Donne e indigene per il cambiamento in Cile e in America Latina
- Elena Scalabrin
- 12 set 2021
- Tempo di lettura: 9 min
Aggiornamento: 14 set 2021

1. Elezioni in Cile
Il 15 maggio 2021 in Cile si sono tenute due elezioni, le municipali (che hanno confermato i soliti nomi) e quelle per i 155 membri dell’Assemblea costituente. L’Assemblea è stata voluta dal 78% dei votanti al referendum tenutosi ad ottobre 2020 a seguito delle proteste dell’autunno 2019, scatenate dall’aumento del biglietto della metro della capitale e poi estesesi contro il governo in generale. Le persone sono scese in piazza contro la corruzione, il sistema pensionistico e educativo fallimentare, per chiedere più giustizia, meno assistenzialismo e a favore di cause come femminismo e la capacità di autodeterminazione dei popoli indigeni. Altri temi al centro delle proteste sono stati l’opposizione all’estrattivismo e il debito esorbitante che colpisce la classe media cilena. Le nuove generazioni sono state in prima linea.
L’affluenza alle elezioni del 15 maggio è stata bassa, a sorpresa: 42%. La destra è stata sconfitta: nonostante sia al governo, nella Costituente non raggiunge il 1/3 necessario per porre il veto alle decisioni, che devono essere prese con i 2/3 dei voti. Nemmeno la sinistra storica, il cui simbolo è Michelle Bachelet, ha ottenuto un gran risultato. Ad ottenere voti, invece, sono stati candidati non appartenenti ai partiti, con idee di sinistra radicali, che sono scesi in piazza con le manifestazioni. Sorprendono i 17 seggi riservati agli indigeni, di cui 10 ai Mapuche, quando prima d’ora gli indigeni sono sempre stati ignorati. Un’altra novità della costituente cilena è la componente femminile, che raggiunge il 50%, un primato mondiale.
2. L’Assemblea costituente
L’assemblea avrà a disposizione tra i 9 e i 12 mesi per redigere una nuova costituzione, che sarà confermata o rigettata da un referendum. In caso di rigetto, si tornerebbe alla “Costituzione Pinochet” del 1980. Il periodo previsto potrebbe non essere sufficiente, specialmente considerando la composizione eterogenea dell’Assemblea, i cui membri sono per la maggior parte novizi, persone non abituate alla politica. Bisognerà dimostrare una grande capacità di ascolto, dialogo e sintesi delle idee, difficoltà aggravata dalla presenza di gruppi formatisi solo in vista dell’assemblea, a cui manca un pensiero univoco. Un'ulteriore criticità dell’assemblea è che non metterà in discussione i trattati di libero commercio già attivi, quindi non ostacolerà l’estrattivismo. Nello stesso periodo, si terranno le elezioni presidenziali, banco di prova del consenso popolare e per cui si farà campagna. Saranno 12 mesi intensi.
Un nodo cruciale da sciogliere in assemblea sarà la presenza dello Stato nell’economia, dato che la “Costituzione Pinochet” è la più liberista al mondo e molti di quelli che altrove sono diritti, in Cile secondo l’attuale costituzione sono considerati libertà: la pensione e l’assicurazione sanitaria per citarne un paio di fondamentali per la vita dei cittadini e il futuro del Paese. Fino ad ora lo Stato si è sempre comportato in modo assistenzialista, apparendo solo in assenza di investitori privati, e con politiche che, garantendo aiuto o meno, in ogni caso non ha garantito diritti. Si prevede che l’assemblea renda diritti molte attuali libertà. L’unico diritto ora garantito è la proprietà privata e la privatizzazione è così estrema che il Cile è l’unico Paese al mondo in cui il 100% dell’acqua è privata.
