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MARPOL IV: una luce di speranza nella riduzione delle emissioni nel settore marittimo

  • 29 gen 2020
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 14 dic 2020

L’allarme lanciato dal report annuale dello United Nations Environment Programme (UNEP) e il fallimento dei negoziati della COP25 di Madrid hanno trasmesso il messaggio di una mancanza generalizzata di impegno alla lotta al cambiamento climatico.

Una misura estremamente importante e finalmente concretizzatasi è invece passata in sordina, nonostante gli effetti positivi previsti sull’ambiente e sulla salute dell’intera popolazione globale: la nuova regolamentazione, in vigore dal 1° Gennaio 2020 e promossa dall’International Maritime Organization (IMO), sui limiti di emissioni di ossidi di zolfo delle imbarcazioni di ogni dimensione.

I primi passi in tale direzione risalgono al 2005, quando entra in vigore l’allegato VI della Convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi (International Convention for the Prevention of Pollution from Ships), nota anche come MARPOL. Il regolamento del 2005 prevede un tetto alle emissioni di zolfo del 3.5%; a partire dal 1° Gennaio 2020, con l’entrata in vigore dell’allegato IV di MARPOL, tale limite é stato abbassato allo 0.5%, e allo 0.1% in alcune aree designate[1].

Sul piano concreto, i proprietari di imbarcazioni hanno tre possibilità per limitare le emissioni di zolfo dei propri mezzi: scegliere carburanti a basso contenuto di zolfo (diesel anziché olio combustibile), optare per natanti alimentati da fonti non fossili oppure installare i cosiddetti “scrubbers”, dei depuratori in grado di catturare lo zolfo emesso dalla combustione del carburante. Ulteriori severe regolamentazioni prevedono che i prodotti di scarto degli scrubbers non siano dispersi in mare, ma trasportati a riva e smaltiti adeguatamente.

Quali benefici per l’ambiente e per la nostra salute? Gli ossidi di zolfo sono responsabili di malattie del sistema respiratorio, oltre alle piogge acide – deleterie per l’agricoltura, il patrimonio forestale e le risorse acquatiche. È stato stimato che l’applicazione dei nuovi limiti di emissioni eviteranno, solamente tra il 2020 e il 2025, 570.000 decessi prematuri a livello globale.

Il successo delle misure previste dall’IMO 2020 dipenderà in primo luogo dalla percentuale di imbarcazioni che si atterranno agli obblighi da essa imposti. IMO 2020 affida ai singoli Paesi aderenti la responsabilità di vegliare sul rispetto delle clausole da esso previste e fare in modo che i porti nazionali siano attrezzati in modo da facilitare l’implementazione delle misure previste. Ciascuno Stato aderente ha quindi il compito di verificare che ciascuna imbarcazione, battente bandiera sia del Paese stesso sia di un altro stato aderente, utilizzi carburante adeguato o sia dotata di depuratori; di mettere a disposizione nei propri porti carburante rispettoso del limite di zolfo imposto; di rendere disponibili le infrastrutture necessarie allo smaltimento dei prodotti di scarto prodotti dai depuratori.

Lasciare in mano ai singoli Paesi la decisione di come comportarsi con le imbarcazioni che non rispettano la regolamentazione in vigore è un grande limite per il successo di IMO 2020. Nell’ipotesi in cui un’ispezione rilevi la mancata osservanza dei limiti imposti (sistema di depurazione inadeguato o carburante contenente una quantità di zolfo superiore a quanto consentito), le autorità portuali possono impedire all’imbarcazione di lasciare il porto ed eventualmente obbligarla a svuotare i serbatoi. D’altra parte, però, un Paese con approccio più soft potrebbe limitarsi a comunicare l’inadempienza e lasciar ripartire la nave senza che alcuna misura aggiuntiva – sanzioni economiche incluse – venga applicata. MARPOL IV si limita a incoraggiare “sanzioni sufficienti a scoraggiare il mancato adempimento”.

Un altro potenziale ostacolo all’implementazione delle misure previste da MARPOL IV è la mancata disponibilità di carburante adeguato nei porti. In tal caso, il capitano o il proprietario del natante è tenuto a dotarsi di una prova scritta (FONAR - Fuel Oil Non-Availability Report) attestante l’assenza di combustibile regolamentare. Tale documento costituisce un’”attenuante”alle eventuali sanzioni imposte all’imbarcazione, ma ancora una volta la regolamentazione lascia carta pressoché bianca ai singoli stati in merito a come comportarsi.

Una buona notizia, sul fronte della compliance è che ben 144 Paesi, equivalenti al 96% del tonnellaggio globale, hanno aderito a MARPOL IV. Tra quelli non firmatari figurano Israele, Egitto, Argentina, Messico, Qatar, mentre altri Paesi hanno ratificato l’accordo ma non hanno ancora messo in piedi una legislazione adeguata a livello nazionale per implementare le misure previste.

L’impatto sull’industria petrolifera è stato, è e sarà notevole: le raffinerie non dotate di impianti adeguati alla produzione di combustibili a basso contenuto di zolfo hanno dovuto scegliere se investire somme ingenti nell’ammodernamento delle proprie infrastrutture o tirare la cinghia e puntare a fornire gli armatori che hanno preferito installare i depuratori anziché utilizzare carburante meno inquinante. A sua volta, tale scelta ha avuto un impatto sui tipi di greggio privilegiati: il contenuto di zolfo nel greggio varia da località a località, e maggiore la quantità di zolfo presente, maggiore la difficoltà e il costo per eliminarlo. Ça va sans dire che il carburante a ridotto contenuto di zolfo è sensibilmente piú costoso della controparte meno raffinata.

Qualunque decisione gli armatori abbiano preso, essi si sono ritrovati, all’alba della nuova decade, a dover far fronte a investimenti importanti, con un’inevitabile ricaduta sul costo di tutte le merci trasportate via mare. Come tutte le altre misure volte ad arginare il cambiamento climatico, l’implementazione di MARPOL IV ha un costo, implicazioni geopolitiche, luci ed ombre. Il tempo ci dirà se il sistema messo in piedi sarà efficace, nonostante la mancanza di sistemi di controllo e implementazione chiari e condivisi.


[1] Tali «aree ad emissioni controllate» (ECAS) sono: il Mar Baltico, il Mare del Nord, alcune parti della costa orientale del Nord America (Canada e Stati Uniti) e del mar dei Caraibi (Puerto Rico, Isole Vergini). L’applicazione dello stesso limite nel Mar Mediterraneo è in via di discussione.


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