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L'attacco terroristico in Sinai e le divisioni interne all'Islam

  • 1 dic 2017
  • Tempo di lettura: 1 min


L'attacco terroristico del 24 novembre 2017, che ha mietuto oltre 300 vittime, potrebbe attestarsi come l'attentato più sanguinoso nella storia egiziana recente. I militanti hanno colpito un'area tormentata, com'è quella del Sinai, in cui si affiancano due elementi: da un lato, l'ampia diffusione della corrente Sufi nel nord del Sinai, considerata da alcuni gruppi particolarmente integralisti - tra cui il cosiddetto Stato Islamico e la cellula operante nell'area, Wilayat Sinai - una corrente eretica; dall'altro, la politica antiterrorismo portata avanti dal generale al-Sisi, che ha usato, senza successo, la forza, per mantenere sotto controllo un'area particolarmente complessa, e ha promesso di fare altrettanto per punire i colpevoli dell'attentato.

​La penisola del Sinai, che congiunge il golfo di Suez - e il più noto canale - con il golfo di Aqaba, è un'area scarsamente popolata, in cui il sufismo, una corrente mistica della religione musulmana, è particolarmente diffusa. Fino alla scorsa settimana, gli attentati terroristici compiuti nella regione avevano principalmente avuto come target la minoranza cristiana copta diffusa nell'area. Tuttavia, il recente attentato ci ricorda che le vittime del terrorismo sono spesso proprio i musulmani ed evidenzia l'importanza di un'efficace prevenzione della radicalizzazione, anche ai fini di evitare la commissione di atti di terrorismo.

Per approfondire, si segnala questo articolo su Al-Jazeera.

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