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Il ‘crimine del potere’: il reato di tortura nell’Italia di oggi è una conquista recente

Aggiornamento: 4 set 2021

Nella tortura una persona compie volontariamente contro un’altra atti che non solo feriscono quest’ultima nel corpo o nell’anima, ma ne offendono la dignità umana. Nella tortura c’è insomma l’intenzione di umiliare, offendere e degradare l’altro, di ridurlo a cosa.”

Antonio Cassese


1. Introduzione: la dignità umana al centro


Il bene giuridico tutelato dalle norme che vietano il ricorso alla tortura è la dignità umana. Non è un caso quindi che storicamente il ‘potere’ ha fatto ricorso a questa brutale pratica per secoli, perché consente a chi vuole controllare e prevaricare un popolo di strumentalizzare l’essere umano per i propri fini, instillando terrore assoluto. La pratica della tortura riduce l’uomo a cosa, a un oggetto, a puro mezzo per perseguire fini di natura politica, anche se opera in contesti investigativi/punitivi e quindi all’occasione posta in essere dalle forze di polizia in quanto braccio armato del potere come Stato. Questa associazione ha per lungo tempo fatto parte di una mentalità, che consentiva di pensare che il fine giustificasse i mezzi, anche quando questi mezzi ledono un valore fondamentale per la società.


La dignità umana è alla base di tutti i diritti umani, il diritto ad avere diritti, per questo la sua lesione costituisce una ferita allo stato di diritto, ossatura di ogni democrazia. Infatti ha costituito uno dei capisaldi delle democrazie costituzionali novecentesche ed è quindi un valore integrato nel nostro sistema democratico. O così sarebbe dovuto essere. Il reato di tortura è stato introdotto in Italia solo di recente, nel del 2017 [1]. Nel frattempo, non sono mancati casi di cronaca e inchieste che hanno reclamato a gran voce l’introduzione di questa fattispecie delittuosa, basti pensare al G8 di Genova fra i tanti. I giudici hanno dovuto ricorrere molto spesso all’utilizzo di fattispecie di reato inadeguate, come il reato di lesioni personali, che si rivelavano inadatte a sanare gravi ingiustizie.


Di seguito si propone un’analisi giuridica e a tratti sociologica di come si configura il reato di tortura nel nostro ordinamento, partendo dai principali strumenti internazionali, e di quali sono i principali problemi applicativi.


2. La Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite del 1984


Lo strumento principale in campo internazionale è la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (CAT), che venne adottata dalle Nazioni Unite a New York il 10 dicembre del 1984 [2].


La CAT impone agli Stati firmatari di adottare tutti i provvedimenti necessari per impedire e punire gli atti di tortura e i trattamenti crudeli e a proteggere le persone detenute da attacchi contro la loro integrità fisica e psichica. La Convenzione tra l’altro sancisce: il divieto assoluto di tortura; il divieto di estradizione di una persona verso un altro Stato qualora vi siano serie ragioni per ritenere che in tale Stato essa rischi di essere sottoposta a tortura (anche detto principio del «non-refoulement» o non respingimento); definizione dettagliata di tortura; disciplina della pena per le persone che compiono atti di tortura e della loro estradizione; regolamentazione della prevenzione e dell’individuazione di casi di tortura [3].

La Convenzione dispone di un meccanismo di controllo periodico al fine di valutare lo stato di implementazione, costituito dalla presentazione di un rapporto sui provvedimenti presi da presentare ad un anno dalla ratifica da parte dello Stato e poi ogni 4 anni al Comitato contro la Tortura, organo competente alla valutazione. Inoltre, il Comitato ha facoltà di avviare una procedura d’inchiesta (art. 20 CAT) se sospetta una pratica sistematica della tortura [4].


L’Italia è stata il 64esimo Stato a ratificare la Convenzione e ciò è avvenuto nel 1989. Tuttavia è mancata per quasi 30 anni una legge di esecuzione, che introducesse nel nostro codice penale il reato di tortura. L’iter legislativo ha avuto un difficile cammino nel nostro ordinamento, dal momento che le varie proposte di legge che si sono susseguite nel tempo si sono sempre arenate, fino all’estate del 2017.