Un altro punto fondante per il futuro del Paese che deve essere affrontato è il ruolo delle materie prime. Ricordiamo che il Cile è il primo esportatore al mondo di rame, e che il settore minerario è sotto stress a causa della pandemia. In secondo luogo, in vista di una lotta all’estrattivismo per motivi ambientali e di autodeterminazione dei popoli indigeni (17 seggi sono stati assegnati ai rappresentanti delle comunità indigene), sarà necessario decidere se e quanto regolare l’estrazione e la lavorazione di questi materiali.
3. Iracì Hassler, sindaca di Santiago: donna e comunista

Le elezioni comunali hanno confermato i soliti nomi quasi ovunque, ma con una sorpresa di grande valore storico e culturale, che testimonia l’impatto delle donne militanti nella politica abitualmente in mano agli uomini.
Un esempio è la nuova sindaca della capitale: giovane, ma con un impegno politico costante nel tempo, nonostante i suoi parenti impegnati nella politica siano in Brasile e in Europa, mentre quelli a lei più vicini siano estranei a tale impegno. Contro i pronostici ufficiali, il sindaco di Santiago è per la seconda volta nella storia una donna e per la prima volta di sinistra. Con un programma basato sulle esigenze dei cittadini, Iracì Hassler Jacob, figlia di una psicologa brasiliana indigena e un imprenditore svizzero, ha vinto contro l’avversario Felipe Alessandri, che cercava la conferma.
A trent’anni, Hassler conta su una carriera politica iniziata nel 2011, durante l’università. All’epoca partecipò alle proteste studentesche, entrò nella gioventù comunista e assunse ruoli di importanza crescente fino a diventare senadora universitaria dal 2012 al 2014 e dirigenta estudiantil dell’università. Negli ultimi quattro anni è stata consigliera comunale di Santiago.
La sua campagna per il comune si è svolta tra le strade e sui social, partecipando a fiere e consigli di quartiere. La partecipazione dei cittadini è stata alla base del suo programma, che li ha ascoltati e resi parte attiva della sua campagna. La sindaca ha dedicato il proprio discorso di insediamento alla partecipazione popolare, che ha promesso di continuare e rafforzare durante il suo mandato. Il programma della sua amministrazione riguarda temi vicini alle persone che l’hanno votata e che sperano in un miglioramento della vita in città e maggiore inclusione.
L’immigrazione è stato un tema centrale del programma, che la sindaca intende rendere inclusiva almeno nella sua città. Si prevede anche una collaborazione con i centri educativi, assicurandone la dignità strutturale, l’abbandono dei programmi educativi di stampo sessista, la ripresa il programma Escuelas abiertas, che coinvolge l’educazione pubblica ma anche la sicurezza e in generale favorire la relazione tra scuole e quartieri: aprire le scuole durante i fine settimana come centri culturali e sportivi, giardini comunitari. Altri temi di campagna sono stati il cambiamento climatico, la salute, anche mentale, la prevenzione della perdita di verde, la discriminazione e la violenza di genere e riconoscimento del lavoro di cura e la sicurezza e la prevenzione dei reati anche con una prospettiva di genere. Si toccano argomenti di vecchia data e nuovi, sentiti dai cittadini di Santiago, e che mantengono al centro la vita delle persone.
A dimostrazione dell’impegno di Hassler per la parità di genere, la sua squadra è composta di 9 persone, 5 donne e 4 uomini. Santiago non sarà più la stessa.
4. Elisa Loncòn, una donna indigena alla presidenza dell’Assemblea costituente

A dimostrazione dell’impatto femminile e femminista e del ruolo degli indigeni grazie ai seggi loro riservati, l’’Assemblea costituente è presieduta da Elisa Loncòn, linguista e professoressa all’università di Santiago, con una lunga carriera di campagne a favore dell’autodeterminazione dei popoli indigeni, accompagnata dalla leader mapuche, Francisca Linconao.
Il discorso di insediamento di Loncòn parla chiaro, delinea i suoi obiettivi senza mezzi termini. Saluta in mapundungun (lingua del popolo indigeno mapuche), come per ricordare che terrà in mente gli interessi dei popoli indigeni, e tutto il Cile, in nome dell’unione che intende portare grazie all’assemblea costituente.
