La morte del "gendarme del Sahel": quali preoccupazioni per la regione?
- Elisa Chiara
- 7 giu 2021
- Tempo di lettura: 7 min
Aggiornamento: 14 ott 2021
di Elisa Chiara

1. Introduzione
Dopo la morte improvvisa, in circostanze ancora poco chiare, del presidente del Ciad, il Sahel e la comunità internazionale si interrogano sul futuro del paese, ma soprattutto su quello della regione. Quest’analisi ripercorre i fatti salienti della crisi politica in Ciad dell’ultimo mese, e le ripercussioni che questa potrebbe avere sul coinvolgimento di N'djamena nelle alleanze militari regionali.
2. Riassunto dei fatti
Il 19 aprile 2021 il Ciad ha perso il suo trentennale presidente, Idriss Déby Itno, morto, secondo fonti ufficiali, in seguito alle ferite riportate durante un combattimento a Mao, nella provincia occidentale del Manel, contro i ribelli del Front pour l’alternance et la concorde au Tchad (FACT). L’annuncio è arrivato l’indomani della sua sesta elezione a capo dello stato, con quasi l’80 per cento dei voti, in una tornata elettorale come sempre scandita da accuse di brogli e repressione nei confronti degli oppositori.
L'offensiva del FACT verso N'djamena era iniziata l’11 aprile 2021 con un’incursione durante l'elezione presidenziale, e l’ottenimento dell'appoggio di altri gruppi ribelli libici. Le FACT sono infatti un gruppo politico militare ciadiano molto attivo in Libia, fondato nel 2016 dall’ex ministro della difesa, il generale Mahamat Nouri, a seguito della scissione dal gruppo Union des forces pour la démocratie et le développement (UFDD). A capo delle FACT c’è oggi Mahamat Madi Ali, ex oppositore politico del regime.
Alla morte di Déby ha fatto seguito un immediato colpo di stato del Consiglio militare di transizione (CMTA), che ha imposto come presidente il figlio di Déby, Mahamat Idriss Déby, che governerà il paese per 18 lunghi mesi, nel tentativo di indire nuove e libere elezioni. Il consiglio si è appellato alla solidarietà dei Paesi del G5 sahel (il quadro istituzionale per il coordinamento della cooperazione regionale nelle politiche di sviluppo e nelle questioni di sicurezza nell’Africa occidentale) nella repressione dei ribelli, appello finora raccolto solo dal Niger. Dopo il Mali, il Ciad è quindi il secondo paese del G5 sahel ad essere retto da un regime non costituzionale. A seguito del cambiamento politico repentino, ne è scaturita qualche protesta a N’djamena, repressa prontamente durante le sanguinose manifestazioni culminate il 27 aprile. Il 2 maggio, un governo civile di transizione è stato nominato dalla giunta militare, apparentemente in risposta alla pressione internazionale. Il 14 maggio, i deputati dell’Assemblea nazionale ricostituita per la validazione del programma governativo, si sono pronunciati sull’opportunità dello stesso, mentre l’opposizione ha indetto una nuova giornata di manifestazioni per il 19 maggio.
Lo scorso 9 maggio, il Ciad ha annunciato che l’operazione contro i ribelli nell’ovest del paese, che durava da più di un mese, “è finita e non ha lasciato più niente” per riprendere le parole del capo di stato maggiore, Abakar Abdelkérim Daoud.
In seno allo stato ciadiano il successo di Déby non gode di sostegno unanime, soprattutto a livello famigliare e delle elite militari, che lo trattano con sospetto a ragione della sua eredità etnica mista (la madre è di etnia gourane, notevolmente rappresentata in seno alle FACT) e della mancanza di esperienza al fronte. Molti rivali potenziali potrebbero a questo punto causare scissioni militari o addirittura creare nuovi gruppi armati.
3. L’importanza del Ciad e la diplomazia strategica di Déby
La morte di Déby pone quesiti da molteplici punti di vista; quello che li accomuna è il rischio di instabilità che tutta la regione potrebbe avvertire, considerato il ruolo ricoperto dal presidente nell’esercito del Ciad, l’estremismo violento nel Sahel e la porosità dei suoi confini in tutte le direzioni. Senza dimenticare che il defunto presidente era un alleato fondamentale per la Francia e le Nazioni Unite.
