario.


Al fine di poter classificare una situazione come conflitto armato non internazionale, devono essere soddisfatti due criteri:

  • I gruppi armati coinvolti devono mostrare un grado minimo di organizzazione, quindi possedere una catena di comando (far rispettare ordini, pianificare e lanciare operazioni militari coordinate su larga scala, capacità di reclutare, addestrare ed equipaggiare nuovi combattenti e controllare parte del territorio nazionale);

  • Il conflitto armato deve raggiungere un livello minimo di intensità, determinato da indicatori quali la durata e la forza dei combattimenti, le forze e le truppe coinvolte, le armi utilizzate, il numero delle vittime e i danni causati.

Va ricordato che i NIAC sono diversi dalle altre forme di violenza collettiva. Come affermato nell’articolo 1, paragrafo 2, del protocollo aggiuntivo II, il DIU non si applica “[…] alle situazioni di tensioni e disordini interni, come le sommosse, gli atti isolati e sporadici di violenza e altri atti analoghi, che non sono considerati come conflitti armati”. Tuttavia, la non applicabilità non significa una minore tutela per le persone.


Il fatto che un gruppo non statale sia parte di un conflitto armato non gli conferisce alcuno status ai sensi del DIU. Tuttavia, crea obblighi legali significativi nei confronti di qualsiasi parte coinvolta nei combattimenti, come la garanzia del trattamento umano alle persone di qualsiasi delle parti ferite durante le ostilità. Vale la pena ricordare che l’applicazione del DIU non pregiudica la sovranità di uno Stato o il diritto di un governo di reprimere la ribellione con la forza armata e di perseguire gli insorti secondo le proprie leggi. Il DIU regola solo come si svolgono i combattimenti, non perché.

Macerie
Fig.2 Fonte: History.com

2. Sfide contemporanee alla classificazione


La classificazione dei conflitti armati è sempre stato un argomento complesso per avvocati e giuristi. Nel classificare i conflitti armati contemporanei, è necessario considerare alcuni fattori che possono porre sfide alla catalogazione tradizionale. Infatti, ci sono situazioni in cui coesistono sia IAC che NIAC, o questa coesistenza si sviluppa durante l’evoluzione di un conflitto o, ancora, diversi attori non statali combattono l’uno contro l’altro.


Nel caso di intervento militare da parte di uno Stato estero a supporto di un altro Stato, quindi quest’ultimo non rappresenta un obiettivo e acconsente all’intervento, il conflitto rimarrà di carattere non internazionale. La questione è però meno chiara quando uno Stato interviene nel territorio di un altro Stato senza consenso e conduce la sua azione militare solo contro attori non statali, di solito in risposta ad azioni perpetrate da gruppi armati provenienti dal territorio dello Stato territoriale, eventi non troppo difficili da vedere in epoca contemporanea.


Quando si classificano i conflitti armati, sembrano essere due le scuole di pensiero più seguite [2]. La prima afferma che qualsiasi uso della forza sul territorio di un altro Stato senza consenso costituirà un IAC. L’altra, più ampiamente sostenuta, asserisce che un intervento non avente come bersaglio organi o beni dello Stato, diretto esclusivamente contro un gruppo non statale, è considerato NIAC (qualora fossero soddisfatti i criteri di intensità e organizzazione), nonostante il mancato consenso dallo Stato territoriale. Tuttavia, nel diritto internazionale, la questione non è ancora stata risolta in modo definitivo. Di sicuro, un intervento può avere un impatto sulla popolazione di uno Stato o sulle sue risorse nazionali ma, se questi sono ubicati dove opera il gruppo armato, probabilmente non saranno più sotto il controllo dello Stato territoriale, quindi non potranno più essere identificati con tale Stato per alcuno scopo connesso agli obblighi di legge sullo svolgimento delle ostilità. Diverso è se lo Stato che interviene occupasse il territorio. In questo caso, inizieremmo a parlare di IAC [3]. Quindi, in assenza di una chiara occupazione, è difficile presumere che gli attacchi diretti contro un gruppo armato organizzato che opera all’interno di uno Stato possano essere considerati un attacco a quello Stato.


Solo nel caso in cui i due Stati siano coinvolti in ostilità tra loro o se le forze armate imprigionassero membri dell’altro Stato, si attiverebbe l’applicabilità del sistema IAC. Dipende quindi dalla situazione ad hoc, non dalla semplice violazione della sovranità. Molti esempi supportano questa tesi, come le azioni intraprese dalle forze armate keniote in Somalia per combattere Al-Shabaab, e in nessuno di questi gli Stati interessati si considerano coinvolti in un conflitto armato tra loro. Questo vale anche per l’intervento anti-Isis degli Stati Uniti in Siria.


Si potrebbe aggiungere una terza posizione, sicuramente minoritaria, la quale sostiene che la classificazione debba basarsi principalmente sulla natura delle parti, quindi sul coinvolgimento di almeno un attore non statale e non sul consenso o meno da parte dello Stato territoriale.


