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L’identità degli Ebrei di Persia: in bilico tra Sionismo e Giudaismo

  • 15 ott 2021
  • Tempo di lettura: 21 min
Scorcio della città di Yazd con la sinagoga Molla Agha Baba e, in fondo, la moschea Jāmah. (The Yeshiva world)

Introduzione


L’insieme delle comunità giudaiche in Iran rappresenta il secondo più numeroso dopo quella di Israele nell’intero Medio Oriente e confessione tra quelle minoritarie riconosciute e rappresentate politicamente. Al contrario di quanto si possa pensare, gli ebrei rimasti in Iran dopo la creazione dello Stato di Israele nel 1948 e in seguito alla Rivoluzione khomeinista del 1979, vi risiedono volontariamente non condividono il progetto politico sionista dal quale spesso si distaccano.


Non sembra esserci conflitto tra identità giudaica e persiana, nonostante le fonti non sempre rinuncino alla faziosità delle narrazioni su dei gruppi estremamente endogamici.

Consapevoli della differenza che la storiografia fa tra ebraismo e giudaismo nel presente lavoro, le due connotazioni sono usate in modo equivalente.


1. Il quadro storico - ideologico


3 agosto 2005: Mahmud Ahmadinejad si insedia alla Presidenza della Repubblica Islamica d’Iran.

Fin da subito sbalordisce il mondo diplomatico con i propri discorsi e i duri attacchi verbali sferrati contro lo Stato ebraico. Il 26 ottobre dello stesso anno, Ahmadinejad pronuncia un discorso infuocato a una conferenza al Ministero degli Interni iraniano intitolata "Il mondo senza Sionismo" in cui chiede che Israele venga "cancellato dalla mappa”.


Nei successivi 8 anni di presidenza, innumerevoli sono state le affermazioni e le minacce da parte del Presidente nei confronti dello stato ebraico e alla stessa cultura ebraica. Degna di nota è stata la due giorni di conferenze dell’11-12 dicembre 2006 tenutasi a Tehran dal titolo “Conferenza Internazionale per la revisione della visione globale sull’Olocausto” a cui hanno partecipato esponenti del Ku Klux Klan, membri del partito nazionalista francese Front National, membri del partito di ultradestra tedesco Nationaldemokratische Partei Deutschlands (NPD) e personaggi noti per le loro posizioni negazioniste, antisemite e antisioniste.

Per comprendere a pieno la posizione di Mahmoud Ahmadinejad e i suoi “folli” discorsi incendiari, si deve prima analizzare l'idea dell’ayatollah Ruhollah Khomeini, ideologo della Rivoluzione islamica iraniana del 1979, fondatore e prima Guida Suprema della Repubblica Islamica d’Iran.

L’idea di Khomeini

L’idea che Khomeini sviluppa negli anni della propria formazione religiosa viene modellata sia dallo scenario interno iraniano che dalle correnti globali. Il substrato ideologico del khomeinismo è un composto di sciismo politico e nazionalismo iraniano; tuttavia uno dei principi cardine che ha influenzato l'ideologia è stato la posizione di “paese minacciato” dalle potenze straniere che l'Iran ha assunto durante gli ultimi due secoli della propria storia. L’influenza politica imperiale o coloniale dell'Impero ottomano, della Russia zarista, dell'Unione Sovietica, del Regno Unito e degli Stati Uniti hanno creato un nocciolo duro ideologico anti-imperialista e anti-coloniale nella maggior parte degli intellettuali iraniani del ventesimo secolo.


Khomeini, influenzato dal bipolarismo USA/URSS della scena internazionale, era molto diffidente nei confronti di altri tipi di governo di stampo laico. Nell’opera Hokumat-e Islami: Velāyat-e Faqih, “Il governo islamico: l’autorità del giurisperito” sostiene che non c’è differenza tra democrazia, comunismo, dittatura o dispotismo e che l’unico governo equo giusto è quello incardinato nei dettami della Sha’ria, rendendo così l’Islam sciita un sistema politico adatto al governo statale.


Lo slogan politico di Khomeini, cantato nelle piazze in rivolta contro la monarchia Pahlavi, strettamente alleata dell’Occidente coloniale e sostenuta da esso con attrezzature belliche e tecnologie, era "né Oriente né Occidente" dal momento in cui immaginava la Rivoluzione islamica come una terza via tra Stati Uniti e URSS.


Una parte molto significativa dell'ideologia di Khomeini è la posizione anti-israeliana e anti-sionista derivante dalla sfiducia della classe intellettuale nei confronti delle potenze straniere fin qui analizzata. Lo stato ebraico viene considerato infatti come l'avanguardia statunitense nella regione e viene additato come un canale di influenza sul mondo islamico e portatore di un'ideologia colonizzatrice ed espansionistica.


Nell’Idea di Khomeini, il dovere del mondo islamico è combattere contro lo Stato sionista fino alla sua completa eradicazione attraverso la Resistenza islamica.


Israele nemico ideologico

La Repubblica Islamica, perciò, vede Israele in termini ideologici ma non irrazionali.


Due motivi per i quali Israele rappresenta la minaccia più grave sono la stretta alleanza con gli Stati Uniti d'America, definito come il “Grande Satana”, e la volontà da parte dell'entità sionista della creazione della Grande Israele, già iniziata a scapito della popolazione araba palestinese.


