Quali ragioni obbligano Biden a una nuova strategia nei confronti dell’Iran?
- Federico Pani
- 19 dic 2022
- Tempo di lettura: 8 min
Aggiornamento: 28 gen 2023

Introduzione
I negoziati di Vienna per rilanciare l’accordo sul nucleare iraniano, il Joint Comprehensive Plan of Action, o JCPOA, rischiano di fallire. Dopo che l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump decise per il ritiro di Washington dal JCPOA (2018), l’attuale Capo della Casa Bianca Joe Biden ha fatto della rinascita del JCPOA uno dei primi obiettivi della sua amministrazione. Nel corso dei negoziati, condotti attraverso la mediazione dei firmatari europei, Teheran e Washington hanno cercato di colmare le loro distanze: le trattative sembrano però ora giunte ad un punto morto, anche per l'insistenza della Repubblica Islamica di volersi tutelare dall’eventualità di una violazione dell’accordo da parte delle future amministrazioni statunitensi, come compiuto in passato da quella Trump.
1. La presidenza Trump ha acuito le tensioni tra i due Paesi?
Tra i primi obiettivi dell’amministrazione Biden vi era quello di restituire agli Stati Uniti l’accordo sul nucleare iraniano, formalmente noto come Piano d’azione globale congiunto, o JCPOA. Riallacciare il filo del discorso con Teheran si è però rivelato particolarmente complicato per Washington anche a causa delle relazioni tese tra i due Paesi, già notevolmente inaspritesi sotto la presidenza Donald Trump.
Dopo averlo definito “uno dei peggiori che gli Stati Uniti avessero mai concluso”, nel maggio 2018 Trump mantenne fede alla promessa elettorale di ritirare gli Stati Uniti dall’accordo multilaterale. La retorica sempre più bellicosa di Washington e la policy trumpiana di “massima pressione” nei confronti della Repubblica Islamica, indussero l’Iran a volersi discostare dai suoi obblighi ai sensi dell’accordo nucleare, superando i limiti delle sue scorte di uranio arricchito. Decisione che seguì poi la scelta iraniana di sospendere il protocollo addizionale con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica.

2. Anno 2019: escalation delle tensioni. Teheran provoca, Washington risponde.
Le tensioni tra Stati Uniti e Iran si intensificarono nella prima metà del 2019. Dopo una serie di attacchi a petroliere nel Golfo di Oman, Washington accusò Teheran di aver abbattuto un drone statunitense senza pilota. Sempre nello stesso anno, Stati Uniti e Arabia Saudita incolparono l’Iran di essere responsabile di un attacco di droni e missili da crociera contro le strutture petrolifere saudite: in questa circostanza, il Segretario di Stato statunitense Mike Pompeo accusò gli iraniani di aver lanciato un attacco senza precedenti all’approvvigionamento energetico mondiale. L'escalation di tensioni culminò con la decisione di Trump di autorizzare un attacco di droni che portò alla morte del principale leader militare iraniano, il generale Qassem Soleimani.
3. Le sanzioni del tycoon. Una mannaia su Teheran?
Le sanzioni trumpiane contro l’Iran avevano l’obiettivo, come spiegava lo stesso tycoon, di isolare l'Iran attraverso una politica di "massima pressione economica”. Nelle parole del Segretario Pompeo, lo “sforzo globale” in collaborazione con i partner statunitensi, si proponeva l'obiettivo di ricordare "al regime iraniano l’isolamento diplomatico ed economico che deriva dalla sua attività sconsiderata e maligna”.
Le sanzioni hanno avuto un impatto gravoso sull’economia iraniana: nel 2020, il PIL della Repubblica Islamica era circa un terzo di quello del 2012. D’altra parte, lo strumento sanzionatorio sembrò fornire carta bianca al fronte degli estremisti nel Paese che emersero come vincitori delle elezioni parlamentari del febbraio 2020: il risultato delle urne si tradusse, di fatto, in una sconfitta per coloro che avevano spinto per un maggiore impegno ed apertura del Paese con l’Occidente.