Subito dopo richiama la diversità sessuale (argomento non toccato nemmeno in Italia, per capire l’innovazione di tale menzione) e dichiara di voler fondare un Cile plurinazionale e interculturale. Questo può non essere un tema nuovo in America Latina, dato che molti stati che hanno rinnovato la costituzione dopo periodi di dittatura hanno riconosciuto questi valori (per esempio Ecuador e Bolivia), ma il Paese andino è sempre stato un caso a parte, iniziando dall’estremo neoliberismo dell’attuale costituzione e dalla totale mancanza di dialogo con i vari popoli indigeni.
Il passaggio successivo ha enunciato i suoi obiettivi: un Cile che non attacchi i diritti delle donne e di chi presta cura, che rispetti la terra e pulisca le acque. In ultimo ha rimarcato il carattere partecipativo dell’assemblea. Il fulcro del discorso, ripetuto più volte, è stato l’unione: delle varie aree geografiche, regioni, dei settori lavorativi. E la democrazia e partecipazione. In breve, il discorso è impregnato di novità, diritti, parità e uguaglianza, concetti contrapposti al modello politico ed economico attualmente in vigore.
Loncòn si batte per il riconoscimento di uno Stato plurinazionale, che restituisca dignità alla lingua e alla cultura dei popoli indigeni e che riconosca loro pieni diritti e l’autonomia. Questi propositi dovranno affrontare molti ostacoli, primo tra tutti il diritto di proprietà, che impedisce agli indigeni di autodeterminarsi, in quanto le loro terre attualmente sono in mano a multinazionali.
L’elezione di Loncòn come presidente dell’Assemblea costituente è doppiamente importante. Si tratta di una donna e appartenente ad un popolo indigeno (maggioritario, certo, ma comunque indigeno, quindi minoranza politica). Porta avanti gli interessi di tutti i popoli indigeni del CIle e nel suo discorso di insediamento ha affrontato la diversità sessuale, argomento spinoso anche in Europa. Si tratta di un cambiamento non da poco in uno stato che riconosce più libertà che diritti. Non è detto che il programma di Loncòn abbia buon esito alla fine dei 12 mesi di mandato della costituente, ma è un momento storico per il Paese e comunque vada difficilmente la politica sarà la stessa.
5. Moira Millàn, weichafe mapuche in Argentina

Al di là del Cile, tutta l’America Latina è una Regione di grandi donne indigene che combattono per il riconoscimento dei propri popoli, il rispetto del territorio e delle donne.
Come dimenticare Moira Millàn, weichafe (guerriera) mapuche argentina dall’età di 18 anni, che lotta per il riconoscimento del suo popolo in uno stato che nega l’eredità indigena e contro l’estrattivismo delle multinazionali?
La weichafe è da sempre attiva, su più fronti, per proteggere l’ambiente: co-fondatrice del Movimento mapuche e contadino, fondatrice del movimento Lavoro, casa e terra e portavoce del Movimento donne indigene per il buen vivir. Nel 2015 ha organizzato una marcia delle donne indigene dal sud al nord dell’Argentina a cui hanno partecipato più di 10.000 persone.
Come ricorda Millàn, sulle donne indigene che si oppongono al potere ricade la violenza peggiore: sono contemporaneamente oppositrici politiche, contro le multinazionali e il “terricidio”, e donne in una società maschilista. Questo rende il loro ruolo chiave nella lotta che affrontano, ma le espone al contempo ad altissimi rischi.
Secondo le parole della stessa Millàn: “Definiamo terricidio l’assassinio non solo degli ecosistemi tangibili e nei quali vivono i popoli, ma anche di tutte le forze che regolano la vita sulla terra, ciò che noi chiamiamo ecosistema percettibile. Ci riferiamo al “terricidio” come conseguenza del modello di civilizzazione dominante, che sta mettendo a rischio il futuro sul pianeta e che oggi si manifesta attraverso il cambio climatico e le sue conseguenze. Noi, donne e discendent* indigene organizzate nelle 36 nazioni native che vivono in Argentina, sappiamo di essere coloro che patiscono nel corpo-territorio le conseguenze del cambiamento climatico, coloro che soffrono i costi e le responsabilità ambientali generate da questo modello globale di sfruttamento delle risorse naturali.”