Ad oggi, a distanza di 42 anni dall’istituzione della Repubblica islamica sui dettami dell’idea khomeinista, la leadership iraniana, che provenga dall’ala conservatrice o dall’ala pragmatico-riformista, vede lo Stato ebraico come una base del colonialismo occidentale e un pilastro dell'imperialismo americano in Medio Oriente, in base alla stessa cultura anticoloniale ed anti-imperialista nata nelle élite culturali lungo tutto il XIX secolo. Inoltre, Teheran ritiene che la percepita ostilità degli Stati Uniti nei confronti della Repubblica Islamica sia in parte guidata dall'influenza "sionista" a Washington.


L'ostilità della Repubblica Islamica nei confronti di Israele va intesa perciò più come una missione rivoluzionaria che prescinde da motivazioni antisemite e razziali. Dal punto di vista della Repubblica Islamica, Israele è un'entità aliena; la maggior parte della sua popolazione non fa parte del tessuto regionale ma sono colonialisti occidentali conquistatori della Palestina e al-Qods – Gerusalemme – uno dei luoghi più sacri dell'Islam.


La realtà fin’ora descritta addensa sulla Repubblica islamica d’Iran non solo l’ombra del “paese canaglia” anti-occidentale, disinteressato al riconoscimento internazionale e persecutore delle minoranze religiose, ma accentra su di sé anche lo spettro dell’antisemitismo più bieco mosso dall’odio ideologico.


Tuttavia, è paradossale constatare che l’odierno Iran, ad oggi, ospiti la più grande comunità ebraica del Medio Oriente dopo Israele ma soprattutto che abbia rappresentato la culla dell’ebraismo biblico, andando a costituire una delle realtà più vetuste e stabili della componente etnica di tutto l’altopiano iranico. Di fatto, gli ebrei persiani compongono non solo una delle più antiche comunità ebraiche del mondo intero, ma anche una delle fibre più arcaiche del variegato tessuto della popolazione iraniana.


La comprensione dell’improbabile e inspiegabile, ai più, presenza ebraica in Iran passa attraverso la storia della comunità giudaica residente da ben più di due millenni in questo territorio.

Matrimonio ebraico sancito dal rabbino della comunità ebraica, Tehran (Mauriello)

La presenza storica della componente ebraica in Iran

L’epoca dell’Esilio assiro dal Regno del Nord

Gli inizi della storia ebraica in Iran risalgono alla tarda epoca biblica. I libri di Isaia, Daniele, Esdra e Neemia contengono già riferimenti e accenni alla vita degli ebrei in Persia.

Gli ebrei persiani hanno vissuto nei territori del moderno Iran in modo continuativo da oltre 2.700 anni dall’epoca, quindi, della prima diaspora ebraica, quando il re assiro Salmanasser V conquista nel 722 a.C. il regno di Israele espellendo le tribù israelitiche nella terra dei Medi, nell’odierno Iran. Altre fonti bibliche suggeriscono la presenza di esponenti di tribù ebraiche nei pressi di Rhages, odierna Rey, ed Ecbatana, odierna Hamedan, già al tempo degli Assiri (Tobiah 6:12).

L’epoca di Ciro il Grande, 559 aC – 330 a.C.

Quando Ciro, fondatore della dinastia Achemenide invade Babilonia nel 539 a.C., viene acclamato da molti dei capi ebrei prigionieri come il liberatore designato dal profeta Geremia e colui che permetterà il ritorno degli israeliti nella terra di Giuda (Geremia 29:14).

Il Cilindro di Ciro (539-530 a.C.), resoconto della conquista di Babilonia e della destituzione di Nabonide da parte di Ciro il Grande, viene tuttora considerato come il primo documento della storia dei diritti umani, tanto che una copia è esposta nel Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite a New York, dal 1971.

Fonte https://www.nationalgeographic.com/culture/article/cyrus-the-great

Di fatto, Ciro il Grande credeva fermamente di essere il prescelto da Marduk, la principale divinità babilonese, per governare equamente l’impero persiano rispettando la libertà religiose di tutte le nazioni. È questa la missione divina che nel 539 a.C. lo porta alla ricostruzione dei templi che Nabonide aveva profanato, a liberare gli ebrei imprigionati a Babilonia insieme ai prigionieri babilonesi di tutti i gruppi etnici e religiosi e a sancire la libertà di culto e fede in tutto il regno Achemenide.

Nel 538 a.C. Ciro avvia la restaurazione del Tempio di Gerusalemme, ricevendo dagli ebrei l’epiteto di "unto di Dio" (Isaia 45: 1-4) e permettendone il ritorno in Giudea.

Nonostante gli ottimi rapporti tra Ciro il Grande e la popolazione ebraica, durante il regno del suo successore Serse vengono emanate le prime misure antiebraiche. Il primo tentativo documentato di distruggere la minoranza ebraica della Persia avviene durante il regno di re Serse (486-465 a.C.) il quale era sposato con la regina ebrea Ester. Il racconto biblico narra di come Aman, ministro di re Serse, volesse emanare un editto di esecuzione di tutti gli ebrei dell’impero. La regina Ester e suo zio Mordechai riescono a far revocare l’editto e uccidere il ministro Aman, salvando così tutti gli ebrei dell’Impero (Ester 9: 5-12). Le tombe della regina Ester e di Mordechai sono tuttora visitabili nella città iraniana di Hamedan, luogo che ogni anno accoglie il pellegrinaggio di centinaia di fedeli ebrei.