4. Riuscire a riportare Teheran e Washington a più miti consigli: il piano fallito (per ora) di Biden.
I sostenitori dell’accordo sul nucleare iraniano tanto a Washington quanto in Europa auspicavano che l’amministrazione Biden riuscisse a riportare rapidamente gli Stati Uniti nel JCPOA, rimuovendo inoltre le sanzioni unilaterali. I negoziati a Vienna per “resuscitare” il JCPOA si sono dimostrati più difficili del previsto e l’esito delle elezioni presidenziali iraniane del giugno 2021, vinte dall’intransigente conservatore Ebrahim Raisi ha posto sul terreno ulteriori ostacoli al progresso del programma negoziale.
Le imponenti proteste popolari innescate dalla morte di una giovane donna curda, Mahsa Amini, mentre era sotto la custodia della polizia morale e soprattutto la disponibilità di Teheran a fornire alla Russia droni e missili per la guerra in Ucraina sembrano ora allontanare Washington dalla volontà di proseguire le negoziazioni.

5. Stati Uniti verso una nuova era di confronto con l’Iran?
Per Washington sembra dunque prospettarsi all’orizzonte una nuova era di confronto diretto con la Repubblica Islamica, in ragione del fatto che i negoziati tra le parti si stanno prolungando, in maniera inconcludente, da oltre 18 mesi. Fino all’estate scorsa i funzionari statunitensi nutrivano ancora speranze di riuscire a rilanciare l’accordo sul nucleare tanto che i rappresentanti dell’amministrazione Biden attendevano soltanto l’approvazione finale dal leader supremo, l’Ayatollah Ali Khamenei, che però non è mai arrivata.
Nelle ultime settimane la Casa Bianca sembra aver accantonato il progetto di rilancio del JCPOA tanto che gli incontri sulla sicurezza nazionale si sono concentrati meno sulla strategia di negoziazione con l'Iran e maggiormente su come ostacolarne i piani nucleari iraniani, fornire apparecchiature di comunicazione ai manifestanti e cercare di interrompere la catena di fornitura di armi del Paese alla Russia. “Non c’è alcuna diplomazia in corso in questo momento rispetto all’accordo con l’Iran”, ha detto senza mezzi termini John Kirby, portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale alla Casa Bianca. Anche Robert Malley, inviato speciale del Dipartimento di Stato per I negoziati con l’Iran, ottimista in passato riguardo alle possibilità del raggiungimento di una soluzione diplomatica, ha nelle ultime settimane mutato drasticamente la propria prospettiva: “Il JCPOA non è all’ordine del giorno”, ha detto Malley.