Il caso è diverso quando uno Stato sostiene gruppi armati che agiscono sul territorio di un altro Stato. Quello che può sembrare un NIAC tra lo Stato territoriale e il gruppo armato, equivale a un IAC tra lo Stato territoriale e il paese che sostiene gli attori non statali, se questo esercita un controllo generale sul gruppo (organizza, coordina o finanzia le operazioni).


Quindi, si può concludere che, per poter classificare le diverse categorie di ostilità, dovrebbero essere presi in considerazione i seguenti fattori:

  • la natura delle parti coinvolte nelle ostilità (attori statali o non statali);

  • come viene condotto l’intervento (contro lo Stato o gruppo non statale);

  • se lo Stato che interviene occupa parte del territorio;

  • presenza di persone private della loro libertà;

  • il controllo del territorio, della popolazione e delle infrastrutture dello Stato territoriale;

  • il rapporto tra il gruppo armato e lo Stato territoriale;

Attualmente, secondo il diritto internazionale consuetudinario, le differenze tra le due categorie di conflitto stanno lentamente scomparendo. Dopo dieci anni di ricerche e studi, il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) ha concluso che 141 su 161 norme di diritto umanitario consuetudinario si applicano ai conflitti armati internazionali così come a quelli non internazionali. La natura dei conflitti armati contemporanei sta gradualmente cambiando e la distinzione binaria tra IAC e NIAC verrà messa in discussione sempre di più.


3. Una possibile terza categoria: I conflitti internazionalizzati

UN Peackekeeping, Caschi Blu
Fig.3 Fonte: UN Peacekeeping

Un altro elemento che ostacola la categorizzazione dei conflitti armati è rappresentato dalle cosiddette “operazioni di mantenimento della pace” guidate da un’organizzazione regionale, come l’Unione europea o africana, o dalle Nazioni Unite (ONU). Alcuni sostengono che questi conflitti internazionalizzati costituiscano una terza categoria di conflitti, da etichettare come “transnazionali” o “extraterritoriali”. Tuttavia, ad oggi, ai sensi del DIU, ogni conflitto armato deve essere classificato utilizzando la distinzione binaria di internazionale e non internazionale.


Le principali preoccupazioni relative alla classificazione sono emerse sulla base di attività in cui le forze che operano sotto l’egida di un’organizzazione regionale o dell’ONU supportano un governo territoriale ospitante coinvolto in un NIAC a tal punto da diventare parte del conflitto. In questo caso, però, si parla comunque di NIAC tra Stati da una parte e gruppi armati organizzati dall’altra. Nel caso in cui le forze di pace siano coinvolte in ostilità contro uno Stato ospitante, si passerà al conflitto armato internazionale. Ciò, però, solleverebbe dubbi sul fatto che possa esserci un IAC tra un’organizzazione internazionale e uno Stato.


Nel caso di forze che operano sotto gli auspici di organizzazioni internazionali o regionali come la NATO, sono gli Stati membri che forniscono truppe a disposizione di queste organizzazioni e, tuttavia, mantengono una certa autorità sulle loro forze. Inoltre, le forze internazionali possono essere coinvolte in diversi gradi; quindi, non tutti gli Stati impegnati sarebbero considerati parte del conflitto. Inoltre, in molti casi, le forze internazionali non sono direttamente coinvolte nel combattimento, bensì forniscono supporto allo Stato territoriale contro un gruppo armato.


4. Classificazione dell’attuale conflitto armato siriano


Attualmente, nel territorio della Repubblica Araba di Siria (SAR) continuano a verificarsi conflitti multipli e sovrapposti di carattere non internazionale. Il governo siriano, aiutato dai suoi alleati, è coinvolto in vari NIAC contro diversi gruppi ribelli. Allo stesso modo, questi gruppi armati sono impegnati in NIAC interni paralleli tra loro e con le forze di uno Stato straniero

Fig.4 Fonte: syria.liveuamap.com

Valutare il grado di coinvolgimento e la relazione tra i vari attori dei conflitti armati attualmente in corso in Siria aiuterebbe a classificare la natura di questi conflitti. Insieme alle sue forze alleate, il governo siriano è coinvolto in un NIAC con la Coalizione nazionale delle forze di opposizione e rivoluzione siriana, comunemente chiamata Coalizione nazionale siriana. Anche se i gruppi di opposizione della coalizione si sono talvolta scontrati, cooperano per raggiungere l’obiettivo comune di rovesciare l’attuale governo siriano guidato da Bashar al-Assad.


Una parte separata di questo NIAC è composta da una varietà di gruppi jihadisti presumibilmente associati ad Al-Qaeda, di cui il più rilevante fino ad oggi è stato Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), successore di Jabhat al-Nusra. Pur condividendo l’obiettivo dell’opposizione di rovesciare il governo siriano, essi possiedono un’agenda propria. Grazie al livello organizzativo raggiunto, il gruppo ha potuto ottenere il controllo di una porzione significativa del territorio siriano, tanto da essere considerato una parte del conflitto armato non internazionale.


