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Arabia Saudita e Israele: passi lenti ma costanti verso la normalizzazione

Fig. 1: Il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman (a sinistra), il primo ministro israeliano uscente Yair Lapid (centro), nuovo primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu Fonte: Elaborazione propria.

1. Introduzione


Gli Accordi di Abramo hanno segnato una svolta nelle relazioni tra Israele e le monarchie del Golfo. Sebbene non sia stato firmato alcun accordo con l'Arabia Saudita, sono stati compiuti importanti progressi economici e di sicurezza. La visita di Joe Biden a Riad e Tel Aviv ha indubbiamente riportato all'ordine del giorno le relazioni tra i due Paesi, tutt'altro che tacite. I gesti di cooperazione tra la Casa Reale di Saud e il Paese ebraico sembrano essere sempre più forti e si accentuano nel momento in cui condividono la prospettiva di pericolo di fronte a un Iran nucleare.

2. Punti d’incontro


Il litorale del Mar Rosso è un'area in cui i sauditi hanno dimostrato la volontà di cooperare con Israele su questioni di sicurezza. L'apertura dello spazio aereo saudita all'aviazione civile israeliana e l'accettazione di viaggi diretti per i pellegrini del Hajj da Israele sono ulteriori indicatori di una posizione saudita più rilassata nei confronti del Paese vicino.


Le isole Tiran e Sanafir nel Mar Rosso sono fondamentali per la normalizzazione delle relazioni. L'Egitto ha ceduto la sovranità sulle due isole all'Arabia Saudita nel 2018 ma, affinché questo trasferimento abbia effetto, il governo israeliano deve dare il suo consenso. Questo in risposta agli obblighi assunti con gli accordi di Camp David del 1979 con l'Egitto, che prevedevano la smilitarizzazione di entrambe le isole e la presenza di forze di controllo multilaterali che potevano supervisionare l'attuazione del trattato.

Tiran, Sanafir, Mar Rosso, Egitto, Arabia Saudita
Fig 2: Posizione delle isole Tiran e Sanafir. Fonte: Atlantic Council

I parametri dell'accordo sulle due isole sono stati approvati dall'ufficio del primo ministro israeliano e dai ministeri degli Esteri e della Difesa. Questo risultato è stato ottenuto grazie all'intervento dell'amministrazione Biden, che ha negoziato per mesi sottovoce con Arabia Saudita, Egitto e Israele per raggiungere l'accordo. Gli Stati Uniti hanno puntato sull'uso delle due isole come asso nella manica a favore della normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi. Questa sarebbe un risultato unico per il governo ebraico e per la politica estera dell'amministrazione Biden in Medio Oriente.


Le principali richieste di Tel Aviv per l'approvazione dell'accordo erano di garantire la libera navigazione attraverso il Mar Rosso fino a Eilat e di ottenere l'accesso allo spazio aereo saudita. Quest'ultimo punto è stato raggiunto quando i sauditi hanno permesso l'apertura del loro spazio aereo agli aerei israeliani. Il gesto saudita ha segnato una pietra miliare nelle relazioni tra i due Paesi, ma i funzionari sauditi si sono affrettati a respingere qualsiasi speculazione a favore della normalizzazione. "La decisione di consentire a tutte le compagnie aeree di utilizzare il nostro spazio aereo è in linea con i nostri obblighi internazionali. Questo passo non sarà un preludio ad altri passi", ha dichiarato Mohamed Al-Ateeq, vice ambasciatore delle Nazioni Unite presso il Consiglio di Sicurezza dell'ONU durante la riunione mensile sul conflitto israelo-palestinese.


Il primo ministro israeliano uscente, Yair Lapid, ha scritto su Twitter: "Dopo un viaggio lungo e segreto e un'intensa diplomazia con l'Arabia Saudita e gli Stati Uniti, questa mattina ci siamo svegliati con una buona notizia. La rete aerea saudita ha annunciato l'apertura dello spazio aereo alle compagnie israeliane". La notizia non è stata accolta bene dal popolo palestinese, dove è stata percepita come un segno di crescente debolezza della posizione araba nei confronti della causa palestinese.


