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La Macedonia del Nord: dalle mire russe all'integrazione euro-atlantica

  • 14 mar 2019
  • Tempo di lettura: 10 min

Aggiornamento: 14 dic 2020

1. Introduzione

Il 6 Febbraio 2019 rappresenta una data storica per la piccola Repubblica di Macedonia e, in generale, per le relazioni internazionali. Il Paese ha compiuto il passo decisivo verso l’imminente ingresso nella NATO siglando il protocollo di accesso per diventarne il 30° membro. L’evento ha una portata storica ma anche un valore strategico in quanto inserisce un altro paese dei Balcani, dopo il precedente ingresso del Montenegro, nel progetto di consolidamento dell’area di influenza euro-atlantica ai danni della concorrenza russa. Sia il parlamento macedone sia quello greco hanno concordato sull’elemento fondamentale per avviare il processo di adesione, il cambio di nome del Paese da Repubblica di Macedonia (riconosciuta dalle organizzazioni internazionali con il nome di FYROM - Former Yugoslav Republic of Macedonia) a Repubblica di Macedonia del Nord (Република Северна Македонија in macedone). L’intero processo di ratifica per l’ingresso ufficiale dura circa un anno e ci si aspetta che il Paese entri a pieno titolo nel 2020. Il nome della Macedonia del Nord è stato al centro di una lunga disputa con la Grecia sin dalla dissoluzione della ex Yugoslavia nei primi anni novanta. Gli accordi di Prespa, firmati dal Premier greco Alexis Tsipras e dal Primo Ministro macedone Zoran Zaev nel giugno 2018, hanno posto fine alle obiezioni secondo cui il nome Macedonia implicava la rivendicazione di una regione greca con lo stesso nome. L’importanza dell’avvenimento si deve al fatto che la Grecia, che ha bloccato per vent’anni l’entrata del Paese nella NATO, è stato il primo membro a ratificare l’accordo: un chiaro messaggio rivolto alle pretese russe proprio in occasione del 70° anniversario dell’Alleanza atlantica.


2. La strategia di Mosca nei Balcani: il ruolo della Macedonia del Nord nei progetti russi

Come mai un piccolo Paese di circa 2 milioni di abitanti, senza sbocchi sul mare o particolari risorse si inserisce nel contenzioso diplomatico tra Occidente e Oriente? E perché la Russia, data la sua distanza geografica dal Paese, ha profuso diversi sforzi per impedirne l’adesione alla NATO? D’altronde, Mosca non ha sollevato obiezioni all’ ingresso di Albania e Croazia nel 2009.

È presto detto. Il piccolo Stato è l’ultimo in ordine temporale ad essersi trovato oggetto di competizione tra due visioni del mondo diametralmente opposte che si è intensificata dopo il ritorno di Putin al Cremlino nel 2012 e ha raggiunto il vertice nel 2014 dopo l’annessione della Crimea. Il rinnovato espansionismo russo ha trasformato i Balcani in un terreno di scontro con le forze euro-atlantiche sul quale ogni conquista dell’Occidente corrisponde a una perdita per la Russia. In particolare, Mosca considera la Macedonia del Nord una piccola roccaforte nel contesto della lotta contro la NATO e l’Unione Europea e ha tentato di renderla simile alla Republika Srpska (RS), una piccola entità regionale autonoma filo-russa a maggioranza serba all’interno della Bosnia ed Herzegovina. Ma nel peggiore dei casi avrebbe ridotto la Macedonia del Nord alla stregua della stessa Crimea, data la predisposizione russa a usare le zone ‘cuscinetto’, creandovi dapprima degli insediamenti regionali per poi offrirsi come mediatrice per ridurre il ruolo della NATO e dell’UE. [1]

A livello geografico la Macedonia è delimitata da tre membri NATO (Albania, Bulgaria e Grecia) per cui Mosca l’ha identificata come bersaglio ideale per rinchiudere sia la NATO sia l’UE all’interno dei confini attuali, limitandone l’ulteriore espansione. Il Paese è stato uno degli obiettivi principali russi per via della sua posizione chiave nei Balcani Occidentali nel progetto del gasdotto Turk Stream (o Tesla) una manovra ambiziosa per rendere i Paesi europei sempre più dipendenti dall’energia russa. Con la promessa di prospettive finanziarie utili a ridurre la povertà diffusa nel paese, la Russia ha tentato di sfruttare la carta del settore energetico, dato che la Macedonia del Nord dipende essenzialmente dalle riserve di gas naturale russo. L’imponente opera avrebbe dovuto rimpiazzare il precedente gasdotto South Stream, sfumato a causa della crisi economica e di tensioni varie. Nonostante il fallimento dello stesso e il destino nebuloso di Tesla, il Cremlino ha parzialmente perseguito i suoi piani per estendere la rete completando nel 2016 il gasdotto Klecovce-Negotino che attraversa la Macedonia del Nord dal vicino confine greco fino a sud in prossimità del confine serbo.

