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Lo status giuridico della Palestina alla luce del diritto internazionale

Aggiornamento: 7 set 2021


Introduzione


Le prossime votazioni per eleggere i membri del Parlamento e il Presidente dell’Autorità Nazionale, oltre ai componenti del Consiglio nazionale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina danno nuova linfa al dibattito, invero mai sopito, sullo status giuridico della Palestina[1].

Figura 1 I Caschi blu dell'ONU mappano i confini sulle alture del Golan, © Ornella Ordituro

La questione non è meramente giuridica ma ha, anzi, delle importanti ripercussioni geo-politiche in tutta l’area. La presente analisi indaga sulla partecipazione della Palestina alla comunità internazionale, sulla qualifica di destinataria diretta delle norme internazionali e sulla sua capacità di porre in essere atti giuridicamente rilevanti a livello internazionale. A tal proposito, non è possibile comprendere fino in fondo la situazione odierna se non si ripercorrono le principali tappe storiche del paese e i suoi rapporti con il vicino Israele.


1. I rapporti con Israele e la comunità internazionale (1948-1967)


L’Impero britannico aveva occupato la Palestina, promettendo alla popolazione araba l’indipendenza alla fine della Prima Guerra mondiale; proprio nel periodo in cui, però, l’immigrazione ebraica subiva una netta accelerazione destinata alla nascita di uno Stato. Tuttavia, solo dopo la Seconda Guerra mondiale, la Gran Bretagna pone fine al suo mandato in Palestina attraverso la Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite 181 del 29 novembre 1947.


La disposizione – rifiutata poi dalle popolazioni arabe – prevedeva sia l’indipendenza palestinese sia la delimitazione dei suoi confini con uno Stato ebraico, nonché la divisione della città simbolo di Gerusalemme tra le due parti sotto mandato ONU.


Il 14 maggio 1948, quando il popolo ebraico dichiara l’indipendenza dello Stato di Israele[2], scoppiano gravi tumulti al punto che gli arabi della Palestina si riuniscono nella Lega Araba dando inizio alla prima guerra arabo-israeliana che coinvolge gran parte del Medio Oriente. In quegli anni, Israele si espande fino a una situazione di stallo, poi interrotta dalla crisi con l’Egitto nel 1956.


Il 2 giugno 1964, nasce l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) in qualità di Movimento di Liberazione nazionale, inteso come ente esponenziale del popolo palestinese che lotta per la sua autodeterminazione ma ciò non ferma l’occupazione israeliana di Gerusalemme est, Cisgiordania, Gaza, Golan e Sinai durante la guerra dei “Sei Giorni”, dal 5 al 10 giugno 1967.

2. L’autodeterminazione del popolo palestinese


La situazione, ormai molto diversa dal 1948, esplode con un altro conflitto nel 1973 (guerra dello Yom Kippur), a causa dei problemi irrisolti dall’occupazione israeliana. L’OLP, in rappresentanza del Movimento di Liberazione nazionale, ha tutto il diritto di rivendicare l’autodeterminazionedel popolo palestinese e, in quanto tale, beneficia di un peculiare locus standi [3]nel diritto internazionale a prescindere dal grado di effettività posseduto. Infatti, la valutazione circa l’esistenza sul piano internazionale di un Movimento di Liberazione nazionale non viene operata sulla base di elementi di puro fatto ma su un piano strettamente normativo.


Ciò che qualifica l’OLP, in definitiva, non è il controllo effettivo di una parte del territorio ma il fine qualificato perseguito. Israele avrebbe dovuto, e deve tuttora, concedere l’autodeterminazione al popolo palestinese; in caso contrario, vi è una violazione di una norma consuetudinaria cogente che produce obblighi erga omnes, ossia nei confronti di tutti Stati della comunità internazionale. In tal senso, gli Stati della comunità internazionale hanno, da un canto, l’obbligo di non fornire assistenza al governo che nega l’autodeterminazione al popolo palestinese e, dall’altro, la possibilità di dare sostegno politico al governo della Palestina.