Il mausoleo della regina Ester e di Mordechai, Hamedan (Headtopics)

Il periodo partico, 247 a.C - 224 d.C

I re partici consideravano se stessi gli eredi dell’impero di Ciro il Grande, salvatore degli ebrei. In quanto eredi dell’impero Achemenide, i Parti si sono contraddistinti per una grande tolleranza nei confronti di tutte le minoranze, in particolare quella ebraica. Fonti documentali riportano la conversione in massa di alcuni vassalli parti al giudaismo.

L’età sasanide, 224-651

Il regno dei Parti viene rovesciato nel 224 d.C. da Ardeshir I, primo esponente della nuova dinastia dei Sasanidi. La tolleranza religiosa che contraddistingue il regno dei Parti viene meno dal momento in cui i Sasanidiesaltano le tradizioni antico persiane promuovendo la lingua pahlavi – paradossalmente scritta in alfabeto aramaico - ed eleggendo fede di Stato la religione zoroastriana. Come documentato da un'iscrizione zoroastriana sacerdotale attestata tra il 276 e il 293 d.C., tale scelta porta alla soppressione delle altre religioni tra cui ebraismo, cristianesimo e buddismo.

In particolare, due sono i regnanti della dinastia sasanide fondamentali per gli ebrei in questo periodo: Shapur I e Shapur II.


Sotto il regno di Shapur I inizia la compilazione del Talmud babilonese - completato nel 600 d.C - a tutt’oggi il documento più importante della teologia e del diritto giudaico e che racchiude tra le sue righe innumerevoli termini di derivazione dalla lingua farsi.

Shapur II viene ancora oggi ricordato come protettore delle genti ebraiche per merito della grande libertà di culto che dona a questa minoranza.

Nonostante la buona propensione dei primi re Sasanidi, con lo scorrere dei secoli la violenza nei confronti delle altre religioni non si arresta. Nel V secolo, sia i cristiani che gli ebrei subirono pesanti persecuzioni durante i regni di Yazdegerd II e Piruz.


Il primo periodo islamico, 634 – 1255

L’arrivo degli arabi mette fine alla dinastia Sasanide, colpevole di persecuzioni contro le minoranze religiose, inclusi gli ebrei. Tuttavia, il cambio di religione e di regime apportato dai musulmani non portò ad un miglioramento delle condizioni delle minoranze.


Dopo la conquista islamica della Persia, coloro che non si sottomettono all'Islam vengono costretti ad accettare lo status di dhimmi, cioè sudditi non musulmani che possono vivere secondo le proprie leggi religiose ma che sono tenuti a sottomettersi alla preminenza musulmana pagando pesanti tasse. In cambio sono loro garantite libertà di culto, trattamento umano e protezione.


Lo status di dhimmi viene garantito solo alla ahl al-kitab, le genti del Libro di fede monoteista: ebrei, cristiani e zoroastriani, e sono esenti da varie di attività sociali e legali: viene loro proibito portare armi, andare a cavallo, testimoniare in tribunale nei casi che coinvolgevano un musulmano e spesso erano tenuti a indossare abiti che li distinguessero chiaramente dai musulmani.

Tuttavia, lo status di dhimmi viene revocato nel 1256 con l’arrivo dei mongoli di Gengis Khan, i quali aboliscono le differenze di trattamento tra religioni e proclamano l’equità tra tutte le fedi.


La Dinastia Safavide, 1502 – 1736

Il periodo safavide rappresenta il peggiore periodo per gli ebrei persiani e le minoranze religiose in generale poiché vennero imposte conversioni sistematiche e sommarie per mezzo di torture, espulsioni di massa e omicidi.


I Safavidi proclamano lo sciismo duodecimano religione di Stato. Tale decisione sfocia nella crescente esclusione, segregazione e maltrattamento dei non sciiti dal momento in cui lo sciismo attribuisce grande importanza alla purezza rituale; i non musulmani, inclusi gli ebrei, vengono considerati ritualmente impuri, najes.


I contatti fisici vengono pertanto limitati al fine di ovviare alla questione dell’impurità. Vengono promulgate norme esplicitamente segreganti nei confronti degli ebrei. Alcune regole includevano la non possibilità di uscire di casa con la pioggia poiché le loro impurità sarebbero state lavate dall’acqua rendendola impura, la non possibilità di comprare frutta fresca, l’obbligo di indossare toppe di riconoscimento e campanelli per avvertire il loro arrivo.

Il culmine della persecuzione si raggiunse sotto il regno di Shah Abbas II quando la maggioranza della comunità ebraica viene costretta a cambiare fede e diventare musulmana; molti ebrei si suicidano o vengono massacrati. Altri divengono anusim (traduzione letterale dall’ebraico: “coercizzato”, “forzato”) professando in pubblico la fede islamica ma in privato quella ebraica.


L’epoca delle dinastie turche Qajar, 1795 – 1925

Il periodo Qajar è caratterizzato da un forte antisemitismo, similmente all’antecedente periodo Safavide.

