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G20 2021: uno sguardo da Roma sul mondo

Dopo l’annus horribilis che è stato il 2020 a livello globale, i leader delle maggiori economie mondiali si sono riuniti a Roma ad ottobre scorso per la conclusione dei lavori della sedicesima edizione del G20. Sotto la Presidenza italiana, il foro internazionale ha discusso di come coordinare le strategie economiche e finanziarie da adottare a livello globale in risposta alla pandemia ancora in corso.


Senza sopravvalutare i traguardi raggiunti durante il G20 sotto egida italiana, la possibilità di discutere faccia a faccia dopo uno iato annuale ha rappresentato un importante segnale di rilancio del multilateralismo. Complice il contesto più favorevole dettato dall’elezione alla Casa Bianca di Biden che ha invertito la tendenza degli ultimi quattro anni al disimpegno americano sul piano internazionale e dalla decisa risposta della Commissione europea alle sfide poste dal Covid che ha restituito slancio al progetto di integrazione europea, la Presidenza italiana ha potuto dimostrare, al di là degli scetticismi che evidenziano la natura simbolica e autoreferenziale di questi incontri, l’importanza di mantenere aperto il dialogo e la cooperazione a livello internazionale per poter affrontare le sfide globali non solo in una dimensione emergenziale, ma anche strutturale.


Ospitare il G20 in Italia, dopo l’enorme impatto avuto dalla pandemia sul Paese, ha lanciato un chiaro segnale di ripartenza, quasi un riscatto, sotto lo sguardo del mondo. Ma con che occhi Roma guarda il mondo? Cosa può dirci un bilancio del G20 sulla capacità dell’Italia di incidere sugli equilibri globali e di perseguire i propri interessi sullo scenario internazionale?


1. Cos’è il G20?


Alla soglia del nuovo millennio, il sistema economico che aveva accompagnato il mondo occidentale dopo la fine della seconda guerra mondiale iniziava a scricchiolare: nella seconda metà degli anni ’90, il susseguirsi di crisi finanziarie nazionali[1] con effetti sull’economia mondiale dimostrò irrefutabilmente l’interconnessione delle economie degli Stati in un mondo sempre più globalizzato e la necessità di coordinare le risposte a tali crisi a livello internazionale. D’altra parte, la significativa crescita in quegli anni delle economie dei cosiddetti ‘Paesi emergenti’ (il gruppo BRICS, con Cina ed India in testa) mise in evidenza la scarsa rappresentatività dei fori internazionali del G7 e G8.


Per questa ragione, grazie all’idea dell’allora Primo Ministro canadese Paul Martin e del Segretario del Tesoro degli Stati Uniti Lawrence Summers, sviluppata al margine di una riunione del G7, nacque nel 1999 il ‘Gruppo dei 20’, un forum parallelo al G7 designato a riunire con cadenza annuale i Ministri dell’Economia e i Governatori delle Banche Centrali di 20 Paesi, in maniera tale da garantire una maggiore stabilità finanziaria a livello globale incentivando la cooperazione e il multilateralismo.


È proprio grazie a questi strumenti che, secondo Martin e Summers, si è potuto evitare che la crisi finanziaria del 2008 si trasformasse in una depressione economica di portata storica. L’incontro di Londra del 2009 presieduto dal Primo Ministro inglese Gordon Brown ebbe infatti il merito di mettere un freno alle tendenze protezionistiche che si stavano affermando tra i diversi Stati interessati dalla recessione e quello di portare per la prima volta ai tavoli di negoziazione del G20 non solo i Ministri dell’Economia e i Governatori delle Banche Centrali, ma anche i capi di Stato e di Governo di ogni Paese membro del Gruppo. Da questo momento in poi, inoltre, la tradizionale ‘Finance track’ viene affiancata dalla ‘Sherpa track’, nella quale ancora oggi si riuniscono gli Sherpa, ossia i diplomatici che fanno le veci del capo di Stato o di Governo presente al summit, per discutere di temi non strettamente economici come commercio e transizione energetica.