3. Protocollo facoltativo alla CAT


In aggiunta è stato predisposto il Protocollo facoltativo alla Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, approvato il 18 dicembre 2002 dall’Assemblea generale dell’ONU, che prevede un procedimento nel cui ambito organi nazionali e internazionali visitano ed esaminano periodicamente i penitenziari a scopo preventivo. Tale procedura di monitoraggio periodico all’interno di quei luoghi in cui persistono situazioni di violazioni gravi, data la particolare condizione di vulnerabilità delle persone sottoposte a detenzione, costituisce una tutela aggiuntiva. Il Protocollo facoltativo è entrato in vigore il 22 giugno 2006. L’Italia ha adottato questo strumento il 20 novembre 2012 [5].


4. Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti


A livello regionale, disponiamo della Convenzione del Consiglio d’Europa adottata a Strasburgo il 26 novembre del 1987 ed entrata in vigore il 1 febbraio del 1989, che prevede l’istituzione di un comitato internazionale [6]. Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti disumani o degradanti ha il potere di visitare i luoghi in cui si trovano persone private della libertà da una pubblica autorità, meccanismo anch’esso, come quello delle Nazioni Unite, a carattere preventivo e non giudiziario. Il Comitato composto da personalità indipendenti può formulare delle raccomandazioni e suggerire dei miglioramenti per rafforzare, se necessario, la protezione delle persone visitate contro la tortura o le pene o trattamenti disumani o degradanti.


5. L’iter parlamentare della Legge n. 110 del 14 luglio 2017


Alla luce degli strumenti sopra citati, solo nel 2017 e con la Legge n. 110 del 2017 viene introdotto in Italia il reato di tortura all’interno del codice penale, disciplinato agli articoli 613bis e 613ter, all’interno del titolo XII dedicato ai ‘delitti contro la persona’.

La legge approda all’interno del nostro ordinamento penale a seguito delle numerose pressioni provenienti dal Consiglio d’Europa e delle Nazioni Unite, in particolare a seguito della condanna emanata da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con la sentenza del 7 aprile 2015 (il Caso Cestaro c. Italia, ric. n. 6884/11) [7], nella quale l’Italia venne sanzionata per la mancanza di adeguate ed efficaci misure di prevenzione e repressione delle condotte di tortura, contrarie all’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.


La sentenza in questione faceva riferimento ai fatti del G8 di Genova dell’estate del 2001, laddove le Forze di Polizia italiane si sono rese responsabili di atti di tortura e trattamenti crudeli, inumani e degradanti nei confronti di civili manifestanti. Dopo svariati anni di processi, coloro che erano responsabili delle torture non vennero mai puniti da parte della giustizia italiana, a causa proprio dell’assenza di una norma che sanzionasse specificatamente le ipotesi di tortura, permettendo che la prescrizione penale inglobasse tali condotte, configurate come reati minori (nel caso specifico lesioni e percosse).

Tale inerzia del Legislatore a disciplinare e punire un atto così crudele come la tortura è da ricondurre anche all’opposizione degli esponenti delle Forze dell’Ordine, e dei loro sostenitori [8], che ritengono che una previsione di tale tenore comporterebbe dei limiti all’esercizio delle proprie funzioni di ordine pubblico e lotta al crimine, contribuendo anche a fomentare il senso di sfiducia verso il proprio operato [9].


6. Il reato di tortura: gli articoli 603bis e 603ter del codice penale [10]


Il reato è stato configurato nel codice penale (articolo 603bis) con la seguente definizione: “Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona. […]” Qualora i fatti qui descritti venissero commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, è previsto l’aumento della reclusione, con un minimo e un massimo edittale da cinque a dodici anni [11]. Nel caso in cui dalla condotta posta in essere, di cui sopra, derivasse una lesione personale, l’aumento delle pene è come segue: se dalla commissione del fatto derivasse una lesione personale grave, l’aumento è di un terzo; se ne derivasse una lesione personale gravissima della metà. Se la vittima dovesse morire quale conseguenza non voluta, la pena attribuita è la reclusione di anni trenta. Se invece il colpevole cagiona volontariamente la morte, la pena attribuita è l'ergastolo.


La fattispecie di istigazione (articolo 613ter) prevede invece: “Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio il quale, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, istiga in modo concretamente idoneo altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l'istigazione non è accolta ovvero se l'istigazione è accolta ma il delitto non è commesso, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”. Si tratta in quest’ultimo caso di un reato ‘proprio’, cioè che può essere commesso solo tra soggetti ben identificati, in questo caso che rivestono la qualifica di pubblico ufficiale.