Per quanto riguarda l’importanza dal punto di vista militare, occorre sottolineare che la vita politico-militare del gendarme del Sahel si è contraddistinta nel 2014 per l’intervento nella lotta a Boko Haram, per la scesa in campo nel 2013 - su richiesta della Francia - con 1440 uomini al fianco della Minusma (la missione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione in Mali) e per il recente impiego di 1200 uomini in appoggio alla forza francese Barkhane. Nell’ambito del G5 sahel, il Ciad rappresenta inoltre il più grande contributore in finanza e risorse umane, con l’impiego di 1800 uomini su circa i 6000 totali. Déby ne ha assunto la presidenza di turno nel febbraio 2021. Ancora, l’armata ciadiana è considerata una delle più solide del continente, composta da 40.000/65.000 soldati, e rappresentando da sempre per Déby un’opportunità, non solo per ottenere il consenso in quanto garante di una maggiore stabilità regionale, ma anche come strumento di diplomazia militare.
Déby è stato oltretutto un brillante diplomatico strategico, con l’astuzia di sapere piazzare i suoi fedeli seguaci a capo di influenti posizioni regionali e internazionali: dall’ex ministro degli Esteri, Moussa Faki, recentemente riconfermato Presidente della commissione dell’Unione africana, all’Ambasciatore presso l’Unione Europea e rappresentante speciale della missione di stabilizzazione integrata multidimensionale delle Nazioni Unite in Mali, Mahamat Saleh Annadif, imminente rappresentante delle Nazioni Unite per l’Africa occidentale.
4. I confini sfumati e il ruolo delle risorse naturali
Geograficamente parlando, il Ciad è circondato da stati estremamente instabili come la Libia, il Sudan e la Repubblica Centrafricana, per i quali il paese ha sempre rappresentato un crocevia di gruppi armati, jihadisti e trafficanti. Trovandosi strategicamente a cavallo fra il Sahel e il Corno d'Africa, ha goduto dell’interesse delle potenze occidentali, che lo hanno visto come pedina cruciale per fermare la diffusione dell'Islam radicale e del terrorismo nel Sahel occidentale e come cuscinetto per arginare l'instabilità a lungo termine proveniente dal Sudan.
In virtù del suo confine settentrionale con la Libia, è stato visto come attore importante dopo il rovesciamento di Gheddafi. Déby non ha pertanto nascosto alla Libia la sua sete politica, impegnandosi dapprima a sostegno della Lybian national army (LNA) di Haftar, fino a concludere con lui nel 2017 un patto di non aggressione e finire poi per combattere al suo fianco alla conquista di Tripoli.
Ancora, durante il caos libico, il gruppo etnico nomade dei Debu (rappresentato nelle FACT) si è rifugiato a sud della Libia, dove sono poi stati scoperti giacimenti auriferi con la conseguente preoccupazione di N'djamena che i ribelli del FACT se ne appropriassero per scopi militari.
Il Ciad è terra di altre risorse naturali importanti, fra le quali il petrolio, esportato dalla prima metà degli anni 2000 a seguito della costruzione dell’oleodotto Ciad-Camerun e che, oltre a far gola alle milizie del paese, finanzia il 40 per cento della spesa militare nazionale e rappresenta il 20 per cento del PIL.
5. Il fiore all’occhiello della Francia in Sahel
Macron è stato l’unico presidente occidentale a partecipare agli ossequi del presidente ciadiano, di fatto smentendo le sue dichiarazioni all’indomani della presa di potere da parte del Consiglio militare di transizione, che facevano intendere la denuncia, senza se e senza ma, del non rispetto del diritto costituzionale (secondo il quale sarebbe dovuto essere il presidente dell’Assemblea nazionale ciadiana a succedere a Déby). Se Macron ha chiuso un occhio sull’incostituzionalità della mossa non è ovviamente un caso, considerate le relazioni che legano Parigi e N'djamena da sessant’anni. Possiamo infatti dire che il Ciad è il fulcro della strategia politica della Francia in questa regione.