In verità, dopo l’esclusione della Nigeria per via di gravi problemi strutturali dell’economia, ad oggi il G20 è composto da 19 Paesi, a cui si aggiunge l’Unione europea. Oltre ai Paesi del G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti) e le ‘economie emergenti’ del cosiddetto gruppo BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) fanno parte del “Gruppo dei 20” anche Arabia Saudita, Australia, Argentina, Corea del Sud, Indonesia, Messico e Turchia. D’altra parte, non è raro che vengano invitati a partecipare ai summit anche Paesi “ospiti” (come la Spagna, a titolo permanente) e diverse organizzazioni e istituzioni internazionali[2].


Nonostante le fondate critiche alla netta sotto-rappresentazione del continente africano, i Paesi presenti alle riunioni del G20 rappresentano il 65% della popolazione mondiale, il 79% del commercio e l’85% del PIL globale, permettendoci così di guardare ai summit annuali del G20 come ad una sorta di ‘termometro’ dell’agenda globale. In mancanza di un Segretariato stabile in grado di monitorare il reale progresso degli accordi presi dagli Stati, il forte coordinamento tra Presidenza uscente, entrante e futura e la cadenza regolare degli incontri permettono al G20 di continuare a presentarsi come un foro di dialogo, in grado di mantenere una flessibilità tale da poter navigare le complessità di un mondo sempre più multipolare e destinato ad affrontare sfide globali multidimensionali, com’è il caso dei cambiamenti climatici, della transizione energetica e dei fenomeni migratori.

Fig.2: Roma, 30/10/2021 - La foto di famiglia dei Leader insieme ad una delegazione di medici ed infermieri impegnati nel contrasto alla pandemia da Covid-19. [CREDIT: Governo Italiano, Presidenza del Consiglio dei Ministri]

2. Un bilancio per il G20 2021


La Presidenza italiana del G20 ha preso il via l’1 dicembre 2020, a conclusione di quella saudita che, in ragione dell’emergenza sanitaria, ha dovuto lavorare in via eccezionale esclusivamente in formato digitale ai tre temi in agenda di empowerment, conservazione del pianeta e costruzione di nuove frontiere nello sviluppo tecnologico. La scelta dell’Italia di individuare in “Persone, Pianeta e Prosperità” le proprie priorità programmatiche indica una presa di coscienza del fatto che non sia sufficiente limitarsi a rispondere alle crisi attuali, bensì sia necessario prevenire quelle future, che siano di natura sanitaria, climatica o economica.


Tuttavia, va ricordato che la Presidenza italiana ha potuto beneficiare di un netto cambio di passo in materia di cooperazione internazionale: la nuova presidenza americana e la decisa risposta della Commissione europea nel fornire assistenza ai Paesi più colpiti dal virus hanno segnato un rilancio del multilateralismo che sembrava precedentemente entrato in crisi. L’Italia ha cercato di contribuire a questo slancio in ambito internazionale contribuendo a rilanciare l’efficacia del G20 come foro di coordinamento globale, ma anche di dialogo per la ricerca di soluzioni strutturali a minacce che interessano l’economia globale. Ciò nonostante, l’assenza fisica dei Presidenti cinese Xi Jinping e russo Vladimir Putin agli appuntamenti del calendario è sintomatica di una frattura che nell’era multipolare va allargandosi piuttosto che rimarginarsi.


Nell’ambito della ‘Finance Track’ i gruppi di lavoro hanno discusso di una pluralità di temi, tra cui le prospettive di riforma dell’architettura finanziaria internazionale e la ristrutturazione del debito a livello internazionale, la necessità di favorire una crescita sostenibile e inclusiva, lo sviluppo di politiche volte a rafforzare gli investimenti nelle infrastrutture. In particolare, la Presidenza italiana del G20 ha posto l’attenzione sulla necessità che la finanza supporti la transizione verde, promuovendo il Sustainable Finance Study Group già presente all’interno della ‘Finance track’ ad un vero e proprio Gruppo di Lavoro. Nell’ambito della ‘Sherpa Track’, invece, i Gruppi di Lavoro si sono occupati di istruzione e del divario digitale, di monitoraggio della salute a livello globale, di commercio internazionale, di sviluppo sostenibile e transizione energetica, di lavoro, ambiente, agricoltura, corruzione, cultura e turismo. In questo caso, l’attenzione della Presidenza italiana è stata rivolta in particolar modo alla difesa e operativizzazione del diritto alla salute a livello globale e alla promozione degli obiettivi rivolti a contrastare i cambiamenti climatici.