Nei quasi due secoli della dinastia Qajar, gli ebrei persiani sono vittime di disuguaglianze, discriminazioni civili e vengono obbligati a restrizioni religiose, sociali, occupazionali.

Gli ebrei erano stati privati ​​del diritto di possedere terreni, proprietà, negozi e gli era stato impedito di esercitare numerose professioni. Parallelamente, gli ebrei nelle grandi città ricoprivano posizioni rispettabili; molti erano medici e ostetriche.


Tuttavia, l’800 fu testimone di gravi violazioni nei confronti degli ebrei. Si verificano esecuzioni di massa, violazioni di donne ebree, massacri e saccheggi. Tra il 1834 ed il 1839, gli ebrei di Tabriz e Mashad vengono costretti alla conversione all’Islam ed alcuni massacrati; molti di essi divengono anusim.


La svolta verso il miglioramento delle condizioni di vita delle comunità ebraiche persiane viene impresso solo dalla Rivoluzione Costituzionalista del 1906 durante il regno di Muzaffar al-Din Shah (1896-1907). L’obiettivo della Rivoluzione Costituzionalista era quello di formare un'identità nazionale persiana laica, soppiantando l’identità religiosa imposta dalle dinastie precedenti, stabilendo la coesistenza delle minoranze religiose all’interno del Paese. Secondo questa politica, gli ebrei vengono visti in primis come cittadini persiani di pari diritto con la possibilità di eleggere un delegato rappresentante la comunità nel Majles, il parlamento.


Ulteriori miglioramenti nelle condizioni delle comunità ebraiche persiane avvengono per merito della Dichiarazione di Balfour del 1917 in cui il governo britannico incentiva la creazione di “una dimora nazionale per il popolo ebraico”. Il ritorno a Gerusalemme degli ebrei persiani inizia alla fine del XVIII secolo in quanto era comune credere che un ritorno a Sion sarebbe avvenuto in associazione con la venuta del Messia; la Dichiarazione Balfour è stata percepita proprio come l’inizio della Ha-ge'ulah (la Salvezza) e come segno della ricostruzione del terzo Tempio.

La Dichiarazione è stata anche lo stimolo per l'inizio di attività sioniste organizzate in Persia. Vengono istituite associazioni, tra cui l'Organizzazione sionista nel 1918, per facilitare l'emigrazione e promuovere studi ebraici e legami più stretti con il mondo ebraico, oltre a fornire assistenza agli ebrei persiani e stabilire relazioni con le autorità statali.


È in questo periodo di relativo benessere che il sionismo inizia a causare tensione e bipolarismo tra l'identità persiana e quella ebraica; la leadership ebraica si dissocia dal movimento sionista insistendo su una separazione tra ebraismo e sionismo.

Federazione Sionista in Iran, 1920

Dinastia Pahlavi, 1925 – 1979


Il significativo miglioramento della situazione sociale ed economica dell'ebraismo iraniano in tempi moderni deve essere attribuito alla separazione tra religione e politica attuata da Reza Shah, divisione che ha profondamente minato il potere del clero sciita.


Reza Shah aspirava alla costruzione di una Persia moderna politicamente influente dalle solide basi laiche sul modello nelle nuove nazioni occidentali.


Le politiche di laicizzazione hanno notevolmente migliorato la situazione delle minoranze religiose, e di conseguenza anche degli ebrei persiani, le quali hanno assistito all’abrogazione di tutte le leggi discriminatorie come le tasse aggiuntive sui non musulmani, le restrizioni su abbigliamento, residenza, istruzione e occupazione, nonché permettere di servire nel servizio di leva e iscriversi alle scuole statali. Nello specifico, gli ebrei iniziano a lasciare i ghetti per aprire negozi in località commerciali, il che porta a un notevole sviluppo della loro situazione economica.


È per merito di queste politiche secoralizzanti che l'ebraismo iraniano ha scelto di unirsi ai valori nazionali iraniani integrandoli nella loro identità ebraica persiana.


L’obiettivo della comunità ebraica iraniana era quello di essere percepiti come parte del tessuto sociale persiano; pur aderendo alla propria religione e identità ebraiche, hanno comunque abbracciato insegnamenti, valori e simboli laico-nazionalisti. Simbolo importante adottato dalla nuova identità nazionale è re Ciro il Grande, liberatore degli ebrei ed eletto da loro come “Unto da Dio”.

Tuttavia lo spettro dell’antisemitismo ritorna prepotente con l’ascesa del partito Nazional Socialista in Germania che porta allo sviluppo di legami economici e diplomatici instaurati da Reza Shah con la Germania di Hitler al fine resistere all’ingerenza di Gran Bretagna e Russia, le quali invaderanno la Persia mettendo fine al regno di Reza Shah nel 1941.

Mohammad Reza Shah, 1941 – 1979

Lo status degli ebrei ritorna a migliorare sotto Mohammad Reza Shah, erede di Reza Shah, il cui regno rappresenta l'era più prospera per gli ebrei iraniani.


