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Le rotte del Mediterraneo Orientale e del Mar Nero: trafficking e smuggling

  • 29 nov 2018
  • Tempo di lettura: 5 min

Sebbene dal 2016 la rotta del Mediterraneo orientale abbia risentito in modo significativo delle politiche restrittive adottate da molti paesi est-europei e della dichiarazione UE-Turchia del marzo 2016, ad oggi il flusso lungo quella direttrice non può dirsi del tutto cessato. Nel 2017, secondo UNHCR, 29.718 migranti di cui 1.458 minori prevalentemente provenienti da Siria, Iraq e Afghanistan hanno raggiunto la Grecia dalla Turchia attraversando il Mar Egeo. Nel 2018 la mobilità lungo questa pericolosa rotta marittima è aumentata rispetto al (al 6 marzo erano stati registrati 3.126 arrivi nelle isole greche, rispetto ai 2.689 rilevati nello stesso periodo del 2017). Analogamente, rispetto al 2016, sono aumentati dell’80% gli attraversamenti terrestri dalla Turchia alla Grecia per un dato pari a 5.500 persone censite nel 2017 e 838 rilevate nel primo trimestre del 2018 a fronte rispetto dei 291 dello stesso periodo del 2017.

Resta inoltre praticata la rotta balcanica che da Serbia, Romania e Ungheria, via Croazia, punta poi all’Europa occidentale. Dati FRONTEX mostrano come la maggior parte degli attraversamenti illegali rilevati alla frontiera esterna dell'Ue siano stati registrati ai confini con la Serbia, area dove le reti criminali operanti nella regione hanno strutturato nuove alleanze transnazionali che oggi consentono la mobilità anche lungo nuove rotte in Albania, Montenegro, Bosnia ed Erzegovina e Croazia dove i trafficanti sono particolarmente attivi nei luoghi ad alta concentrazione di migranti irregolari, come centri di accoglienza e principali snodi di trasporto. UNHCR rileva che la diversificazione delle rotte del quadrante orientale comprende oggi anche la riapertura della rotta che arriva in Romania dalla Turchia via Mar Nero. Un canale d’accesso inutilizzato dal 2015 e che ad agosto e settembre 2017 ha visto giungere cinque imbarcazioni con un totale di 476 persone a bordo di nazionalità irachena e iraniana.

Alle persone che hanno raggiunto la Romania seguendo questa rotta - riporta UNHCR - se ne sommano altre 900 e più che hanno provato a intraprendere la traversata e sono state intercettate e tratte in salvo dalla Guardia Costiera Turca.


L’inasprimento dei controlli frontalieri ha reso i viaggi dei migranti ancora più pericolosi soprattutto perché si sono aperti percorsi alternativi meno visibili ma più rischiosi. La riduzione dei flussi, infatti, non è coincisa con la riduzione della mortalità in mare. Nei 2018, stando a dati dell’UNHCR, il tasso di mortalità tra coloro che partono dalla Libia è salito infatti a 1 decesso ogni 14 persone, rispetto a 1 decesso ogni 29 persone registrato nello stesso periodo del 2017. Il numero dei morti è tragicamente aumentato anche lungo la rotta occidentale che dal Marocco e Algeria porta verso la Spagna, con un decesso registrato ogni 27 persone nel 2018 a fronte di 1 ogni 52 persone registrato l'anno scorso.

Eppure queste statistiche restituiscono solo in parte il vissuto traumatico che caratterizza la mobilità degli migranti giunti in Europa attraverso rotte insicure. Secondo lo European Migrant Smuggling Centre (EMSC) nonostante la significativa diminuzione del numero di migranti irregolari in arrivo in Europa, la mobilità irregolare dei migranti verso l’Europa resta un’attività potenzialmente sovrapponibile alla tratta, perché, frequentemente, la necessità di estinguere il debito contratto per raggiungere l’Europa impone ai minori l’accettazione dello sfruttamento lavorativo o sessuale. Secondo l’ultimo rapporto SOCTA di EUROPOL, i gruppi criminali coinvolti nella tratta di esseri umani spesso trasferiscono le vittime sfruttando le stesse rotte migratorie utilizzate per lo smuggling. Analogamente, alcune indagini di polizia condotte negli Stati membri hanno dimostrato che i trafficanti cooptano in maniera crescente migranti irregolari e richiedenti asilo nell’Ue allo scopo di sfruttamento. Forme estreme di violenza, abusi di tipo fisico, psicologico e sessuale, e sfruttamento prima e dopo l’arrivo sul territorio dell'Ue rappresentano nei fatti una costante della mobilità minorile irregolare verso l’Europa.