Infatti, la cooperazione militare tra Francia e Ciad risale ai tempi dell’indipendenza dalla colonia. Fra gli anni ‘60 e ‘70 la Francia è intervenuta a sostegno delle forze governative che stavano combattendo contro il Front de libération nationale du Tchad (Frolinat). Poco dopo, nel 1982, la Francia sostenne la salita al potere di Hissene Habré, considerato come il candidato migliore per contrastare Gheddafi. La cooperazione franco-ciadiana giunse al culmine nel 1986, quando la capitale N’djamena diventò sede dell’operazione “Sparviero” (1986-2014) lanciata su iniziativa della Francia per fermare l’invasione libica. L’operazione è stata poi sostituita dall’operazione « Serval « , quando nel gennaio 2013 i jihadisti lasciarono il nord del Mali in direzione Bamako. L’operazione fu sostenuta da Déby che contribuì con 2000 soldati. L’attuale Bharkahe, fondata nel 2014, fece di N’djamena il quartier generale dell’esercito francese nella regione, con basi aeree dalle quali decollano oggi centinaia di aerei; nel 2019, le relazioni si sono ulteriormente intensificate grazie all’accordo di cooperazione militare che prevedeva, tra gli altri, la formazione dei soldati del distaccamento di azione riservata (DAR). Déby, ancora una volta, fu l’artefice di una mossa vincente per distogliere l’attenzione internazionale sui problemi interni del paese, che sono ancora oggi evidenti (il 42 per cento della popolazione ciadiana vive con meno di 2 dollari al giorno).
C’è chi accenna ad un possibile coinvolgimento francese nella morte di Déby, coinvolgimento che per gli esperti di relazioni internazionali sembra obiettivamente e strategicamente improbabile. Il governo Macron ha infatti guardato al decesso di Déby con notevole preoccupazione, e questo anche in prospettiva di un preannunciato ritiro progressivo delle truppe francesi dalla regione nel corso dei prossimi 8 anni, a fronte di una maggiore responsabilizzazione dei cinque paesi membri del G5 sahel (Burkina Faso, Ciad, Mauritania, Niger, Mali). Visto il ruolo del Ciad in questo contesto, l’abbandono francese della regione sembra tutt’altro che imminente; finché la Francia avrà come priorità quella di mantenere il contingente ciadiano nella zona delle tre frontiere (Burkina Faso, Mali, Niger) sarà politicamente necessario confermare, ed esternare, il sostegno alla transizione democratica, soprattutto in un contesto di cambiamento politico in Ciad.
6. Conclusioni
Abbiamo visto come la crisi in Ciad possa avere delle ripercussioni sotto diversi punti di vista. La morte di Idriss Déby ha riversato il paese in una serie di disordini interni e internazionali che meritano attenzione. Nonostante il Consiglio militare di transizione si sia affrettato per provare a dare risposte, i subbugli interni e le spinte dell’opposizione minacciano non solo le vite dei cittadini, ma anche la sicurezza dei confini. Non dimentichiamo che nella regione saheliana proliferano gruppi armati e terroristici che potrebbero approfittare di questa situazione per guadagnare terreno. Primo fra tutti lo Stato Islamico, attivo al confine del paese con la Nigeria, che ha recentemente intensificato gli attacchi in Ciad; benché la presenza ciadiana lungo il confine del lago Ciad dal 2015 abbia impedito continue incursioni, una crisi interna potrebbe allontanare gli sforzi militari in questa regione, consentendo ai militanti salafiti-jihadisti di assicurarsi un punto d'appoggio sul terreno ciadiano.
Negli scorsi giorni, il presidente ciadiano si è recato in Niger, altro paese cruciale nella lotta al terrorismo, per intrattenersi con il suo omologo Mohamed Bazoum, che è stato designato dalle autorità del G5 sahel come facilitatore tra i gruppi ribelli e le autorità della transizione, mentre un contingente di 1200 soldati è stato impiegato a Téra, nella zona delle tre frontiere. Lo scorso weekend, Déby è stato ricevuto dal suo omologo nigeriano, che ha confermato il suo sostegno alla transizione.
Quanto alla decisione dell’Unione africana di non sanzionare la giunta militare, ma piuttosto di “accompagnare la transizione”, essa riassume perfettamente il clima politico internazionale riguardo la crisi in Ciad; contrariamente a ciò che era successo in Mali poco più di un anno fa a seguito del colpo di stato che aveva destituito Keita, è evidente, e lo ha dichiarato lo stesso presidente del Consiglio per la pace e la sicurezza (CPS) dell’Unione, che questa indulgenza farà del bene al futuro della stabilità regionale.
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