Gli anni '50 e '60 si configurano come un periodo di intensa costruzione dell’identità nazionale persiana i cui effetti sono ancora oggi riscontrabili. Nell’obiettivo delle nuove politiche nazionali dello scià vi sono l’omogeneizzazione della società, che includeva la totale inclusione delle minoranze etniche e religiose nel tessuto sociale e popolare. La comunità ebraica non si oppone ma, anzi, si identifica a pieno nelle aspirazioni e nei valori nazionalisti monarchici che, de facto, hanno notevolmente migliorato lo status socio-economico e giuridico degli ebrei iraniani. Negli anni '70 essi erano ben integrati nella società iraniana e contribuivano vivamente alla campagna di industrializzazione e occidentalizzazione dell'Iran (Houman Sarshar 2002: xix) aiutando nell'emersione della classe media nei grandi centri urbani composta da industriali, imprenditori, commercianti e medici. I loro diritti politici erano identici ai musulmani seppur non abilitati a ricoprire alti ruoli istituzionali (Wistrich 210: 840).


Tuttavia, mentre nelle città la situazione della comunità ebraica è prospera, nei piccoli centri urbani, restii alla modernizzazione e ben saldi ai precetti religiosi, l’identità ebraica risulta ancora problematica. L’impurità rappresentata dal non musulmano è ancora rilevante ed in particolare la credenza nell'ebreo impuro aveva radici profonde che non potevano essere sradicate all'istante tramite le politiche modernizzanti. Il sentimento antiebraico, appartenente esclusivamente alla popolazione rurale e alle fasce meno abbienti della società, viene ulteriormente esacerbato dall'istituzione dello stato di Israele nel 1948: gli ebrei vengono spesso minacciati, insultati e aggrediti, in particolare nei bazar e nelle piccole città.


Di contro, a livello istituzionale, l’Iran è stato il primo paese islamico a riconoscere l'istituzione di Israele nel 1951; i legami commerciali e diplomatici continuano fino al 1979, anno della destituzione dell’ultimo scià di Persia e conseguente istituzione della Repubblica islamica d’Iran.


Repubblica Islamica d’Iran, dal 1979 ad oggi

La proposta di un Iran laico legato alla propria storia preislamica imperiale, massimamente inclusiva verso tutte le minoranze religiose che compongono il tessuto sociale, finisce con l’arrivo della Rivoluzione Islamica guidata dall'ayatollah Khomeini.

Durante la Rivoluzione iraniana, molti ebrei iraniani si sono uniti alle rivolte mettendo da parte la loro identità ebraica per entrare a fare parte dell'utopia rivoluzionaria. Nell'estate del 1978, dai 7000 ai 12000 ebrei hanno protestato contro il governo monarchico e quasi tutti i leader religiosi della comunità ebraica iraniana, come l’influente Yedidia Shofet, hanno partecipato alle proteste rendendosi anche determinanti nella collaborazione.


A Rivoluzione ultimata viene istituita la Repubblica Islamica d’Iran, basata sui precetti fondamentali dell’Islam di corrente sciita duodecimana. Lo sciismo torna politicamente in voga similmente all’epoca Safavide.


Non mancheranno i dissidi tra comunità ebraica e governo islamico: tra il 1979 e il 1981 i tribunali rivoluzionari islamici condannano a morte 17 ebrei con l’accusa di sionismo e collegamenti con Israele. Il 16 marzo 1979, Habib Elghanian, capo onorario della comunità ebraica, viene arrestato con l'accusa di corruzione e sionismo, processato da un tribunale rivoluzionario islamico e condannato a morte. Dopo l'esecuzione, Khomeini informò i leader della comunità ebraica che la ragione dell’esecuzione di Elghanian non era la sua religione e che l'Islam rispetta le minoranze, purtuttavia condannando comunque il sionismo: "Noi distinguiamo tra la comunità ebraica e i sionisti. Il sionismo non ha nulla a che fare con la religione. I sionisti non seguono la religione, poiché il loro metodo è contrario al corso tracciato dal profeta Mosè: pace bene su di lui». Nonostante il governo abbia negato che Elghanian fosse stato giustiziato a causa della propria identità ebraica, le accuse comunque allarmano la comunità ebraica iraniana la quale inizia ad emigrare in massa, similmente alle altre minoranze religiose. Nel giro di qualche anno, la popolazione ebraica sembra essere scesa da 60000 a circa 30000 esponenti. Gran parte di loro emigrarono in Israele, mentre molti altri raggiunsero gli Stati Uniti e l'Europa occidentale.


2. Identità giudaico persiana


Tra periodi e contesti più o meno favorevoli, ad oggi l’insieme delle comunità giudaiche in Iran rappresenta circa l’1% della popolazione[1], è la più numerosa in Medio Oriente[2], seconda solo a Israele, e la diaspora più antica.

Fonte: Vice Presidency Plan and Budget Organization Selected Findings of the 2016 National Population and Housing Census, Statistical Centre of Iran, 2018

Le comunità ebraiche più importanti sono quelle di Teheran, Isfahan e Shiraz, ma la loro presenza è distribuita anche in altre regioni[3], principalmente concentrate a ovest.


Come si è potuto constatare, quella ebraica in Iran è un’antica presenza, protagonista dei cambiamenti economici e politici interni al Paese da almeno 2700 anni[4].