6. Iran e Russia: binomio indigesto a Washington.
A fornire un ulteriore colpo di grazia al possibile rilancio del patto sul nucleare è giunto nelle scorse settimane l’accordo tra Teheran e la Russia per la fornitura di droni che secondo la Casa Bianca equipara a tutti gli effetti la Repubblica Islamica tra i sostenitori dell’invasione russa dell’Ucraina. Come ha denunciato l'Ambasciatore Richard Mills, Vice rappresentante degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, Mosca ha utilizzato gli UAV (velivoli senza pilota) iraniani nella sua guerra contro l'Ucraina, in attacchi contro infrastrutture civili e città. Il crescente utilizzo da parte della Russia di droni iraniani ha messo in evidenza il pericolo che questi possano rappresentare a livello globale e regionale. In una certa misura, i droni hanno sostituito l’avanzata del programma nucleare iraniano come principale preoccupazione per i partner occidentali: i loro timori si sono ulteriormente acuiti dopo che un video pretendeva di mostrare uno scenario futuro in cui uno “sciame” di droni Shahed 136 attaccava l'impianto energetico di Shaybah in Arabia Saudita, già preso di mira da Teheran nel 2019. Ciò dimostrerebbe, secondo alcuni think tank, come l’esperienza sul campo in Ucraina possa essere utilizzata dagli iraniani come “apprendistato” in vista di possibili manovre nel Medio Oriente.
Di notevole preoccupazione per gli Stati Uniti è stato inoltre l’annuncio iraniano di iniziare ad arricchire il combustibile nucleare al 60% all’interno di Fordow, l’impianto costruito all’interno di una base militare.
7. Biden a un bivio: aiutare o meno gli insorti?
Biden è stato esplicito nel sostegno alle manifestazioni antigovernative in Iran. Gli Stati Uniti saranno disposti a fornire ai manifestanti qualcosa di più di un supporto retorico e morale? La Casa Bianca rischierebbe un’azione segreta per aiutarli, sulla falsariga di quanto avvenuto in occasione del ritorno di Reza Pahlavi e della defenestrazione del primo ministro Mossadegh? Sulle valutazioni della Casa Bianca, molto potrebbe dipendere da quanto Biden e i suoi collaboratori valuteranno se in Iran esista il rischio di un pericolo maggiore rispetto a quando il presidente è entrato in carica. Pressioni su Washington potrebbero inoltre giungere dal nuovo governo israeliano di Benjamin Netanyahu per un attacco alla struttura di Fordow, visto come lo stesso Bibi arrivò vicino a ordinarne uno quando per l’ultima volta ricoprì la carica di primo ministro.
Alcuni importanti think tank premono sulla Casa Bianca per una nuova strategia nei confronti di Teheran. È il caso dell’Atlantic Council che ha recentemente lanciato l’Iran Strategy Project progettato per sincronizzare e riunire sotto un’unica bandiera la politica e gli sforzi analitici del Consiglio Atlantico sulla Repubblica Islamica, riflettendo il livello senza precedenti di discordia e incertezza del Paese. Il nuovo progetto strategico cercherà di offrire uno sguardo olistico a tutte le questioni relative al Paese: politiche, diritti umani, sicurezza, risorse economiche, nucleari, sociali e naturali. Questo nuovo sforzo, si legge nella nota diffusa dal think tank, è guidato da eventi recenti come il movimento sociale iraniano che chiede libertà e autonomia, il potenziale a breve termine per un nuovo leader supremo, il ruolo in evoluzione dell’Iran nella regione (compreso il suo sostegno militare alla guerra della Russia in Ucraina) e la probabile fine del Piano d’azione globale congiunto (JCPOA).
Conclusioni
Alla luce della polarizzazione della politica e della società statunitense, di un possibile successo repubblicano e di una rielezione di Trump alla presidenza, è comprensibile che Teheran chieda una garanzia a lungo termine affinché gli Stati Uniti rimangano fedeli a qualsivoglia accordo risulterà sottoscritto tra le parti. L'amministrazione Biden non può dare una garanzia del genere e nemmeno, del resto, nessun presidente statunitense, data la complessità del sistema governativo statunitense, il grado di ostilità delle forze di destra nei confronti dell’Iran e il forte sostegno bipartisan per Israele al Congresso degli Stati Uniti.
Nel frattempo Teheran ha rafforzato le sue relazioni con Russia e Cina come parte di un blocco anti-USA. Da un lato, questo fornisce un “cuscinetto” per l’Iran contro le pressioni degli Stati Uniti e dei suoi alleati regionali. Dall’altro rende l'amministrazione Biden molto scettica nei confronti di Teheran, soprattutto alla luce dell’aggressione russa in Ucraina. I disordini pubblici in corso contro il governo iraniano, innescati dalla morte di Masha Amini potrebbero inoltre scoraggiare il processo di firma di un accordo definitivo. Il futuro del JCPOA continua, dunque, a essere in bilico.
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Bibliografia e Sitografia
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