Lula VS Bolsonaro: il Brasile verso il voto
- Raffaele Perrone
- 25 mag 2022
- Tempo di lettura: 10 min
Aggiornamento: 15 giu 2022

1. Introduzione, il voto di ottobre: uno scontro tra il bene e il male
Dopo tre tumultuosi anni, gli elettori brasiliani torneranno alle urne per decidere chi tra vecchi e ancor più vecchi candidati sarà investito del mandato presidenziale, rinnovare i 513 seggi della Camera dei deputati e 27 degli 81 scranni del Senato. Con le elezioni che si terranno il 2 ottobre 2022, i papabili a Planalto hanno già lanciato le loro campagne, e la corsa alla presidenza della quarta democrazia più grande del mondo inizia ad assumere dei toni sempre più accesi.
Jair Messias Bolsonaro, ex capitano dell'Exército Brasileiro e 38° presidente del Brasile, sperimenta le prime difficoltà di fronte a dei sondaggi che dimostrano il drastico crollo del suo indice di gradimento, con il 52% degli elettori che si dice insoddisfatto rispetto al suo operato (anche per via della disastrosa gestione della crisi pandemica condotta dalla sua amministrazione).
Dall’altra parte dello spettro politico, Luis Inàcio Lula da Silva, presidente del Brasile dal 2003 al 2011, gode invece, soprattutto tra le fasce più giovani della popolazione, di una crescente popolarità, in quanto unica credibile alternativa al presidente uscente.
Con una posta in gioco così alta, in un Paese che ha profondamente risentito delle conseguenze dell’epidemia da COVID-19 e in un contesto politico caratterizzato da un’altissima polarizzazione degli schieramenti e un ampio ricorso a mezzi e formule populiste, le elezioni presidenziali in Brasile si trasformano in una campagna tortuosa e divisiva, uno scontro tra il bene e il male (così come definite dallo stesso Bolsonaro) in cui la disinformazione appare essere la norma e, come molti temono, la violenza una possibilità.
2. Le elezioni del 2018 e la vittoria di Bolsonaro
La vittoria di Bolsonaro alle elezioni presidenziali del 2018 è stata accolta con sorpresa da larga parte degli elettori e degli osservatori internazionali. Diversi furono gli elementi che consentirono al leader del partito social-liberale di ottenere il 55% delle preferenze sorpassando al ballottaggio lo sfidante Fernando Haddad, candidato del Partido dos Trabalhadores (PT). L’ex capitano dell’esercito riuscì a fare leva su pochi ma decisivi fattori. Primo, sull’utilizzo di formule e tecniche di comunicazione fortemente conservatrici, ricche di richiami alle sacre scritture e intrise di un nazionalismo militaresco dal sapore autoritario. Secondo, sulla rinnovata polarizzazione dell’elettorato brasiliano. Terzo sulla sua estraneità rispetto alle vicende giudiziarie che coinvolsero nell’operação Lava Jato il PT e il suo leader Lula, inizialmente condannato per corruzione e riciclaggio ed estromesso dalla corsa alla presidenza. Quarto, sulla capacità del partito da lui guidato di riempire il vulnus lasciato dal centrodestra, allora al governo con l’impopolare Michel Temer, e sfruttare la crisi di legittimità che aveva investito l’intero establishment politico verde-oro.
In tal modo, Bolsonaro si propose quale facile soluzione ai complessi problemi strutturali del Paese, tra cui l’enorme debito pubblico e la dilagante criminalità, contrapponendo la sua immagine a quella di una classe politica dipinta quale incapace e corrotta. Al pari dell’allora omologo statunitense Donald Trump, egli fu in grado di capitalizzare - attraverso una strategia di comunicazione incalzante e capillare veicolata attraverso i social network e i media conservatori - il sostegno dell’elettorato evangelico e pentecostale, in crescita in tutto il continente e diventato decisivo nell’orientare gli equilibri politico-elettorali dei due Paesi. Infatti, tale sostegno, insieme a quello della grande impresa agraria - attratta dalla proposta di una vasta deregulation ambientale e dalle possibilità di sfruttamento delle foreste vergini dell’Amazonia– giocarono un ruolo decisivo nella corsa alla presidenza.