Non appare scontato il fatto che la Russia non consideri l’ingresso nella NATO come una minaccia in sé. Al contrario, essa rappresenta una sorta di sottrazione indebita di un’area storicamente facente parte del perimetro di influenza sovietico. In termini strategici, l’Europa sudorientale si estende lungo un’asse che Mosca rivendica come parte della sua sfera di azione. Pur non ritenendo l’accesso nell’Alleanza atlantica e quello potenziale nell’UE come una sfida diretta, esso comporta il rischio di stabilizzazione di un’area tradizionalmente considerata una polveriera. Mantenere lo status quo di debolezza dei Balcani Occidentali significa demolire il progetto di espansione euro-atlantico. Si tratta del cosiddetto gioco a somma zero: non si gioca per accumulazione ma per sottrazione. Lo scopo principale non è quello di vincere direttamente bensì di ottenere un vantaggio dall’indebolimento dell’avversario, mettendone in risalto le debolezze. L’ossessione attribuita al confronto con l’Occidente evidenzia un aspetto fondamentale della politica estera russa che non tiene conto dell’esito della strategia, bensì della destabilizzazione fine a sé stessa e del creare problemi ad ogni costo. Fino al rischio che sia controproducente per gli stessi interessi russi. Citando lo stile di Dostoyevsky, tanto più disperato é il tentativo, tanto più dolce la sconfitta auto-inflitta. Il fine ultimo è quello di presentare la Russia come modello di governance alternativo a quello occidentale di democrazia liberale e di economia di libero mercato. Il capo dell’Ufficio euro-atlantico e di partenariato globale della NATO, James H. Mackey, ha sintetizzato la politica estera e di sicurezza russa definendola: “un’opposizione alla NATO ad ogni passo”. [2]

Il coinvolgimento russo nelle questioni dei Balcani parte da lontano. Durante la seconda metà del XIX secolo il sud della Russia con la costa del Mar Nero è diventato un ponte per sviluppare rapporti commerciali e culturali con le popolazioni locali. Il rapporto si è evoluto sulla base di una comunanza religiosa con i cristiani ortodossi slavi dei Balcani arrivando fino alla Guerra del Kosovo nel 1999. [3] Per la Russia la decisione della NATO di entrare in guerra con la Serbia ha rappresentato il momento di svolta nei rapporti più o meno distesi con l’Occidente. [4] La strategia russa di espansione nei Balcani è emersa soprattutto dopo il 2014 perseguendo obiettivi trasversali. Mosca ha cercato di sfruttare i punti ciechi delle politiche transatlantiche e i vuoti di potere lasciati dalle istituzioni comunitarie. A differenza dei paesi vicini al proprio territorio, non ha diretto i propri sforzi a evitare direttamente l’allargamento della NATO o dell’UE bensì li ha finalizzati alla creazione di una rete di influenza in Paesi più o meno inseriti nei club occidentali, non allineati chiaramente, in modo da sfruttare la loro condizione di zone grigie. In un Paese ampiamente diviso su linee etniche come la Macedonia del Nord, Mosca ha rievocato antichi dissidi con la minoranza etnica albanese e conflitti armati del passato. In primo luogo, ha agito cercando di polarizzare le minoranze creando spaccature nelle realtà albanesi presenti in Macedonia, Kosovo e Albania. Le popolazioni albanesi pur essendo fieramente nazionaliste, tendono a prediligere posizioni filo-americane e a resistere alla penetrazione russa. La Macedonia del Nord, al contrario del Montenegro, ha avuto problemi con il Kosovo e con i fratelli etnici presenti in Albania. Entrambi i Paesi hanno progettato ‘la Grande Albania’ che comprende tutti i territori dei Balcani in cui vivono gli etnici albanesi con la rivendicazione di territori in Montenegro, Serbia ma soprattutto in Macedonia. Nel 1999 la NATO ha favorito la separazione tra Kosovo e Serbia aumentando in Macedonia del Nord le speranze dei fautori dell’espansionismo, data la presenza di una componente albanese pari a un quarto della popolazione. La NATO, secondo alcuni a torto, ha sostenuto le istanze di autonomia degli albanesi portando il Paese a cedere parti del proprio territorio. Facendo leva su questo punto, dopo la visita a Skopje dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini, Mosca ha accusato l’Occidente di favorire l’insediamento di un governo macedone per aiutare l’Albania ad accampare diritti su regioni presenti in Serbia, Montenegro, Grecia e Macedonia del Nord. Secondo il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov questo presunto schema di redistribuzione dei confini avrebbe destabilizzato la Macedonia del Nord. [5] In realtà, le divisioni inter-etniche e i cambiamenti di confine sono elementi utili proprio all’agenda russa.