6. Gadalupe Llori: prima donna indigena deputata in Ecuador

Guadalupe Llori fu arrestata nel 2007 per terrorismo e sabotaggio durante il periodo di Rafael Correa, l’allora presidente, e tornò libertà nel 2008, per riprendere la politica l’anno successivo, prima essendo eletta prefetta di Orellana, la sua provincia, sia nel 2009 che nel 2014. Lo scorso maggio è stata eletta presidente dell’assemblea della repubblica.
C’è chi la definisce sovversiva e chi un’eroina. Le sue azioni politiche iniziarono nel 2000 come sindaca di Orellana, nel 2004 il suo ruolo si allargò alla prefettura, da dove si oppose allo sfruttamento dell’Amazzonia da parte delle multinazionali, arrivando a paralizzare la produzione di petrolio tra il 2006 e 2007. Questo le costò le accuse. Di sicuro la sua vita politica è stata lunga e non accenna a fermarsi.
7. Altre donne di cambiamento in America Latina
In Perù ricordiamo Liz Chicaje Churay, donna indigena del popolo bora, vincitrice di quest’anno del Goldman Prize (il nobel per l’ambiente) e le due vincitrici dell’anno scorso: la messicana Leydy Pech e l’ecuadoregna Nemonte Nenquino.
Chicaje protegge dall’età di 16 anni un’area di 850 mila metri quadrati da attività minerarie e contrabbando di legname, che grazie ai suoi sforzi nel 2018 è diventata parco nazionale protetto, che comprende il territorio confinante con 23 su 29 popoli indigeni peruviani e centro di “megadiversità” biologica: oltre 3 mila specie di piante, 500 di uccelli, 550 di pesci e svariati mammiferi. Nel 2018 Liz vinse anche il premio franco-tedesco per i diritti umani e lo stato di diritto.
Leydy Araceli Pech Martin è la leader maya in Messico che da oltre un decennio combatte per la soppravivenza di una specie di ape addomesticata da secoli dal suo popolo, il cui habitat è stato in pericolo a causa dei semi di soia usati da Monsanto, che controlla il 90% del mercato mondiale di semenze e tra i primi produttori mondiali di erbicidi. Nel 2017 Pech è riuscita a ottenere il non rinnovamento del permesso alla multinazionale di crescere soia modificata in sette stati del Messico. riportiamo che nel 2019 sono stati registrati almeno 18 attivisti assassinati, la maggioranza indigeni.
Nemonte Nenquino è indigena waorani in Educador che nel 2010 si oppose al commercio di carni silvestri vendendo invece artefatti e cioccolato e dal 2013 lavora ad un sistema di acqua piovana pulita, ma il premio le fu consegnato, tra l’altro, per aver vinto contro lo sfruttamento del blocco 22, un’area verde ricca di biodiversità e di petrolio e aver salvato così 200 mila ettari del blocco e altri 4 che si voleva aggiungere.
Menzione d’onore per Berta Càceres, indigena Lanca in Honduras, anch’essa vincitrice del Goldman Prize, assassinata il 3 marzo 2016 dopo una vita di dimostrazioni pacifiche per impedire la costruzione della diga Agua Zarca, che avrebbe lasciato il suo popolo senza acqua, cibo e medicine. La sua prima azione in rappresentanza del popolo Lanca fu nel 2006, nel 2013 organizzò la protesta maggiore, che riuscì ad arrestare il progetto e questo le costò la vita tre anni dopo.
Come si comprende da questo excursus, il Cile è solo il più recente caso di donne (e indigene) che grazie al loro lavoro politico cercano di garantire migliori (ed effettivi) diritti ai cittadini (e non), all’ambiente e in generale al pianeta.
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