Elemento cruciale e che garanti l’accreditamento di Bolsonaro di fronte all’élite economica brasiliana fu poi la scelta di creare un super ministero dell’economia e di porne alla guida l’economista brasiliano Paulo Guedes. Infatti, l’ultimo dei “Chicago Boys”, principale fautore del programma economico del Partito Social-Liberale, propose una serie di massicce riforme di stampo neoliberista che comprendevano una vasta politica di privatizzazioni delle società statali, il passaggio a un sistema pensionistico a capitalizzazione individuale e drastici tagli delle tasse alle imprese. Tale prospettiva economica assicurò a Bolsonaro l’endorsement dei maggiori investitori finanziari brasiliani ed esteri – tra cui la Confederazione nazionale dell’industria brasiliana (Cni) - timorosi dei possibili effetti economici della presidenza Haddad.
In ultimo, l’attentato ai danni del candidato dell’estrema destra brasiliana, avvenuto a Minas Geiras a solo un mese dalle elezioni, divenne un evento determinante nella corsa alla presidenza e venne interpretato quale segnale inequivocabile dell’altissimo stato di tensione che attraversava il gigante sudamericano. Pur non essendo in grado di proseguire la campagna elettorale a causa delle numerose operazioni alle quali venne sottoposto, Bolsonaro vide infatti crescere esponenzialmente il proprio sostegno passando in poche settimane dal 22-23% al 26-30% al primo turno.
3. Deforestazione, gestione della pandemia e recessione economica
Nonostante il Brasile sia stato uno tra i Paesi più colpiti dall’epidemia da COVID-19, arrivando a contare più di 665.000 vittime e 30,2 milioni di casi dal principio della crisi pandemica, il presidente Bolsonaro ha adottato sin da subito una linea tesa a minimizzare gli effetti e i rischi derivanti dall’emergenza sanitaria, impedendo ai governi locali di adottare misure volte al contenimento dei contagi e diffondendo messaggi di scetticismo nei confronti dei vaccini.
Nel marzo del 2021, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha indentificato il Brasile quale epicentro mondiale della pandemia, con il 25% delle vittime registrate nel globo (oltre 66.000 decessi in un mese). Tale enorme costo in termini di vite umane ha condotto la Corte Suprema del gigante sudamericano a istituire, nel dicembre del 2021, una commissione parlamentare d’inchiesta, accogliendo la richiesta giunta dal Senato brasiliano che, ad ottobre, aveva raccomandato l’incriminazione del presidente per nove reati connessi alla cattiva gestione della pandemia, tra cui “crimini contro l’umanità” e “diffusione di notizie false”.
Trainato dalla drammatica situazione sul piano sanitario, anche il quadro economico e sociale ha dimostrato un notevole peggioramento, generando effetti particolarmente negativi per le famiglie con redditi più bassi. Già prima dello scoppio dell’emergenza, il gigante sudamericano si trovava in una complessa situazione economica e fiscale. Infatti, negli anni tra il 2014 e il 2017, il Brasile aveva sperimentato una massiccia contrazione economica, registrando un deficit pari al 10% del PIL nel 2015. Al fine di limitare il disavanzo e frenare l’aumento del debito, l’amministrazione Tremer varò una regola fiscale, volta a limitare le spese federali, aggiustate per l’inflazione, al livello del 2016 per 20 anni, pur non riuscendo nell’intento di risanare il quadro economico del Paese.
Con l’inizio della crisi pandemica, l’economia brasiliana ha registrato (nel 2020) una contrazione del 4,1%, accompagnata da una rapida crescita del tasso di disoccupazione, che si attestava invece attorno al 13%, con milioni di famiglie al di sotto della soglia di povertà. In risposta a tale crisi, il governo ha deciso di adottare una serie di misure volte a contenere la recessione, varando alcuni programmi di sostegno all’occupazione e di trasferimento di denaro di emergenza, prevedendo un aumento della spesa per la sanità ed estendendo le linee di credito concesse dal governo alle piccole imprese. In seguito alla notevole espansione fiscale e alla contrazione del PIL, nel 2021 il disavanzo pubblico è arrivato al 13,4% e il debito pubblico lordo al 98,9% del PIL.
Oltre alle pessime prestazioni del Brasile in ambito economico e alla disastrosa gestione dell’emergenza sanitaria, anche l’implementazione di politiche volte ad attuare una vera e propria deregulation ambientale in Amazzonia ha contribuito a destare sgomento nell’opinione pubblica mondiale. Infatti, dall’inizio del suo mandato, nel 2019, la deforestazione del polmone della terra ha subito una notevole accelerazione, registrando un aumento del 75,6% (rispetto al 2018) accompagnato da una crescita degli allarmi per gli incendi forestali e delle emissioni di gas serra.