3. L’ONU rafforza lo status della Palestina


Nel contesto dei principi sull’autodeterminazione dei popoli, l'Assemblea generale dell’ONU attribuisce anche ai suddetti Movimenti lo status di “osservatore”, ritenendo opportuno dialogare con questi. La Risoluzione ONU 3237 del 22 novembre 1975 riconosce tale qualifica all’OLP, concedendole il diritto di partecipare ai dibattiti in seno al Consiglio di Sicurezza ONU relativi alle questioni sull’autodeterminazione del popolo palestinese e sul processo di pace in Medio Oriente.


Nel 1987, la ribellione del popolo palestinese sfocia nella “prima intifada” riaprendo le ferite al punto che, il 15 novembre 1988, il Consiglio Nazionale Palestinese – l’organo legislativo, nonché massima autorità dell’OLP a cui spetta il compito di formulare politiche e programmi di quest’ultima – dichiara la nascita dello Stato palestinese destinato a esistere sul territorio originario, con capitale Gerusalemme, pur riconoscendo il vicino israeliano. L’Assemblea Generale dell’ONU adotta, il 15 dicembre 1988, la Risoluzione 43/176 “Question of Palestine” nella quale prende atto di tale proclamazione, considerata necessaria al fine di consentire al popolo palestinese di esercitare la sua sovranità anche sui territori occupati da Israele nel 1967. Resta ancora irrisolta la questione della capitale che i palestinesi ritengono essere Gerusalemme est, anche se attualmente sotto dominio israeliano. La capitale provvisoria è Ramallah ma gran parte della vita politica palestinese si svolge anche a Gaza.


La successiva Risoluzione ONU 43/177 del 1989 dell’Assemblea Generale riconosce “the proclamation of the State of Palestine by the Palestinian National Council”; definisce che il nome Palestina deve essere utilizzato al posto di OLP e qualifica la stessa quale Stato nei documenti ONU; inoltre, afferma al nuovo Stato una serie di privilegi e diritti, escluso quello di voto in seno all’ONU. Nondimeno, resta valido il diritto dei rappresentanti della Palestina di essere ascoltati nei vari consessi o fori internazional nei quali si dibattono questioni riguardanti la popolazione di cui interessi essi sono espressione. Al momento dell’annuncio, tuttavia, Israele controllava Gaza e la Cisgiordania ma ciò non inficerà la statualità del futuro Stato.


4. L’effettività del governo palestinese


Gli accordi di Camp David (1978), tracciati nel solco da seguire per dotare Gaza e la Cisgiordania di un regime autonomo, si sono basati proprio sul principio dell’effettiva attività dell’Autorità Autonoma palestinese e sull’attuazione delle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 242 del 22 novembre 1967 e 338 del 22 ottobre 1973, riguardanti rispettivamente il ritiro delle truppe israeliane “from/des territori occupati da Israele nel 1967”[4] e “cessate il fuoco”. Ma solo i successivi accordi di Oslo (1993-1995) istituiscono un’Autorità Nazionale palestinese, diretta dall’OLP, conferendo alla stessa il controllo della Cisgiordania[5] e Gaza, sebbene garantiscano a Israele quello militare e amministrativo in base alle sue necessità di sicurezza, anche sulle acque territoriali. In particolare, dividono la zona in tre aree: A sotto completo controllo palestinese (circa il 18% del territorio); B, a controllo misto (circa il 20% del territorio) e C, sotto totale controllo israeliano (si tratta del 60% del territorio).


La rilevanza della partecipazione alle attività dell'Assemblea Generale ha spinto poi quest’ultima, con Risoluzione 52/250 del 27 luglio 1998, ad attribuire alla Palestina lo status rafforzato di “osservatore speciale” che comprende il diritto di: prendere parte ai dibattiti nell’Assemblea Generale; intervenire anche su questioni non riguardanti il popolo palestinese o il Medio Oriente; replicare; chiedere l’iscrizione all’ordine del giorno di provvedimenti riguardanti la questione palestinese e quella del Medio Oriente, previa approvazione del Presidente di seduta; proporre progetti di risoluzioni sul popolo palestinese e sul Medio Oriente che potrebbero essere messi al voto qualora uno Stato membro ne faccia richiesta; essere localizzata nelle file immediatamente successive a quelle riservate agli Stati non membri dell’ONU e prima di quelle riservate agli altri osservatori.