A conclusione degli incontri svoltisi a Roma nel mese di ottobre 2021, i leader partecipanti al G20 hanno firmato la Dichiarazione di Roma che rappresenta il testamento politico della Presidenza uscente italiana a quella entrante indonesiana. Il documento ribadisce l’importanza delle campagne vaccinali non solo per tutelare la salute degli individui, ma anche quella dell’economia, sottoposta a interruzioni delle catene di approvvigionamento. Inoltre, il documento rilancia gli impegni precedentemente contratti in ambito internazionale negli ambiti dello sviluppo sostenibile e della lotta ai cambiamenti climatici, nella fattispecie dell’Agenda 2030 e degli Accordi di Parigi del 2015. I leader si impegnano inoltre a combattere l’insicurezza alimentare secondo i termini della Dichiarazione di Matera di giugno 2021 e a lavorare per il ripristino degli ecosistemi terrestri e marini tramite la riforestazione e la lotta alla pesca indiscriminata, in continuità con la Global Initiative on Reducing Land Degradation and Enhancing Conservation of Terrestrial Habitats lanciata l’anno precedente dalla Presidenza saudita.


Dal punto di vista economico-finanziario, la misura più simbolica approvata nell’ambito del G20 in Italia è stata l’imposizione di una imposta minima globale sulle multinazionali. Il principale fallimento ha invece riguardato i pochi passi avanti riportati nel dibattito sul progetto di riforma dell’Organizzazione mondiale del commercio, già fortemente delegittimata durante la presidenza Trump. Inoltre, si sono mossi timidi passi in direzione di una finanza più etica, tornando a discutere della necessità di riformare il sistema delle quote e la governance del Fondo monetario internazionale (FMI) e portando avanti l’iniziativa di sospensione dei pagamenti (Debt Service Suspension Initiative, Dssi) a supporto dei Paesi economicamente svantaggiati nella bilancia dei pagamenti internazionali. Su queste tematiche, continua il coordinamento con l’attuale Presidenza indonesiana.

Fig.3: I grandi del mondo concludono la loro passeggiata nel centro di Roma lanciando la tradizionale monetina nella Fontana di Trevi, 31 ottobre 2021 [SOURCE: TAG43]

3. La politica estera italiana oltre la pandemia


Poter condurre fisicamente i lavori del G20 2021 ha avuto un grande valore simbolico di ripartenza per l’Italia e per il sistema internazionale: i leader del mondo si sono trovati a discutere delle misure da adottare per consentire una gestione ottimale delle sfide innescate dallo scoppio della pandemia proprio in uno dei Paesi più colpiti dall’emergenza sanitaria, sia sul piano umanitario che su quello economico. Volendo attenersi ai numeri, in Italia si contano più di 165 000 decessi da gennaio 2020 ad oggi e il calo dell’attività produttiva e dei consumi dovuti alle restrizioni hanno portato, al termine del 2020, ad un crollo del PIL senza precedenti nella storia repubblicana dell’8,9%.


In uno dei periodi più bui della storia italiana recente, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte al secondo mandato di governo ha saputo recuperare una dimensione europea della propria visione in politica estera per articolare le richieste dell’Italia in dialogo con i principali leader dei Paesi partner all’interno delle istituzioni europee. In particolare, il Presidente ha lavorato attivamente alle negoziazioni in seno al Consiglio europeo per l’approvazione del progetto Next Generation EU (Ngeu) promosso dalla Commissione europea che ha visto contrapporsi i due blocchi dei Paesi ‘mediterranei’, appoggiati da Francia e Germania, e i ‘frugali’ Austria, Danimarca, Paesi Bassi, con l’aggiunta della Finlandia, fino all’approvazione del piano a dicembre 2020. Questa vittoria nel contesto europeo, che avrebbe permesso all’Italia di accedere fino a 209 miliardi di euro nell’arco di sei anni, e l’approvazione a gennaio 2021 di una prima versione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), blueprint delle riforme e degli investimenti pari a circa 191,5 miliardi di fondi europei entro il 2025, non è però servita a mettere al riparo il governo dalla crisi aperta da Italia Viva con le dimissioni delle due Ministre Bellanova e Bonetti.