La mappa della Macedonia settentrionale: il giallo, l'arancione e il verde mostrano le regioni in cui, secondo il censimento del 2002, i macedoni, gli albanesi e i turchi hanno una maggioranza. Le regioni contrassegnate da M sono quelle in cui i macedoni hanno una maggioranza relativa.Cartina: Fonte: Wikimedia commons, autore: PANONIAN, licenza: dominio pubblico.

3. Il soft power russo: tra propaganda, disinformazione e resistenza alla democratizzazione

L’impiego del soft power russo, uno strumento che combina l'uso mirato di notizie televisive, su carta stampata e via social media, troll e fake news è stato a lungo sottovalutato. Lo sviluppo di idee e strumenti volti a promuovere il ruolo della Russia come potenza mondiale risale già a metà degli anni 2000. [6] La presenza russa si fa sentire attraverso un’ampia gamma di strumenti, formali e informali. Lo stesso Concetto di politica estera pubblicato nel 2013 definisce il soft power come: “uno strumento completo per il raggiungimento degli obiettivi di politica estera basato su metodi alternativi alla diplomazia tradizionale.” [7]

Ma ormai tali attività sovversive sono note al pubblico internazionale tanto che il Presidente francese Macron durante un incontro con Putin nel 2017 le ha denominate: “organi di influenza e propaganda". [8] Ma al di là della diffusione spasmodica di informazioni, il vero pericolo per l’Occidente è la capacità russa di creare una rete di supporto ai propri obiettivi, coinvolgendo interlocutori marginali, dai membri della sociètà civile ai piccoli imprenditori e infiltrandosi nel lavoro di associazioni culturali, sportive per riaccendere nelle identità locali sentimenti di nostalgia per il glorioso passato russo. L’esercizio del soft power prevede un’accurata mappatura dei canali e degli attori da coinvolgere e una buona dose di flessibilità e capacità di riorganizzazione. Si appella ad un patrimonio culturale condiviso tra i Balcani e la Russia, evocando l’'idea di una identità pan-slava e di una comunanza della fede ortodossa. La strategia divide et impera di Mosca punta a conquistare i settori euroscettici delle società locali e ad indebolire l'attività della NATO e dell'UE sostituendo l’autoritarismo ai processi di supporto esterno alla democratizzazione. I media russi di proprietà statale, come Sputnik e Russia Today (RT) sono stati oggetto di crescente interesse da parte della comunità internazionale per la loro capacità di orientamento trasversale dell’opinione pubblica. Hanno promosso l’immagine di un Occidente impreparato, dell’UE sull’orlo del collasso e della NATO quale entità cospiratrice dedita a progetti segreti come una imminente rivolta militare albanese per la sopracitata “Grande Albania”. In particolare, il degrado del settore multimediale e giornalistico nei Balcani, dai bassi standard giornalistici alla mancanza di regole riguardo la proprietà intellettuale e di tutele giuridiche contro le interferenze, l’hanno resa un bacino ideale per la comunicazione strategica russa. Secondo un rapporto del Centro per gli studi democratici, la Macedonia del Nord è stata maggiormente suscettibile di ingerenza russa per la debolezza endogena delle strutture politiche e sociali, dei sistemi giudiziari soggetti al clientelismo e alla corruzione. Secondo documenti confidenziali trapelati, Mosca ha agito nell’ombra per un decennio per seminare discordia e diffondere la propaganda antioccidentale. Un rapporto del controspionaggio macedone del 2017 ha riportato le parole di Oleg Scherbak, l'ambasciatore russo in Macedonia del Nord, secondo le quali l'obiettivo della Russia è stato quello di "creare una zona neutrale nei Balcani" che includesse il Paese insieme a Serbia, Montenegro e Bosnia Erzegovina. Strumento di propaganda è stato un piccolo partito filo-russo, la United Macedonia a Skopje che ha diffuso i messaggi russi tramite conferenze e simposi. Una di queste in cui è stato ospite il filosofo conservatore e analista russo Alexander Dugin, ha visto la partecipazione di un numero inaspettato di persone data l’esigua popolazione del paese. [8]