La situazione sembrava evolversi verso la pace, tanto che nel 1995 Yasser Arafat – il Presidente dell’Autorità nazionale palestinese, alla guida del partito Al Fatah, confluito poi nell’OLP – è insignito del premio Nobel per la Pace, insieme ai due esponenti israeliani Shimon Peres e Yitzhak Rabin. Tuttavia, con l’uccisione di lì a poco del premier israeliano Yitzhak Rabin – assassinato da un giovane nazionalista israeliano, contrario al processo di pace – il processo di pace si stagna e regredisce, soprattutto a causa di ripetuti attacchi terroristici palestinesi contro la popolazione israeliana.


5. Gli anni più bui: il muro


Gli anni 2000 si aprono con gli accordi di Camp David, con cui i palestinesi hanno condizionato ogni consenso alla concessione della sovranità sulla zona est della città che, invece, gli israeliani hanno occupato dal 1967, considerandola loro capitale.

Figura 2 Paesaggio della Moschea di Al- Aqsa a Gerusalemme, © Ornella Ordituro

La situazione si esaspera sfociando nella “seconda intifada”. A partire dal 2002, Israele costruisce, allora, nel nome della legittima difesa, un muro che protegge i suoi territori, compresi quelli occupati nel 1967. A oggi sono stati pianificati 764 km di cui oltre 570 già costruiti, rendendo, di fatto, particolarmente difficili, quando non impossibili, i collegamenti e gli spostamenti dei palestinesi, i cui confini sono interrotti da numerosi checkpoints militari israeliani. L’azione è stata ampiamente condannata dall’intera comunità internazionale, nonché dalla Corte Internazionale di Giustizia. Nel parere del 9 luglio 2004, noto come “Muro in Palestina”, si evince che la costruzione del muro costituisce una violazione del principio di autodeterminazione dei popoli e del divieto di annessione con la forza di territori altrui, oltre a violazioni relative ai diritti umani e al diritto internazionale umanitario. Infine, non si sottovaluti il fatto che la Corte considera illegittimo il muro anche alla luce dell’autodifesa, in quanto questa è possibile qualora l’aggressore sia uno Stato.


6. Palestina


La “seconda intifada” non si è ancora conclusa e, nel 2006, quando Israele si ritira da Gaza, il partito politico-militare Hamas ottiene la maggioranza di governo su quella parte territorio. Il partito di Al Fatah, l’ala meno radicale dell’Autorità palestinese, rappresentato da Mahmoud Abbas, meglio noto come Abu Mazen, nonostante gli sforzi, non riesce a tenere una linea politica unitaria che mantenga la pace e costituisca un governo effettivo su tutti i territori.


La Comunità internazionale, pur considerando la condotta israeliana come contraria al diritto internazionale, valuta Hamas un’organizzazione terroristica e ha sospeso, negli anni, molti aiuti ovvero il supporto poltico al governo di Gaza.


Ciononostante, la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 2334 del 23 dicembre 2016 ribadisce l’urgenza del ritiro degli insediamenti israeliani, inclusi quelli a Gerusalemme, e la organizzazione di due Stati basata sui confini precedenti all’occupazione del 1967.


Inoltre, la Risoluzione dell’Assemblea Generale 67/19 del 29 novembre 2012 ha concesso alla Palestina di Abu Mazen lo status di “Stato-non membro osservatore” in seno alle Nazioni Unite[6], unitamente allo status di Stato membro all’UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura) dal 23 novembre 2011. La Risoluzione definisce la Palestina “Stato non membro” eciò determina non poche conseguenze di natura giuridica e politica. Sul piano del diritto, ma altrettanto della politica, è importante sottolineare che la Palestina viene qualificata come Stato anche se non membro dell’ONU ma pur sempre Stato secondo il diritto internazionale da questa risoluzione. La questione deve essere analizzata alla luce dei requisiti sostanziali e procedurali della Carta ONU. Nel primo caso, è necessario che il soggetto che presenta la domanda sia uno Stato. La nozione di Stato per l’ONU coincide con quella già analizzata per il diritto internazionale. Nel secondo caso, occorre una Raccomandazione del Consiglio di Sicurezza in tal senso e una Risoluzione dell’Assemblea generale.