Tradizionalmente l’appartenenza ebraica si trasmette in linea materna e ruota intorno al patto che Dio ha suggellato con il popolo scelto. Di qui gli obblighi degli individui da una parte provengono dalla memoria culturale conservata nel passato; dall’altra dipendono dal futuro compimento delle promesse messianiche.[5] Indagando l’identità culturale, potremmo dire che, esternamente, l'ebraismo si definisce attraverso la diaspora, condizione naturale che ha influito sul suo sviluppo storico e sulla definizione di sé in relazione ai molteplici contesti, sia culturali, che territoriali, con i quali si è trovato a contatto nel corso dei secoli. Internamente esiste un nucleo di riferimento, sia etnico che religioso, che è l’autorità racchiusa nei testi sacri relativi all’antico Israele, la cui canonizzazione è da collocare fra i secc. I e II d.C.[6]


Secondo la Torah, Dio promette le terre di Canaan al suo popolo eletto, gli Israeliti, una tribù semita le cui origini risalgono al patriarca Abramo, primo a essere indicato con l’appellativo ivri, ebreo, in lingua ebraica[7]. Accanto a essa, il Talmud, testo che conserva la tradizione orale rabbinica, memoria fondamentale per un popolo disperso tra altre genti, in mezzo a culture, lingue, regimi diversi per millenni: almeno dal 70 d.C., anno della distruzione del tempio a Gerusalemme da parte delle truppe romane imperiali di Tito[8], fino al 1948 con la nascita dello Stato di Israele[9].


Nell’esilio del sec. I, i gruppi si configurano ben presto come nuclei autosufficienti, piccoli quartieri nei quali si trovano le strutture necessarie alla vita culturale: sinagoga, bagno rituale, forno per cuocere le azzime, scuole. La loro influenza economica e sociale è stata un mezzo importante per garantire la sopravvivenza fisica delle comunità ebraiche stesse nel passato tra specificità culturali locali e avvenimenti globali.


In particolare, le comunità persiane sono immerse nel pluralismo etnico-culturale che caratterizza il Medio Oriente tutto, incluso l’Iran.

Fonte http://www.farsinet.com/farsi/linguistic_composition_of_iran.html

Normalmente bilingui condividono il farsi con circa il 55% della popolazione. Sono in uso anche dialetti traslitterati in caratteri ebraici[10], pratica risalente intorno ai secc. XII-XIII e si ritrova nella comunicazione della vita quotidiana, nell’educazione alfabetica, nelle pratiche liturgiche.


Le comunità ebraiche sono tendenzialmente endogamiche e mantengono l’integrità delle attività rituali e caratterizzanti: a testimonianza di ciò, al 2016, si registra un tasso di matrimoni misti al di sotto dell’ 1%. Non si sono trovate molte fonti sull’argomento, ma uno studio pubblicato da Nature, nel 2010, su alcune mutazioni genetiche ricorrenti negli individui delle comunità ebraiche iraniane, ne dimostrano l’isolamento riproduttivo di almeno tre secoli antecedenti al XX.

Una donna ebrea iraniana in preghiera presso la sinagoga Abrishami a Teheran

Ad ogni modo, le influenze esterne non si riflettono solo nella lingua, ma anche nella produzione audiovisiva, musicale, nel rispetto delle festività nazionali, nelle usanze culinarie, nella partecipazione alla vita politica. Quest’ultima è espletata negli spazi sacri, le sinagoghe, spesso costruite a pochi metri dalle moschee, come quella della città di Yazd, per esempio; e direttamente nel majles, l’ Assemblea Nazionale Islamica (Parlamento), dove, al popolo ebraico è assegnato un posto. La Costituzione della Repubblica islamica dell’Iran, infatti, garantisce la rappresentanza istituzionale alle minoranze religiose riconosciute: zoroastriani, ebrei, cristiani[11] , e ne sancisce la parità dei diritti (Art. 19) indipendentemente dalle origini etnico- tribali, ma “nel rispetto delle norme islamiche” dettate dalla Shari’a. Ciò vuol dire che i suddetti gruppi non musulmani godono dello status di ahl al-dhimma, dhimmi. Seppur rappresentate, non è loro concesso di ricoprire alti ruoli istituzionali, all’interno dell’esercito, nell’intelligence o funzioni manageriali nell’amministrazione pubblica.


Ciò nonostante gli ebrei d’Iran si sentono parte integrante della società, in quanto cittadini. Tale sentimento è da ricollegare principalmente agli sviluppi politici del sec. XX che vogliono la creazione di un’identità nazionale persiana laica e di coesistenza delle diversità politico-culturali, a partire dalla Rivoluzione costituzionalista durante il regno di Muzaffar al-Din Shah (1896-1907). La linea è mantenuta dalla successiva dinastia Pahlavi sin dal 1925, ispirata all’epoca pre-islamica, quella della jahaliya. Contributo non indifferente è stato dato dagli avvenimenti storici globali, come la Dichiarazione Balfour del 1917 e la creazione dello Stato di Israele[12] : le pressioni ricevute dal contesto internazionale per emigrare verso la “Terra Promessa” provengono anche dalle neonate associazioni sioniste di quegli anni, interne all’Iran.