Anche, al di là della mancanza di legami diplomatici, i progressi in materia d’investimenti sono evidenti. Un esempio è stata la decisione di Bin Salman d’investire due miliardi di dollari del Fondo pubblico d'investimento saudita (PIF) nell'economia israeliana attraverso lo schema "Affinity Partners" di Jared Kushner nel maggio 2022, seguita dalla visita di una delegazione di uomini d'affari israeliani in Arabia Saudita (Cohen & Bligh, 2022).

Fig 3_ Samer Haj Yehia (sullo schermo), presidente della Bank Leumi di Israele, partecipa a un panel durante il terzo giorno della conferenza annuale Future Investment Initiative, Riad, Arabia Saudita, 27 ottobre 2022. Fonte: Fayez Nureldine/AFP via Getty Images

In particolare, l'Arabia Saudita ha permesso agli uomini d'affari israeliani di entrare con un passaporto israeliano dopo aver ricevuto un visto d'ingresso speciale. Di conseguenza, sono stati stipulati accordi sull'agricoltura desertica e nel settore delle tecnologie civili, con aziende come le Medtech (industrie di apparecchiature mediche).


D'altra parte, l'accentramento del potere attorno a Bin Salman e la nomina di funzionari minori a varie posizioni nel portafoglio economico mostrano la prospettiva commerciale con cui Riad intende affrontare i suoi legami con Tel Aviv. Concentrandosi sullo sviluppo di nuove opportunità di crescita economica e di un'economia diversificata, i leader sauditi vedono in Israele un promettente partner commerciale in settori strategici come il digitale e la tecnologia. Queste potenziali opportunità si estendono a un'ampia gamma di settori, tra cui le energie rinnovabili, la gestione dell'acqua e l'agricoltura in ambienti climatici estremi.


3. Il tallone d'Achille di Israele: formare un nuovo governo


Il cambio generazionale in Arabia Saudita e Israele ha rappresentato anche un’ opportunità per un reciproco riavvicinamento. In un primo momento, l'eterogenea coalizione di governo gestita da Yair Lapid ha simboleggiato una boccata d'aria fresca nei rapporti con i sauditi. Tuttavia, è questa stessa eterogeneità ideologica che lo ha limitato nelle sue decisioni e ha reso la sua permanenza in carica una strada in salita.


In questo contesto, occorre fare attenzione a trarre conclusioni alla luce dell'instabilità politica di Israele, dove Benjamin Netanyahu è stato recentemente nominato Primo Ministro. La sua nomina è fondamentale per lo sviluppo delle relazioni con la Casa Reale saudita, sulle quali ha mantenuto una posizione chiara.


"Credo che saremo in grado di ottenere una nuova iniziativa di pace che costituirà un importante passo avanti nel raggiungimento di una soluzione al conflitto arabo-israeliano e, in ultima analisi, al conflitto palestinese-israeliano. Mi riferisco, ovviamente, a quella che potrebbe essere una pace davvero sorprendente e storica con l'Arabia Saudita", ha dichiarato Netanyahu il 15 dicembre in un'intervista al canale saudita Al Arabiya, poi diffusa dal suo ufficio.

Netanyahu
Fig. 4: Benjamin Netanyahu parla durante la cerimonia in cui il presidente israeliano Isaac Herzog gli consegna il mandato per formare un nuovo governo dopo la vittoria dell'alleanza di destra dell'ex primo ministro alle elezioni di questo mese, nella residenza del presidente a Gerusalemme, il 13 novembre 2022. Fonte: REUTERS/ Ronen Zvulun/Foto d'archivio

La proposta di Netanyahu sarebbe quella di spingere per un accordo con i sauditi come parte di un'iniziativa più ampia per ristabilire le relazioni con i Paesi arabi prima e con i palestinesi poi. In questo modo, il suo approccio con i sauditi verrebbe utilizzato come leva negoziale per generare progressi verso una soluzione pacifica del conflitto palestinese. Tuttavia, è chiaro che il neo-primo ministro deve prima raccogliere un sostegno sufficiente per consolidare il suo potere sul fronte interno, cosa che finora si è rivelata un compito difficile.


4. Riposizionamento pragmatico saudita


Per affrontare il riavvicinamento tra i due Paesi appena menzionati, è essenziale prendere in considerazione il cambiamento della politica estera saudita. Il giovane principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, ha stabilizzato il suo potere nel 2017 con un profilo esterno attivo e belligerante. Ha fatto appello al settarismo come strumento principale per consolidare la sua egemonia sul rivale regionale, l'Iran, che percepisce come una minaccia che cerca di esportare la rivoluzione e consolidare la Mezzaluna sciita come area d’influenza.