7. La pluralità delle condotte e la sentenza della Corte di Cassazione n. 47049 [12]


Da una prima lettura degli articoli, c’è un nodo interpretativo di notevole impatto applicativo: la necessità di unapluralità di condotte per integrare la fattispecie di reato. Se è tortura un fatto costituito da più condotte, quando se ne realizza una sola ma caratterizzata da crudeltà e da tutti gli elementi sopra elencati, non ci sono conseguenze limitative che possono creare aree di impunità? Altre previsioni normative sono sufficienti a tutelare il bene giuridico protetto, la dignità umana?


Secondo la Sentenza n. 47049 della Corte di Cassazione, la questione si risolve considerando il reato come ‘eventualmente abituale’, cioè può essere integrato anche in presenza di sole due condottee anche in un minimo lasso temporale, come un'ora o alcuni minuti, mutuando l'orientamento giurisprudenziale formatosi in relazione alla fattispecie degli atti persecutori di cui all'art. 612 bis c.p. Inoltre, può dirsi realizzato anche attraverso un unico atto idoneo a ledere l'incolumità fisica, la libertà individuale e morale del soggetto, che comporti “un trattamento inumano e degradante” e quindi stabilendo la soglia minima da superare.


Per concludere, la natura della fattispecie si delinea come segue: “un reato doloso, formalmente vincolato per le modalità della condotta (violenze o minacce gravi, crudeltà), per l'evento naturalistico (acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico) e per il soggetto passivo (persona privata della libertà personale o condizioni simili sopra elencate)”, e richiede infine “una condotta plurima o abituale, o in alternativa, che il fatto comporti un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona” [13].


8. La non posizione della Corte di Cassazione sul reato c.d. tortura di Stato


Tuttavia, la Quinta Sezione sembra non aver voluto prendere una posizione in merito alla configurazione o meno del c.d. reato di tortura di Stato, in riferimento al secondo comma dell’art. 613bis. Si tratta di una questione interpretativa cruciale, che rileva al fine di stabilire se il reato di tortura si pone come reato comune (cioè configurato anche quando commesso da soggetti privati) e proprio (configurato quando a porla in essere sono soggetti qualificati). I giudici optano per una sorta di terza via, negando la natura autonoma della fattispecie e qualificando la condotta posta in essere dal pubblico ufficiale come aggravante rispetto a quella del primo comma che descrive invece il reato di tortura come ‘comune’. Non c’è spazio quindi per una fattispecie di tortura autonoma che individui una tortura commessa dallo ‘Stato’. Il secondo comma, così, ha natura meramente circostanziale prevedendo un reato comune, accompagnato da un aggravamento afflittivo nell'ipotesi in cui la tortura sia commessa da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio. A giustificare una tale presa di ‘non posizione’, sarebbe la scelta di rispettare la ratio della Legge n. 110 del 2017.


9. Tortura e contesto penitenziario [14]


Il carcere è per sua natura il luogo dove la tortura ha più facilità a concretizzarsi (ma non solo). Si tratta di un luogo dove le persone detenute si trovano in regime di privazione della libertà personale e di autodeterminazione, dove c’è una responsabilità pubblica a tutelare la dignità della persona, dell’integrità fisica e psichica. Tale responsabilità genera un obbligo negativo, di non commettere atti tali da risultare in tortura, e tre positivi: prevenire, sanzionare chi la commette e risarcire chi la subisce. Alla luce dei numerosi processi in corso a carico di forze di polizia e del personale (anche medico) che opera nel contesto penitenziario [15], l’applicazione del reato di tortura riveste un’importante deterrente alle situazioni di ingiustizia che si vengono a creare quando, per esempio, un operatore di polizia nell’esercizio delle sue funzioni fa un uso spropositato della forza. Alla base molto spesso c’è una cultura estremamente pericolosa, in contesti in cui non c’è progettualità di reinserimento sociale, che scaturisce proprio dalla situazione che vede due parti, funzionario penitenziario e detenuto, tra cui c’è un regime di controllo.

Ma come si combatte questa cultura? Lo stesso Mauro Palma, Garante Nazionale delle persone private della libertà personale, indica questa necessità di progettualità tra l’area giuridica e quella pedagogica, al fine di trovare momenti di sintesi delle difficoltà per affrontare le responsabilità educative e di sicurezza da parte di chi ha sotto la propria custodia, e quindi tutela, le persone detenute. Si può nel frattempo iniziare a registrare ciò che succede nel carcere, anche da parte di soggetti terzi neutrali, e supportare il ruolo dei medici, creando relazioni che facciano emergere criticità di sistema, come situazioni di violenza ed impunità.