In seguito alla Rivoluzione khomeinista del 1979, che le comunità giudaiche perlopiù supportano con lo slogan “gli ebrei e i musulmani sono fratelli”[13], circa il 70% degli ebrei iraniani emigra principalmente verso gli USA, Europa occidentale e Israele, pur perpetuando l’eredità culturale irano-persiana. In generale si può dire che gli individui rimasti non aderiscono al progetto politico sionista.


Fermamente anti-israeliana e anti-sionista, nell’ideologia khomeinista lo stato ebraico viene considerato come l'avanguardia degli USA, il “Grande Satana”, nella Regione, viene additato come un canale di influenza sul mondo islamico e latore di atteggiamenti colonizzatori e espansionistici. In effetti, sotto l’ayatollah Khomeini quello che viene messo a processo, è il Sionismo, in qualità di movimento politico[14], e le sue attività di spionaggio, non l’identità giudaica in sé, anche se non sempre la linea di confine tra le due entità è stata netta.


Nel contesto post-rivoluzionario di enfatizzazione della cultura arabo-islamica, maggioritaria[15] e di forte ondata di sentimento antisraeliano che si ripercuote sulle comunità giudaiche, da un lato, il Sionismo causa tensione tra identità persiana e ebraica ponendo le comunità giudaiche in un processo di ridefinizione e ricollocazione socio-culturale, puntando alla loro identità iraniana. Dall’altra parte, dall’esterno, la mancanza di desiderio da parte degli ebrei d’Iran di unirsi allo Stato di Israele, viene percepita come incomprensibile soprattutto alla luce delle dichiarazioni fatte dal Presidente Ahmadinejad durante il suo mandato (2005-2009)[16].


3. Conclusioni


A fronte dei processi della costruzione identitaria delle comunità giudaiche in Iran, si può dire che esse sono assoluta parte integrante del contesto culturale nazionale, pur mantenendo la loro peculiare specificità. Il lealismo verso Israele ha un significato politico e militare, non storico-culturale, dal quale gli ebrei iraniani attualmente residenti nel Paese perlopiù si distaccano.


A deduzione finale di quanto analizzato sulla storia e sull'identità degli ebrei di Persia, è fondamentale affermare che l’equazione Ebraismo = Sionismo non è valida e biunivoca. Già sotto al regno delle dinastie Qajar, in concomitanza con la nascita in Europa del movimento Sionista, i rabbini delle comunità ebraiche iraniane si dissociavano dall’idea di un ritorno in massa nella terra di Giuda e Israele, invitando i fedeli a scindere tra due entità ben distinte: l’Ebraismo - quel complesso mosaico millenario composto di teologia, leggi religiose e culture provenienti dalle terre della Diaspora ebraica - e il Sionismo, movimento figlio dell’epoca dei nazionalismi laici occidentali e coloniali. Questo rifiuto è alla base della dichiarazione dell’identità degli ebrei di Persia, che respingono l’invito di una Patria comune al fine di conservare la propria specificità la quale genera in loro sentimenti di autostima, continuità, unicità e appartenenza alla più antica comunità ebraica del mondo tuttora esistente.