Inoltre, la sua ascesa ha rappresentato una rottura del sistema di pesi e contrappesi fino ad allora presenti nel processo decisionale dell'élite gerontocratica saudita e ha mostrato un chiaro accentramento del processo decisionale nella figura del monarca.


La pandemia è stata un duro colpo per la monarchia saudita, che aveva ancora i piedi bloccati in terra yemenita, da cui non ha ancora trovato una via d'uscita. Il Paese era inoltre immerso in diverse tensioni con i suoi vicini: la guerra in Yemen ha generato importanti divergenze con l'alleato emiratino, mentre i progressi nel Consiglio di Cooperazione del Golfo erano nulli a causa del blocco in vigore dal 2017 sul vicino Qatar.


Le debolezze interne e regionali sono state aggravate dal rifiuto e dall'avversione della comunità internazionale per le azioni del principe ereditario saudita nel controverso caso Khashoggi nel 2018. Le decisioni sbagliate hanno gettato un'ombra sui mega progetti della Corona saudita, hanno allontanato gli investitori e l'hanno isolata a livello internazionale.


Il contesto post-pandemico, unito all'attuale crisi ucraina, ha costretto i decisori di Riad a compiere un cambiamento pragmatico in politica estera, a ‘de-securizzare’ la propria agenda e a cercare di ricostruire la propria immagine.

Fig. 5 Joe Biden visita Mohammed Bin Salman a Gedda. Fonte: Reuters

In questo modo, il principe ereditario saudita ha tenuto incontri con i leader di Stati Uniti, Turchia e Qatar, mostrando la volontà d’iniziare a ricostruire i legami. Inoltre, il mega progetto "Vision 2030", promosso da Bin Salman, si basa su tre pilastri od obiettivi: un'economia prospera, una società vivace e una nazione ambiziosa. Il ruolo di Israele come investitore non è quindi secondario nei piani del Regno, che cerca di aumentare il contributo del settore privato all'economia, di sviluppare il potenziale dei settori non petroliferi (tecnologia e innovazione) e di aumentare la partecipazione dell'economia saudita a livello regionale e globale.


5. Cosa li allontana? La madre di tutte le guerre


Nonostante l'atteggiamento cooperativo e di basso profilo di entrambi i Paesi, è necessario affrontare gli ostacoli al ripristino dei legami tra le parti, che hanno radici storiche. Il motivo principale è la richiesta saudita di riconoscimento dell'autodeterminazione palestinese, che sostiene dalla Guerra dei Sei Giorni del 1967.


Il ruolo storico di mediatore dell'Arabia Saudita nel conflitto arabo-israeliano la colloca tra l'incudine e il martello nel tentativo di raggiungere Tel Aviv. Oltre al Piano Fahd del 1981, il suo intervento più importante come mediatore è stato l'Iniziativa di Pace Araba del 2002. Il documento proponeva la completa normalizzazione delle relazioni tra gli Stati arabi e Israele e la protezione di tutti gli Stati della regione, in cambio del ritiro delle truppe israeliane dai territori occupati e del riconoscimento dell'indipendenza di uno Stato palestinese con Gerusalemme Est come capitale.


Inoltre, si dovrebbe trovare una "giusta soluzione" al problema dei rifugiati palestinesi che desiderano tornare nel territorio. L'importanza di questa iniziativa risiede nel fatto che ha goduto del sostegno di tutti i membri della Lega Araba, ponendo le basi per un riconoscimento collettivo di Israele. Sebbene quest'ultimo non abbia accettato l'iniziativa, si trattava finora della proposta più solida sulla base della quale si potesse ipotizzare una soluzione pacifica del conflitto.


A più di 20 anni dalla proposta iniziale, la destra israeliana, guidata da Netanyahu, è uno dei principali detrattori dell'Iniziativa. Già nel 2016 aveva dichiarato senza mezzi termini: "Se le nazioni arabe capiscono che devono rivedere la proposta della Lega Araba in base ai cambiamenti richiesti da Israele, allora possiamo parlare. Ma se portano la proposta del 2002 e la definiscono 'prendere o lasciare', sceglieremo di lasciarla".