Il rapporto “Dangerous man, dangerous deals”, pubblicato da Green Peace nel gennaio del 2022, ha confermato tale tendenza, evidenziando l’impatto negativo causato dal “sistematico smantellamento della protezione dell’ambiente e dei diritti umani da parte del governo Bolsonaro”. Il rapporto si basa sui dati raccolti, a partire dal 2019, dall’Istituto brasiliano di ricerche spaziali (INPE), attraverso i quali si attesta che, tra l’agosto del 2020 e il luglio del 2021, 13.235km2 di territorio siano stati soggetti a incendi e deforestazioni. Producendo tra il 6 e il 9% dell'ossigeno totale del mondo e fungendo quale bacino di assorbimento di anidride carbonica, l'Amazzonia ha giocato e continua a giocare un ruolo fondamentale nella regolazione del clima su scala globale. Gli incendi frequenti, l’innalzamento delle temperature e il cambiamento dei modelli di pioggia rischiano di danneggiare in maniera irreversibile gli habitat delle oltre tre milioni di specie presenti nella foresta, ponendo in essere un serio pericolo per la ricca biodiversità dell’Amazzonia e per le popolazioni indigene che la abitano.
4. Le amministrazioni Lula, Lava Jato e il ritorno sulla scena politica
Il 7 maggio, Lula, leader del Partido dos Trabalhadores, ex presidente del Sindicato dos Metalurgicos e già alla presidenza del gigante sudamericano dal 2003 al 2011, ha lanciato ufficialmente la sua campagna elettorale. In occasione di un raduno tenutosi nella città di San Paolo, Lula ha richiamato l’elettorato brasiliano a unirsi sotto un’alleanza trasversale che prende il nome di “Vamos Juntos pelo Brasil”. Tale coalizione, che comprende anche i partiti di centro e centro destra, sarebbe volta ad impedire la rielezione di Bolsonaro e “favorire la ripresa del Paese in seguito all’irresponsabile e criminale amministrazione” del leader dell’estrema destra.
L’ex presidente lasciò il proprio incarico nel 2011 quale assoluto protagonista della politica brasiliana e presidente più popolare nella storia del Paese, con l’87% degli elettori che si dicevano soddisfatti delle misure economiche e assistenziali varate dalla sua amministrazione. Infatti, durante gli otto anni di presidenza, Lula implementò una serie di politiche orientate a ricercare una “via brasiliana allo sviluppo”, conducendo una lotta alle disparità sociali e alla povertà e favorendo l’accesso all’istruzione e al mercato del lavoro. L’amministrazione guidata dall’ex sindacalista riuscì a sollevare più di 24 milioni di brasiliani dalla miseria creando circa 12,5 milioni di posti di lavoro e generando una diminuzione del tasso di disoccupazione dal 12% all’8%. Punto bandiera dell’agenda di Lula fu poi l’istituzione, a partire dal 2003, del progetto “Fome Zero” e “Bolsa familia”, programmi di rafforzamento del welfare brasiliano, basati sul trasferimento di denaro contante, che prevedevano lo stanziamento di 500 milioni di dollari finalizzati alla protezione dei redditi delle famiglie e alla promozione della sanità e dell’istruzione.
Durante il suo secondo mandato, l’amministrazione Lula concentrò la propria azione attorno all’implementazione di alcune politiche orientate a sviluppare il settore energetico del Paese. Tale obiettivo venne perseguito attraverso l’istituzione del Programa de Aceleração do Crescimento. Una delle priorità dell’amministrazione era infatti quella di attuare una vera e propria diversificazione energetica tramite la costruzione e la messa in funzione di numerose centrali idroelettriche, lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi, l’aumento della produzione dell’etanolo da canna da zucchero e l’apertura di una terza centrale nucleare. Il programma comprendeva altresì l’avvio di una strategia di sviluppo infrastrutturale e di rigenerazione urbana che poté contare su un programma di investimento pari a 646 miliardi di real (353 miliardi di dollari) e che consentì la nascita di una nuova classe media nel gigante sudamericano creando oltre 8,2 milioni di posti di lavoro.
Vista l’impossibilità di candidarsi per un terzo mandato consecutivo, Lula indicò Dilma Rousseff, politica ed economista brasiliana, quale suo successore. Rousseff riuscì a vincere le tornate elettorali del 2011 e del 2014, ma la sua amministrazione risentì profondamente delle conseguenze economiche della crisi che travolse il Brasile e che resero difficile dare seguito alle politiche avviate dal suo predecessore.