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Note

[1] Diverse fonti istituzionali e non analizzate, sia locali, sia europee, sia statunitensi, risalenti al decennio 2011-2021 registrano numeri percentuali che oscillano tra le 20.000 e le 8.000 unità, pari a circa lo 0,20% e lo 0,1% della popolazione https://www.state.gov/reports/2020-report-on-international-religious-freedom/iran/ ; https://www.diruz.it/schedapaese/religioni/ ; https://gulf2000.columbia.edu/images/maps/Iran_Religions_lg.png [2] Nella regione MENA altre comunità giudaiche sono storicamente presenti in Marocco, Tunisia, Egitto, Bahrain, Siria, Iraq, Yemen. Negli Emirati Arabi Uniti e in Oman sembrano esserci comunità neonate https://www.worldjewishcongress.org/en [3] A nord-est nelle regioni curde dell’Iran lungo il confine iracheno, precisamente nella regione del Sanandaj, perlopiù sunnita, alla stessa altezza verso l’interno tra i Manzadarani sciiti e sunniti, a ovest della capitale Teheran. Poi nelle province di Qaragozlu e di Kermanshah e Hamadan. Queste ultime, rispettivamente a alta e bassa densità yazida/gnostica e anche islamica sciita nel secondo caso, tra curdi e persiani. Spostandosi verso il centro, li ritroviamo tra i Tat, Persiani e Raji in regioni a maggioranza sciita nelle province dell’Arak, Kashah, e Isfan e Yazd; e ancora, scendendo, a est nella provincia perlopiù sciita dell’Ahwaz tra Persiani e Arabi. Infine a nord-ovest nella sfera perlopiù sciita abitata da stirpi turche e confinante con il Turkmenistan che combacia con le province del Mashhad [4] Cfr. quadro storico precedente. Inoltre per un approfondimento, RAHIMIYAN, O. R., My Homeland, My Diaspora: Iranian Jewish Identity in Modern Times, 2010 nota 10 [5] GROTTANELLI, C., SACCHI, P., TAMANI, G., a cura di FILORAMO, G., Ebraismo, Bari, Laterza, 1999 [6] Si sottolinea, infine, la complessità del processo di costruzione delle fonti di riferimento che contengono elementi pluriculturali GROTTANELLI, C., SACCHI, P., TAMANI, G., a cura di FILORAMO, G., Ebraismo, Bari, Laterza, 1999 pp. 4 e seg. [7] “Ivri è un appellativo di origine incerta, ma che probabilmente va ricondotto al significato della parola ever, che in ebraico indica "altra parte", "sponda opposta" (del Giordano o dell'Eufrate). Così, il verbo avar significa "attraversare". Abramo è dunque, simbolicamente colui che "sta dalla parte opposta". Questa connotazione in fondo racchiude l'essenza originaria dell'ebraismo. Abramo varcò infatti un confine geografico e materiale, abbandonando la terra in cui era nato per eseguire l'ordine divino che gli ingiungeva di recarsi lontano”. https://www.treccani.it/enciclopedia/ebraismo/ [8] Il popolo ebraico fonda il regno di Giuda e stabilisce Gerusalemme come capitale intorno al 1000 a.C. Il grande Tempio di viene distrutto da Nabucodonosor II intorno al 587-586 a.C. Dopo che Ciro libera gli ebrei dall'esilio di Babilonia nel 538 a.C., essi tornarono a Gerusalemme per ricostruire il loro tempio e la loro patria spirituale. Per un approfondimento LANGER, J, Exile from exile: the representation of cultural memory in literary texts by exiled Iranian Jewish women, 2013 [9] “Solo nella diaspora gli ebrei riescono a risolvere il conflitto tra religione e Stato” DAN SEGRE, V. Le Metamorfosi di Israele, 2006, p. 159 [10] Non è difficile imbattersi nel medio-persiano. L’antico persiano veniva scritto con la grafia cuneiforme, la lingua ha accolto diverse innovazioni nel corso della storia, incluse derivazioni dagli alfabeti scritti in aramaico e/o derivati. Di qui il nome di lingue giudeo-persiane [11] Per maggiori dettagli si rimanda al testo della Costituzione WIPO, Translation of the Constitution of the Islamic Republic of Iran, Iranian Studies, 2014 [12] Nelle nostre ricerche ci siamo spesso imbattuti in commentari, perlopiù israeliani e statunitensi, che descrivono le comunità giudaiche iraniane perseguitate e oppresse. Questo perché l’Iran non gode del favore nè di Israele, né degli USA. A titolo esemplificativo cfr. il sito istituzionale dello Stato di Israele https://www.mfa.gov.il/MFA/ForeignPolicy/Iran/Pages/Iranian_Threat.aspx . RAHIMIYAN, O. R., nel suo My Homeland, My Diaspora: Iranian Jewish Identity in Modern Times, 2010 p.71 e seg., parla anche di proposte di migrazione in Israele a pagamento per la maggior parte rifiutate con atteggiamenti indignati che dimostrano quanto la cultura giudaica sia impregnata anche di quella iraniana e islamica. [13] RAHIMIYAN, O. R., My Homeland, My Diaspora: Iranian Jewish Identity in Modern Times, 2010 p. 67 [14] Non sempre la linea di confine tra le due entità è stata netta. Ad ogni modo, il Sionismo è un movimento politico sviluppatosi a partire dalla seconda metà del sec. XIX. Nello specifico con la pubblicazione, nel 1882, dell’opuscolo Autoemanzipation: Mahnruf an seine Stammesgenossen von einem russischen Juden da parte dello scrittore Yehuda Leib Pinsker. Per approfondire la dottrina sionista DAN SEGRE, V. Le Metamorfosi di Israele, 2006 pp. 46 e seg. Per un approfondimento si consiglia DAN SEGRE, V. Le Metamorfosi di Israele, 2006 [15] Cfr. quadro storico del presente lavoro per il contesto entro il quale matura la Rivoluzione khomeinista [16] Di fronte alle dichiarazioni di Ahmadinejad le comunità giudaiche si sono limitate a esercitare il diritto di opinione come ogni altro cittadino iraniano. Essi riconoscono il diritto di Israele di esistere, quello che rifiutano (in generale) è la sua politica estera verso i palestinesi e nei confronti del mondo arabo-islamico. http://www.iranjewish.com/English.htm


Bibliografia

  • DAN SEGRE, V. Le Metamorfosi di Israele, UTET, 2006

  • DELSHAD, F., Iranian Jews and Religiosity.

  • GROTTANELLI, C., SACCHI, P., TAMANI, G., a cura di FILORAMO, G., Ebraismo, Bari, Laterza, 1999

  • LANGER, J, Exile from exile: the representation of cultural memory in literary texts by exiled Iranian Jewish women, SOAS University of London, 2013

  • RAHIMIYAN, O. R., My Homeland, My Diaspora: Iranian Jewish Identity in Modern Times, Journal Hate Studies, 2010

  • Vice Presidency Plan and Budget Organization Selected Findings of the 2016 National Population and Housing Census, Statistical Centre of Iran, 2018

  • WIPO, Translation of the Constitution of the Islamic Republic of Iran, Iranian Studies, 2014

  • LEVY, H. Comprehensive History of the Jews of Iran. Costa Mesa, Ca, 1991

  • Congressional Research Service, The Library of Congress Iran: Profile and Statements of President Mahmoud Ahmadinejad, Hussein D. Hassan, 2007

  • JASPAL R., I have two homelands: constructing Iranian Jewish identity and Israeli Persian identity, UK

Sitografia

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