10. Tortura e detenzione amministrativa degli stranieri [16]


Stessa identica situazione riguarda la detenzione amministrativa degli stranieri, strumento ampiamente utilizzato per ‘prevenire’ flussi irregolari e sempre oggetto di accesi dibattici a livello politico. Non sono infatti mancati interventi legislativi per poter ampliare la mappa dei luoghi in cui porre in regime di privazione della libertà personale gli stranieri ‘irregolari’, spesso anche ampliandone i termini, così da poter più agilmente mettere in atto misure di respingimento ed espulsione.


La mappa è diffusa sul territorio, contenente punti strutturati, come i Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) e non, come il c.d. sistema ‘hotspot’ ed oggi anche le navi quarantena. Una detenzione diffusa che pone un ulteriore elemento di criticità in un sistema penitenziario/detentivo estremamente problematico.


11. Il ruolo del Garante Nazionale delle persone private della libertà personale [17]


Il Garante Nazionale in questione è un organismo statale indipendente (presente anche in altri paesi europei) che ha il compito di monitorare, visitandoli, i luoghi di privazione della libertà (oltre al carcere, i luoghi di polizia, i centri per gli immigrati, le Residenze per le misure di sicurezza (REMS), i reparti dove si effettuano i trattamenti sanitari obbligatori (SPDC) ecc.). Tali visite hanno lo scopo di individuare eventuali criticità e collaborano con le autorità responsabili per trovare soluzioni idonee a risolverle. In aggiunta, il Garante Nazionale ha il compito di risolvere quelle situazioni che generano occasioni di ostilità o che originano reclami proposti dalle persone detenute presso le istituzioni sulle quali esercita il proprio controllo, riservando all’autorità giudiziaria i reclami giurisdizionali che richiedono l’intervento del magistrato di sorveglianza. Il Garante ha poi il compito di redigere un rapporto contenente osservazioni ed eventuali raccomandazioni dopo le visite ufficiali, inoltrandolo alle autorità competenti.


Per riassumere, i compiti di monitoraggio sono 3: monitorare, sulla base del Protocollo opzionale delle Nazioni Unite sulla prevenzione alla tortura, i luoghi di privazione della libertà, con visite ed accesso documentale, coordinandosi con i Garanti Regionali; monitorare, sulla base della Direttiva rimpatri (115/2008) i cittadini extra-UE irregolarmente presenti sul territorio italiano, in detenzione amministrativa, e che devono essere accompagnati nei paesi di provenienza; monitorare le strutture dove vengono ospitate persone anziane e con disabilità, come stabilito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.


12. Le ‘direttive vittime’ e la violenza in carcere


Le direttive 2004/80/CE e la 2012/29/UE [18] hanno ricevuto scarsa attenzione in Italia, che è stata sanzionata prima per il loro mancato recepimento e poi per la loro carente trasposizione all’interno del nostro ordinamento giuridico. La domanda che si pone, alla luce della necessità di obblighi positivi in capo allo ‘Stato’, è la seguente: possiamo dire che le persone vittime di reato mentre si trovano ristrette in carcere (custodia pre-cautelare, cautelare, in esecuzione penale), o che si trovano private della propria libertà personale perché ristrette nei vari centri per migranti, ricevono adeguata tutela?


In attuazione della prima direttiva, la Legge n. 112 del 2016 ha previsto maglie molto strette per coloro che avrebbero diritto ad un indennizzo per le sofferenze subite, cioè coloro che sono vittime di un reato intenzionale violento. L’indennizzo viene elargito solo per spese mediche ed assistenziali eventualmente sostenute dalla vittima a conseguenza del reato (esclusi i casi di violenza sessuale ed omicidio); c’è una soglia di reddito annuo entro cui si può accedere all’indennizzo; deve essere stata esperita senza successo l’azione civile risarcitoria nei confronti dell’autore del reato; la vittima non deve essere stata condannata per evasione in materia di imposte sui redditi; in ultimo, la vittima non deve aver percepito per lo stesso fatto un indennizzo da un ente pubblico o privato.