Secondo una indagine quantitativa di OIM sui fattori di vulnerabilità e sulle esperienze individuali di abusi, violenza, sfruttamento e tratta di esseri umani raccolti negli ultimi due anni su un campione di oltre 16.500 migranti in 7 Paesi (Italia, Bulgaria, Grecia, Macedonia, Serbia, Slovenia, Macedonia), l’esposizione alla tratta e allo sfruttamento per le persone giunte in Europa attraverso le rotte del Mediterraneo Centrale è molto significativa. Nello specifico su un campione di 16.524, 6.485 sbarcati in Italia e 10.039 giunti in Grecia hanno risposto positivamente ad almeno uno degli indicatori di vulnerabilità per tratta e sfruttamento. Il 76% del campione è rappresentato da uomini e donne adulte, mentre il restante 24% da minori. L’81% è celibe o nubile, mentre il 18% è sposato. La loro mobilità è stata indotta principalmente dalla guerra, adottata come motivazione nel 70% dei casi, seguita da ragioni di natura economica (19%) o di limitato accesso ai servizi (7%). Le principali nazionalità sono quelle nigeriana, eritrea e guineana. La maggioranza del campione, pari al 48%, dichiara di avere un livello di istruzione secondaria, il 34% primaria, il 12% alcuna e appena il 6% superiore. Nel 53% dei casi, la destinazione finale dichiarata è stata l’Italia. Nel nostro Paese, in particolare, è stata rilevata una netta maggioranza di casi positivi pari al 73% del campione totale.


Questi dati oltre a confermare la saldatura tra le rotte e i gruppi criminali che operano nello smuggling e nel trafficking consentono anche di mappare le aree a elevato rischio tratta che interessano l’Europa. Sebbene il traffico (smuggling) in via teorica si distingua dalla tratta per via del denaro che la persona corrisponde al trafficante per entrare irregolarmente nel Paese di destinazione, le principiali inchieste e risultanze investigative confermano che spesso la tratta è perpetrata attraverso gli stessi canali e con le stesse strategie criminali utilizzate per lo smuggling. Già durante il viaggio verso il Paese di destinazione, il migrante subisce violenze e forme di coercizione sia da parte dei trafficanti che di numerosi altri soggetti, più o meno coinvolti nell’organizzazione dei flussi migratori irregolari (come ad esempio, agenti di polizia transfrontaliera corrotti, oppure bande criminali). Per questa ragione, la condotta coercitiva e ingannevole messa in atto dal trafficante nei confronti delle vittime fa sì che anche nel caso del trafficking un consenso iniziale allo sfruttamento da parte della vittima sia comunque irrilevante. A preoccupare, in questo contesto, non sono soltanto i Paesi usati come aree di ingresso come l’Italia e la Grecia, ma anche le rotte migratorie interne che da questi due Paesi si dipanano. In un rapporto recente FRONTEX ha evidenziato che la tratta di esseri umani emerge solo in minima parte ai confini esterni dell'Unione europea, mentre sempre, più di frequente, essa si palesa in specifici hub intra-europei che fungono da snodo di transito o punto di approdo delle tre principali rotte extra-europee che partono da Africa ed Asia. Questo dato trova conferma nell’analisi integrata dei rapporti Paese prodotti dal GRETA, il Gruppo di esperti sulla lotta alla tratta di esseri umani del Consiglio d’Europa, le cui evidenze confermano come la maggior parte delle identificazioni e delle emersioni delle vittime avvenga, principalmente, all’interno dei confini nazionali e non nei luoghi di frontiera.

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