Figura 3 Palestinesi in un caffè di Gerusalemme est, © Ornella Ordituro

Il testo approvato ribadisce il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e auspica il raggiungimento di una soluzione pacifica del conflitto che ponga fine all’occupazione iniziata nel 1967 conforme con la visione di due Stati: una Palestina indipendente, sovrana e democratica che viva a fianco di Israele in pace e sicurezza. L’ammissione all’Unesco ha, invece, da un lato, riaperto il dibattito sullo status giuridico della Palestina; dall’altro, sotto il profilo dei rapporti Unesco-Onu si assiste al caso di un’agenzia specializzata dell’ONU, legata a quest’ultima tramite un accordo di collegamento, che ha di fatto superato l’ostacolo del veto al Consiglio di Sicurezza.


7. Commenti


Stando a quanto riportato, ossia che al popolo palestinese è stato riconosciuto il diritto all’autodeterminazione in Palestina, si deduce che nei territori occupati da Israele, dal 1967, è ancora in atto un conflitto armato internazionale che, come tale, va disciplinato dalle Convenzioni di Ginevra del diritto internazionale umanitario del 1949 e dei successivi protocolli. In particolare, il I Protocollo aggiuntivo del 1977, annovera le lotte per l’autodeterminazione nell’ambito dei conflitti armati internazionali (articolo 1, par. 4); tuttavia, affinché il Protocollo trovi applicazione nei rapporti tra Israele e Palestina occorre non solo che il primo abbia ratificato il Protocollo ma anche che il secondo – inteso come Autorità che rappresenta un popolo – abbia notificato al depositario una dichiarazione in cui affermi la propria intenzione di applicarlo. Nel caso di specie, Israele non ha ratificato il Protocollo. Tuttavia, la Corte Penale Internazionale – che ha la giurisdizione sui territori palestinesi della Cisgiordania, di Gerusalemme est e della striscia di Gaza, occupati da Israele nel 1967 – ha deciso di aprire delle inchieste per presunti crimini di guerra nella zona.


L’espressione ‘personalità giuridica internazionale’ intende la titolarità e la destinatarietà degli obblighi internazionali, da cui discende la capacità in capo all’ente in questione di agire nell’ordinamento giuridico internazionale. Considerato che quest’ultimo non definisce de jure i suoi soggetti, è necessario derivare la soggettività internazionale, disciplinata da norme di diritto internazionale generale e consuetudinario e posizione assoluta e valida erga omnes, dal comportamento degli stessi consociati. Ne discende, dunque, che i requisiti che compongono la soggettività sono l’effettività e l’indipendenza. Il primo identifica la capacità reale del governo di esercitare sulla comunità umana stanziata sul proprio territorio le funzioni statali tipiche di ogni ordinamento e di imporre coercitivamente i propri precetti; il secondo identifica la capacità di esercitare tali funzioni in maniera indipendente dall’apparato di governo di un qualsiasi altro Stato.


Se si ripercorrono alcune delle tappe storiche citate per affrontare la soggettività della Palestina questa è incerta, essa non è né uno Stato né un’organizzazione internazionale e il suo status giuridico è quello di legittimo rappresentante del popolo palestinese, riflettendo le aspirazioni al diritto all’autodeterminazione di quest’ultimo. La capacità di governare dell’OLP è stata subito messa in dubbio dai continui trasferimenti della sede dalla Giordania, al Libano, alla Tunisia e dalla costituzione di un’Autorità palestinese, dotata di proprie istituzioni e di una serie di poteri sovrani sui territori occupati del 1967 che ha un’intensità varia a seconda delle zone di interesse (zona A, zona B e zona C).


Ad esempio, Hebron (città della Cisgiordania) ha al suo interno una sottodivisione di zone: H1 sotto controllo amministrativo e militare palestinese, in cui si sono insediate delle colonie israeliane; area H2 sotto totale controllo israeliano. Attualmente, in Cisgiordania ci sono 240 insediamenti in cui vivono quasi 600mila coloni israeliani.