Con la mediazione del Presidente della Repubblica, a febbraio 2021 una nuova maggioranza composta da M5S, PD, Lega, FI, Italia Viva e altri partiti minori approva la fiducia al governo Draghi, con il mandato di traghettare il Paese dall’emergenza ad una Nuova Ricostruzione[3] tramite l’approvazione di riforme strutturali condizionali all’erogazione dei fondi del Ngeu. D’altra parte, il richiamo all’appartenenza europea dell’Italia non è solo stata richiamata dal Presidente nel suo primo discorso alle Camere, ma è ancor più profondamente legata alla scelta della sua personalità a guida del nuovo governo: da ex Presidente della Banca Centrale Europea, Draghi gode di un’ottima reputazione in seno alle istituzioni europee che dispensa un’aura di maggiore affidabilità all’intero Paese.


Il governo Draghi si pone però anche in continuità con il precedente governo Conte e ne eredita i punti programmatici rimasti in sospeso, come il piano vaccinale e il ritorno all’erogazione dell’istruzione in presenza, oltre all’approvazione del PNRR. Nel suo discorso di insediamento, Draghi infatti sottolinea:

“Si è detto e scritto che questo governo è stato reso necessario dal fallimento della politica. Mi sia consentito di non essere d’accordo. Nessuno fa un passo indietro rispetto alla propria identità ma semmai, in un nuovo e del tutto inconsueto perimetro di collaborazione, ne fa uno avanti nel rispondere alle necessità del Paese, nell’avvicinarsi ai problemi quotidiani delle famiglie e delle imprese che ben sanno quando è il momento di lavorare insieme, senza pregiudizi e rivalità.”

Si può notare una certa continuità anche nella politica estera del governo Draghi dalla decisione di riconfermare Di Maio alla Farnesina e di procedere con i lavori del G20 mantenendo l’approccio olistico promosso dall’ex premier Conte tramite l’individuazione dei tre pilastri Persone, Pianeta e Prosperità. Per fare ciò, la Presidenza italiana ha lavorato per portare all’apice dell’agenda del G20 dei temi dal carattere trasversale che rappresentassero le priorità italiane per la cooperazione internazionale.


In primo luogo, l’Italia ha organizzato, in collaborazione con la Commissione europea, il Vertice mondiale sulla salute perché l’età avanzata della popolazione rende il Paese particolarmente sensibile a minacce di tipo sanitario: durante il vertice non si è infatti parlato solo della risposta all’attuale pandemia, ma anche di prevenzione alle emergenze sanitarie future tramite il rafforzamento dei sistemi sanitari a livello globale e una maggiore cooperazione internazionale su questo tema. In secondo luogo, nel ribadire la propria adesione agli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, l’Italia ha lavorato molto sul secondo obiettivo, promuovendo nell’ambito del G20 la Dichiarazione di Matera sulla Sicurezza Alimentare, firmata a giugno 2021 dai Ministri degli Esteri partecipanti al G20. L’obiettivo di azzerare la fame nel mondo entro il 2030 tiene conto della dimensione individuale di questo fenomeno, ma anche della dimensione sistemica di crisi del nostro sistema di produzione alimentare che contribuisce ad aggravare le crisi climatiche e produrre carestie e siccità. Il tema della conservazione degli ecosistemi del pianeta è un tema caro all’Italia per via della sua vulnerabilità ai cambiamenti climatici, ragion per cui ha lavorato in partnership con la presidenza del Regno Unito alla Conferenza mondiale sul clima COP26 tenutasi a novembre 2021 che ha sancito l’ambizioso impegno dei paesi partecipanti ad azzerare le emissioni nette a livello globale entro il 2050 e a limitare l’aumento delle temperature di 1,5°C.