Alcuni diplomatici occidentali hanno denunciato la comparsa quotidiana su Facebook di nuovi siti atti a sollecitare il boicottaggio del referendum consultivo sul cambio di nome del 30 settembre 2018. La battuta d’arresto del referendum dovuta alla scarsa affluenza ha fatto pensare al successo delle politiche vessatorie russe. Si è parlato di infiltrazione nei sistemi elettorali e di lavoro congiunto con il principale partito macedone di opposizione, il VMRO-DPMNE (Partito democratico per l’unità nazionale macedone), contrario alla riformulazione della costituzione. Inoltre, ventotto partiti politici macedoni e alcune ONG allineate con la destra hanno lanciato una campagna per l’astensione dal voto. [9] Secondo dei funzionari dell'intelligence americana la Russia ha anche cooptato alcuni club di tifosi locali e persino bande di motociclisti contrarie al cambio di nome. Anche la Grecia non è rimasta immune all’ingerenza russa, tanto che due diplomatici russi sono stati espulsi dal paese dopo che Atene ha accusato Mosca di aver tentato di fomentare l'opposizione all’accordo. Un recente sondaggio del Think tank Institute for Democracy–Societas Civilis di Skopje ha evidenziato un dato paradossale relativo al fallimento del referendum. I dati raccolti hanno mostrato come la grande maggioranza dei macedoni fosse favorevole all'adesione alla NATO e all’UE qualunque fosse il nome del proprio paese. [10]


3. Conclusione

Nella continua competizione per il potere e l'influenza, la Russia ha, di fatto, seguito una strategia dannosa. Mosca ha accusato la NATO e l’Occidente di aver forzato l’accordo pur di portare il Paese nell’Alleanza il prima possibile e di voler aggiungere microstati senza rilevanza strategica o economica. Mostrando di tenere alla stabilizzazione dei Balcani e di voler agire come protettore della sicurezza e di garante del diritto internazionale. Il Cremlino ha infatti sottolineato che la soluzione delle dispute internazionali va trovata esclusivamente nel quadro della risoluzione 845 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. [11]

Dopo la perdita di un’altra pedina nello scacchiere geopolitico ora la Russia ha prospettando un futuro negativo per la sicurezza e la stabilità globale europea. Mosca continua a denunciare che "reinventare la NATO" significa riportarla alle sue funzioni e ai suoi istinti originali di macchina da guerra al servizio degli Stati Uniti. Consapevole del fatto che storicamente tutti i Paesi ex-comunisti che si sono uniti all’UE hanno iniziato il percorso di transizione aderendo dapprima alla NATO.

Una cosa è certa, la Russia non resterà a guardare e nel complesso mosaico di Paesi con prospettive di accesso, Bosnia e Herzegovina e Kosovo su tutti, sfrutterà le divisioni interne. O potrebbe far passare gli accomodamenti forzati alle frontiere come tattica legittima in linea con il sostegno occidentale all’omogeneizzazione etnica dei Balcani.


Bibliografia:

[1] T. AMBROSIO, Authoritarian Backlash: Russian Resistance to Democratization in the Former Soviet Union, Ashgate Publishing, Farnham, 2009.

[2] M. LEICHTOVA, Misunderstanding Russia: Russian Foreign Policy and the West, Routledge, 2016.

[3] K. LIIK, Winning the normative war with Russia: an Eu- Russia power audit, European Council on Foreign Relations, 2018. 

http://winning_the_normative_war_with_russia_an_eu_russia_power_audit

[4] N. SMIRNOVA, Macedonia in the context of-present-day Russian foreign policy, London, 1999, The New Macedonian question, St Antony’s Series, Palgrave Macmillan, pp.263-273.[5] Balkan ramblings, Strategic Comments, 2017, Taylor & Francis, vol. 23, n° 5.

[11] La risoluzione 845 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite adottata il 18 giugno 1993 esortava la Grecia e la ex Repubblica di Macedonia a continuare nella cooperazione con i copresidenti del Comitato direttivo della Conferenza Internazionale sulla ex Yugoslavia per giungere ad una rapida soluzione delle rispettive divergenze. https://unscr.com/en/resolutions/845

https://www.mid.ru/en/foreign_policy/official_documents/asser_publisher/CptICkB6BZ29/content/id/122186

https://www.citizensforeurope.eu/survey


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