8. Conclusioni


Il dibattito è, quindi, messo in discussione da numerosi elementi interni. Posto che la questione resta fortemente indeterminata, c’è da valutare se l’atto di riconoscimento operato dagli Stati possa avvalorare la soggettività della stessa. Non si dimentichi che il 16 dicembre 2014 anche il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sul riconoscimento dello Stato di Palestina. Cionondimeno, il riconoscimento ha perso il valore di atto costitutivo della soggettività internazionale per divenire un atto meramente dichiarativo anche se di notevole importanza politica, quale fattore di accelerazione nell’acquisto dei suddetti requisiti della soggettività.


Non può nemmeno dirsi in modo univoco che tutti gli Stati che hanno votato a favore abbiano inteso operare un riconoscimento della Palestina. Infatti, se alcuni hanno dato al loro voto una tale connotazione politica, il ragionamento non può a rigore essere esteso sic et simpliciter a tutti gli Stati, molti dei quali sono stati favorevoli non già perché ritengono esistente e consolidato lo Stato di Palestina ma al duplice scopo di rilanciare il negoziato con Israele (due popoli/ due Stati) e di rafforzare l’Autorità palestinese nei confronti di Hamas. Infine, la situazione è oggi ancora più difficile a causa dell’indebolimento e della povertà della popolazione palestinese (nel 2015, inizia una “terza intifada”), dimenticata dal resto della comunità internazionale, nonché di una crisi interna dovuta ai difficili rapporti con Gaza fra i partiti Al Fatah e Hamas – ciò rende faticoso dimostrare un effettivo e pacifico controllo dell’intero territorio.


Le elezioni previste per la primavera 2021 saranno l’occasione per valutare l’effettività di governo sulla popolazione residenze nei territori che fondano lo Stato della Palestina, nonché la sua esistenza come soggetto indipendente all’interno della Comunità internazionale.


(scarica l'analisi)

Note

[1] La dottrina e la giurisprudenza dominanti identificano lo Stato nella triade governo-popolo-territorio. In sostanza, per dirsi Stato – quindi soggetto del diritto internazionale – è necessario che, entro un territorio delimitato da confini, la popolazione stabilmente stanziata sia governata con effettività e indipendenza. Si noti bene che la popolazione non è intesa nel senso di comunità di individui legati dalla stessa cittadinanza ovvero lingua, cultura, etnia, razza o religione. Ciò che è fondamentale è che la popolazione obbedisca a un governo effettivo e indipendente. Ai fini della statualità, non è, invece, richiesta la forma di governo democratica, anche se a livello globale si è ormai affermata una forte tendenza a favore di un processo di democratizzazione. Il territorio è qui inteso come porzione di terra delimitata da confini; nondimeno, non è necessario che questi siano certi e incontestati, né è rilevante la quantità di spazio e la popolazione. [2] Con la Risoluzione 194 dell’11 dicembre 1948 si prende atto dell’istituzione dello Stato di Israele, ammesso all’ONU l’11 maggio 1949. [3] Si tratta evidentemente di una soggettività temporanea, che dipende dall’esito dell’insurrezione. [4] La versione inglese e francese della Risoluzione a confronto: https://peacemaker.un.org/sites/peacemaker.un.org /file s/SCRes242%281967%29%28fr%29.pdf [5] La Cisgiordania è una parte di territorio al confine con la Giordania, comprendente la riva occidentale del fiume Giordano, che la Giordania aveva annesso nel 1950 e Israele aveva occupato nel 1967, e Gerusalemme est. [6] In questo modo, ad esempio, viene equiparato lo status della Palestina a quello della Santa Sede.


Bibliografia


I. CARACCIOLO, U. LEANZA, Il diritto internazionale. Diritto per gli stati e diritto per gli individui. Parte generale, Giappichelli, Torino, 2012.

B.CONFORTI, C. FOCARELLI, Le Nazioni Unite, Cedam, 2020.

C. FOCARELLI, Diritto Internazionale, Cedam, 2019.

E. DI NOLFO, Storia delle relazioni internazionali. Dal 1918 ai giorni nostri, Laterza, 2008.

B. MORRIS, 1948. Israele e Palestina tra guerra e pace, Rizzoli, 2005.

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