Tuttavia, il tema più importante perseguito dall’Italia nell’ambito del G20 è stato quello di un rilancio del multilateralismo, il cui successo è stato rivendicato tramite la misura simbolica dell’imposta minima globale sulle multinazionali fissata al 15% e approvata a Venezia a luglio 2021. L’accordo ha una portata storica in quanto introduce per la prima volta una norma di natura fiscale valida a livello globale e perché si propone di rimediare alle storture della globalizzazione mettendo a disposizione degli Stati una fetta dei ricavati delle multinazionali. Tuttavia, sarebbe erroneo pensare che l’accordo scaturisce solo dai tavoli negoziali del G20, bensì è una conferma del lavoro già svolto dapprima in congiuntura con gli Stati Uniti durante il G7 in Germania e successivamente durante il vertice dell’Osce svolto a Parigi ad inizio luglio, dove si sono svolte gran parte delle negoziazioni. Ciò nonostante, la Presidenza italiana del G20 è riuscita a dimostrare la fruttuosità del mantenimento di un dialogo continuo e coordinato tra i diversi format del multilateralismo; un’eredità che, si spera, venga raccolta in particolar modo nell’ormai mutato scenario internazionale odierno.


4. Conclusioni


Quando i leader si riunivano per il G20, la crisi all’ordine del giorno era la pandemia e le discussioni vertevano sulle strategie da implementare per garantire un ritorno alla normalità. Da lì a pochi mesi, la già precaria situazione economica in Europa si sarebbe aggravata con la guerra in Ucraina che sta contribuendo a mettere in crisi le catene di approvvigionamento di beni di prima necessità come il gas e il grano. Dall’altra parte dello spartiacque rappresentato dallo scoppio della pandemia, è ancora più vero che per assicurare il benessere economico dello Stato, i leader non possano più prescindere dal dover affrontare i temi caldi dei dossier internazionali tradizionalmente considerati secondari rispetto alla crescita economica come il clima, le migrazioni, il debito dei Paesi più poveri, la salute, la sicurezza alimentare e così via.


L’Italia, nella sua condizione di media potenza, riscopre in questo contesto non solo la reale portata della propria vulnerabilità, ma anche la possibilità di incidere nell’agenda globale solo rivendicando il proprio peso all’interno del contesto europeo. Storicamente, la politica estera in Italia non ha mai ricoperto un ruolo rilevante nelle strategie dei governi, per altro sempre alle prese con la propria debolezza strutturale e con un clima di campagna elettorale permanente che non manca di manifestarsi in beghe parlamentari volte a capitalizzare il consenso dell’opinione pubblica in vista di una rielezione. Tuttavia, gli ultimi due governi, sulla scorta dell’esperienza maturata dalla lotta al Covid, hanno dimostrato una inversione di tendenza, non solo nell’utilizzare gli strumenti a disposizione sul piano internazionale per perseguire gli obiettivi di politica interna, ma anche garantendo un certo livello di continuità nelle strategie di politica estera perseguite. Nonostante la fragilità dei governi sia destinata a rimanere un elemento centrale delle dinamiche politiche italiane, come dimostrano anche i più recenti sviluppi, è necessaria una presa di coscienza da parte di tutta la classe politica della necessità di delineare degli obiettivi definiti e di lungo periodo da perseguire in maniera continuativa nell’interesse collettivo.


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Note

[1] La crisi del peso messicano nel ’94, seguita da quella delle economie del sud-est asiatico nel ’97, il default russo sul debito nel ’98 e la svalutazione in Brasile nel ’99. [2] Ad esempio il Fondo monetario internazionale, la Banca Mondiale, l'Ocse, il Financial Stability Board e le Nazioni Unite. [3] Termine usato da Draghi nel suo discorso, facendo riferimento al dopoguerra


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