6. Il nemico del mio nemico è mio amico


Mentre la questione palestinese segnava la differenza storica che ostacolava il riavvicinamento tra Tel Aviv e Riad, l'avanzamento del potenziale nucleare iraniano li ha portati a fare causa comune. La minaccia rappresentata dall'Iran per i Paesi della regione ha posto le basi per un tranquillo riavvicinamento tra Israele e Arabia Saudita, anche se Israele enfatizza la minaccia nucleare mentre l'Arabia Saudita aggiunge la sua storica rivalità sulla scena regionale con lo Stato persiano.


Nell'aprile 2021, dopo anni di tensioni tra Iran e Arabia Saudita, i due hanno tenuto cinque cicli di trattative a Baghdad nel tentativo di ripristinare le relazioni bilaterali. Tuttavia, i recenti scontri che hanno creato scompiglio nella Zona Verde della capitale irachena hanno gettato una lunga ombra sulla ripresa dei colloqui mediati dal primo ministro iracheno.


Per Israele, la firma degli Accordi di Abramo è stata la pietra miliare di uno schema costruito per ripristinare i legami, aumentare il proprio profilo regionale e isolare l'Iran. Inoltre, la riedizione dell'accordo sul nucleare iraniano e i legami tesi tra Biden e Bin Salman hanno rafforzato la percezione saudita di Israele come un tacito alleato che serve al suo obiettivo di diversificare le relazioni. Inoltre, la sinergia saudita-israeliana è rafforzata dalla messa in discussione dell'impegno di Washington per la sicurezza del Golfo.


La possibilità di una riedizione del Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), evocata da Biden all'inizio della sua campagna elettorale, è stata percepita come una minaccia diretta alla sicurezza di Israele. Eppure, la ridefinizione di un nuovo accordo è probabilmente in stallo alla luce degli eventi recenti: le manifestazioni per la morte di Mahsa Amini in Iran, le elezioni di medio termine negli Stati Uniti e la crisi in Ucraina.


I mutevoli sviluppi dell'accordo hanno avuto un impatto sulla politica interna israeliana, con i partiti che hanno cercato di rivendicare la vittoria per aver impedito la conclusione dell'accordo o d’incolpare l'opposizione per i progressi compiuti nei colloqui tra Teheran e l'Occidente.


7. Conclusioni preliminari


Finora, i contatti tra Arabia Saudita e Israele sono stati quasi tutti "occulti" o "non ufficiali". Nonostante l'ostacolo rappresentato dalla questione palestinese, il regno saudita ha tollerato, e persino incoraggiato, lo sviluppo di legami diplomatici e militari tra alcuni dei suoi più stretti alleati e Israele.

Nel contesto dell'indebolimento dell'influenza saudita nella regione per le ragioni sopra citate e della consapevolezza dei limiti intrinseci di un approccio "proattivo" e bellicoso, Riad ha parzialmente ripreso la sua tradizionale postura conciliante. Il regno saudita si è reso conto di aver mancato il bersaglio, sopravvalutando ampiamente le proprie risorse, e nell'attuale contesto geopolitico di distensione non facile, una posizione apertamente bellicosa non paga. Al contrario, lascia il Paese esposto a una serie di minacce che rischiano di minare le sue ambizioni e i suoi interessi strategici e dimostrano che quella che era originariamente intesa come una politica di potenza era una confezione vuota.

Dato il cambiamento di rotta della sua politica estera, i tentativi di Riad di raggiungere contemporaneamente Tel Aviv e Teheran, anche se apparentemente contraddittori, riflettono come l'Arabia Saudita intenda perseguire una serie di obiettivi sfaccettati che richiedono una complessa navigazione delle relazioni regionali.

Da parte sua, Israele ha compiuto passi importanti verso la normalizzazione con i Paesi arabi, nonostante si trovi ad affrontare una situazione di stallo politico interno che ha portato alla quinta elezione in tre anni.

Anche se non si può dire che ci sia una svolta importante a breve termine, i segnali provenienti da Riad e Tel Aviv non dovrebbero essere sottovalutati. Finora, Mohammed Bin Salman continua a camminare su una linea sottile tra la distensione con l'Iran mediata dall'Iraq e i suoi gesti di cooperazione verso Israele. Questo contorsionismo diplomatico sembra funzionare per il momento, ma se dovesse continuare in questa direzione, i decisori sauditi dovranno scegliere una strada o l'altra.


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Bibliografia

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