Inoltre, negli anni del suo secondo mandato, il 17 marzo 2014, la polizia federale del Brasile diede avvio alla storica inchiesta che prese il nome di Lava Jato, la quale condusse alla scoperta di un enorme schema di tangenti e corruzione, 300 arresti e 278 condanne che colpirono politici, affaristi e dirigenti di aziende statali e parastatali che gravitavano attorno alla Petrobras, la maggiore compagnia petrolifera dello Stato sudamericano.

Le indagini, guidate dal giudice Sergio Moro, che nel 2018 fu nominato ministro della giustizia nel governo Bolsonaro, scossero profondamente il panorama politico brasiliano, arrivando a toccare le più alte sfere dell’amministrazione dello Stato e delle principali aziende del Paese. Infatti, il 2 dicembre 2015, Eduardo Cunha, ex presidente della Camera dei deputati, presentò al congresso una richiesta di impeachment ai danni della presidente Rousseff - già ministro dell’energia durante il primo governo Lula e presidente del consiglio di amministrazione di Petrobras tra il 2003 e il 2010 - accusata di aver deliberatamente mascherato i conti pubblici per ridurre al minimo l'entità dei disavanzi e della recessione economica del Brasile. Con l’approvazione della procedura, nell’agosto del 2016, la presidente fu temporaneamente rimossa dalla carica e Michel Temer, al tempo vicepresidente, prese il suo posto.
Lo scandalo di corruzione coinvolse anche Lula, accusato di riciclaggio di denaro e corruzione passiva per aver ricevuto un appartamento dal valore di 2,4 milioni di real (il noto triplex di Guarujà) come tangente, e condannato, nel gennaio del 2017, a dodici anni di carcere. Ma, dopo aver scontato 580 giorni di prigionia, il giudice della Corte suprema brasiliana Edson Fachin stabilì, nell’aprile del 2021, l’annullamento delle condanne inflitte al leader del PT, consentendo all’ex sindacalista di intraprendere la corsa alle elezioni che si svolgeranno in ottobre.
5. Conclusioni, il probabile testa a testa
Così, in un Paese piegato dalle conseguenze della crisi pandemica e in un contesto politico incerto e per nulla nuovo a rocamboleschi sconvolgimenti, si apre uno scontro elettorale che potrebbe condurre lo Stato più ricco dell’America latina verso un altissimo stato di tensione.
I sondaggi presentano i due candidati come le opzioni più probabili per un ipotetico ballottaggio al secondo turno. Lula che, come detto, ha raggruppato sotto la propria coalizione il Partito Socialista, guidato da Geraldo Alckmin, e il partito Rede Sustenibilidade, si conferma in testa, con oltre il 40% delle intenzioni di voto, mentre Bolsonaro, alla guida del Partito Social-Liberale non supera il 32%.
Alla luce dei sondaggi e vista l’assenza di una “terza via”, un testa a testa tra i due candidati sembrerebbe inevitabile e potrebbe condurre il gigante sudamericano a sperimentare una polarizzazione degli schieramenti con pochi precedenti nella storia del Paese.
Il presidente uscente, il quale ha già iniziato a dimostrare le proprie perplessità rispetto alla modalità di voto on line, può sicuramente contare su un bacino elettorale di notevoli dimensioni composto, ancora una volta, dallo zoccolo duro rappresentato dall’elettorato evangelico e dagli strenui oppositori del PT. L’ex capitano dell’esercito spera che l’appello ai propri cavalli di battaglia, rappresentati dalla lotta alla corruzione e alla criminalità, possano essere sufficienti per condurlo alla vittoria nel possibile ballottaggio contro il candidato della sinistra. In realtà, stando ai sondaggi, meno di un terzo degli elettori approva la linea adottata dal presidente uscente, il quale ha progressivamente perduto il sostegno proveniente dall’ampio bacino elettorale composto dai ceti meno abbienti, coloro che più di tutti hanno risentito delle conseguenze della recessione.
Dall’altra parte del quadrilatero, il leader del PT conta di conquistare i voti delle città a nord-est del Paese, nelle quali si attestano altissimi tassi di povertà, facendo leva sull’effetto amarcord che il ricordo della crescita sperimentata durante le sue amministrazioni potrebbe generare.
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Bibliografia
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A. Mori, “Brasile: Lula e Bolsonaro scaldano i motori”, aprile 2021
“Lula annonce sa candidature à l’élection présidentielle pour reconstruire le Brésil”, Le Monde, maggio 2022
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