Lo stesso vale per lo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS), attivo nella SAR dal 2013. Con l’intenzione di stabilire un califfato islamista, questo gruppo si oppone al governo siriano, alla principale opposizione, ai gruppi armati curdi e ai jihadisti ideologicamente affini di HTS. Poiché è stato in grado di controllare una parte significativa del territorio e della popolazione all’interno della Siria, può anch’esso essere considerato un’altra delle parti. Un altro conflitto armato di carattere non internazionale può essere individuato nella parte settentrionale della Siria, tra le forze turche e le organizzazioni filo-curde. Gli scontri tra le forze turche e le milizie curde siriane lungo il confine sono notevolmente aumentati di numero e di intensità dal febbraio 2016, prova che la soglia è stata superata.


Infine, la coalizione internazionale anti-ISIS guidata dagli Stati Uniti, ha avviato operazioni aeree in Siria contro le posizioni detenute da Daesh nel settembre 2014 e da allora sono stati condotti più di 9000 attacchi aerei. Inoltre, gli Stati Uniti conducono operazioni contro il gruppo Khorasan, affiliato di Al-Qaeda e impegnato anche in un NIAC con il governo siriano.


L’intervento di Russia e Iran, così come delle milizie Hezbollah e quelle sciite dalla parte della SAR, non intacca la classificazione del conflitto, né costituisce un altro conflitto, poiché sono a diretto sostegno del governo. Non ci sono prove che gli alleati agiscano in nome dei loro Stati di origine o esercitino un controllo, più di una semplice influenza, sul governo siriano. Considerazioni simili possono essere fatte in relazione agli Stati che forniscono supporto alle forze ribelli, come la Turchia, che ha offerto rifugio sul suo territorio alla leadership dell’Esercito Siriano Libero e ha assicurato una relativa libertà di movimento ai combattenti dell’opposizione, o un paio di paesi del Golfo Arabo come Arabia Saudita e Qatar, che contribuiscono all’approvvigionamento di armi dei gruppi ribelli o ancora come l’Unione Europea e gli Stati Uniti offrono assistenza tecnica ai ribelli; tuttavia, poiché non ci sono prove che questi Stati svolgano un controllo diretto sui gruppi, i conflitti rimangono di carattere non internazionale.


5. Conclusioni


Non vi è ancora consenso, nella prospettiva del DIU, su come valutare i NIAC contemporanei e come essi si relazionino tra loro. Classificare i conflitti armati è tutt’altro che un compito facile e i NIAC sono un tema ancora più controverso. Come analizzato sopra, due visioni principali riguardanti il ​​consenso dei governi all’intervento militare straniero influenzano la classificazione. Tuttavia, il consenso (o la mancanza di consenso) da parte di uno Stato non dovrebbe essere visto come un fattore determinante affinché un conflitto diventi internazionale. I dibattiti continueranno sul ruolo che il consenso dovrebbe svolgere e su come altri fattori possono influenzare la categorizzazione dei conflitti armati. Allo stesso modo, restano oggetto di dibattito altre questioni relative alle conseguenze della classificazione. Inoltre, è spesso più facile effettuare la categorizzazione quando il conflitto è finito. Per questo motivo, sarebbe più comodo se le regole per entrambi i tipi di conflitto fossero identiche.


Le varie ostilità armate all’interno dei confini della Siria sono scaturite da una rivolta popolare iniziata i primi mesi del 2011, per arrivare a una complessa serie di conflitti che hanno coinvolto diverse parti che includono attori sia statali che non statali. Le difficoltà incontrate nel dare una classificazione giuridica al conflitto armato siriano, sollevano preoccupazioni sulla validità della tradizionale divisione tra IAC e NIAC.


Ci sono molte discussioni in corso sull’attuale dicotomia proposta dal DIU e se questa sia sufficiente ad affrontare i nuovi scenari o se siano necessarie nuove classificazioni. Con i nuovi tipi di guerre, significativamente diverse da quelle per le quali è stato inizialmente sviluppato il diritto dei conflitti armati, sorge la necessità di adattare il DIU alle sfide poste dalla contemporaneità. Rinegoziando alcune norme e colmando le lacune legislative esistenti, sarebbe possibile garantire una maggiore applicabilità del diritto ai conflitti moderni.

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Note


[1] Non vi è una reale differenza tra NIAC e guerra civile. L’articolo 3 comune non utilizza il termine guerra civile, ma si riferisce a “conflitto armato che non presenti un carattere internazionale”.

[2] Per approfondimenti: https://pure.uva.nl/ws/files/2807052/177096_92IntlLStudSerUSNavalWarC.pdf [3] Un territorio è considerato occupato quando è sotto l’autorità di un esercito ostile.


Bibliografia

  • D. E. GRAHAM, Defining Non-International Armed Conflict: A Historically Difficult Task.

  • International Law Studies, Vol.88, p. 43-55.

  • T. D. GILL, Classifying the Conflict in Syria. International Law Studies (Naval War College), 92,

  • 353-380.

  • F. ANGELI, The Distinction between International and Non-International Armed Conflicts: Challenges for IHL?, 2015.

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