L’altra Direttiva è stata recepita con il Decreto Legislativo n. 212 del 2015, introducendo quelle che dovevano essere garanzie ulteriori nell’ambito del procedimento penale. Ma non c’è stato poi nel concreto una tutela specifica, che desse un ruolo attivo e partecipe alla vittima. In più, di fatto i meccanismi di denuncia e protezione coinvolgono l’autorità presente negli istituti di pena dove i reati hanno luogo, aspetto che pare essere un controsenso. Le vulnerabilità poi, vengono desunte dal tipo di reato e non dal soggetto-vittima.


13. Conclusioni: questione di civiltà


Alla luce di quanto esposto, il reato di tortura ha per certi versi costituito una conquista a metà, che non ha soddisfatto le aspettative delle organizzazioni che si sono battute per la sua introduzione, come dichiarato dall’associazione Antigone [19], che si sempre è battuta in prima linea per il rispetto della dignità della persona in contesti di forte vulnerabilità, come quello carcerario e detentivo. I giudici hanno dovuto rimediare ai fallimenti del potere legislativo, influenzato dalle correnti politiche polarizzate su un tema così fortemente politicizzato. Si poteva fare di più. Permane ancora una cultura di omertà, condizionata dall’assunto che l’utilizzo eccessivo della forza sia inevitabile per poter garantire la sicurezza e l’ordine pubblico. Serve un radicale cambiamento di prospettiva e di riforma del sistema carcerario tutto che integri quello che viene sancito anche a livello costituzionale, cioè la rieducazione del reo e la reintegrazione nel tessuto sociale. La pena detentiva deve avere una visione umana del detenuto e non renderlo ‘cosa’ e quindi togliergli umanità e dignità. Inoltre, bisogna dare effettiva valenza anche a quegli obblighi positivi dello Stato che deve considerare la vittima non soggetto passivo ma elemento attivo del garantismo penale intero. Infine, occorre riconoscere gli effetti di lungo termine sulla salute fisica e mentale e quindi sostenere economicamente, in maniera adeguate e non restrittiva, chi deve subisce le conseguenze della tortura.


Tutto ciò mira a garantire le fondamenta di ogni stato di diritto e democrazia. Si tratta di una questione di civiltà giuridica ma anche morale.


(scarica l'analisi)

Fonti


[2] La Convenzione contro la tortura è stata approvata dall’Assemblea generale dell’ONU il 10 dicembre 1984 ed è entrata in vigore il 26 giugno 1987. Il testo integrale pubblicato in Gazzetta Ufficiale: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1989/04/21/089A1627/sg.

[3] Tali previsioni sono contenute nella prima parte della CAT (articoli 1-16).

[4] Le norme attinenti la sua costituzione, funzioni e regolamento interno sono contenute nella seconda parte del CAT (articoli 17-24).

[5]Protocollo facoltativo alla Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti delle Nazioni Unite, disponibile in lingua inglese: https://www.ohchr.org/EN/ProfessionalInterest/Pages/OPCAT.aspx.

[6] Testo Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti: https://www.coe.int/it/web/conventions/full-list/-/conventions/treaty/126.

[7] Caso Diaz, Italia condannata per atti di tortura: https://www.altalex.com/documents/news/2017/06/26/cedu-caso-diaz.

[8] Resoconto Stenografico, Indagine conoscitiva in merito all’esame delle proposte di legge, recanti C. 189 Pisicchio, C. 276 Bressa, C. 588 Migliore, C. 979 Gozi, C. 1499 Marazziti E C. 2168, approvata dal Senato, recanti introduzione del reato di tortura nell’ordinamento italiano, seduta di mercoledì 8 giugno 2014, audizione delle Organizzazioni Sindacali della Polizia di Stato, Presidenza del Presidente Donatella Ferranti, Commissione II Giustizia, http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/stenografici/pdf/02/indag/c02_tortura/2014/06/18/leg.17.stencomm.data20140618.U1.com02.indag.c02_tortura.0002.pdf.

[9] Per maggiori informazioni sui punti salienti dell’iter parlamentare: https://www.camera.it/leg17/561?appro=OCD25-270.

[11] Il comma relativo alla fattispecie ‘aggravante’ del reato, poiché commesso da un soggetto qualificato, non si applica nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall'esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti (comma 3). Tale disposizione ha rappresentato un caveat interpretativo.

[12] Per approfondimenti e ulteriori questioni interpretative sul reato di tortura vedere: https://www.sistemapenale.it/it/scheda/colella-cassazione-tre-sentenze-nuova-fattispecie-di-tortura.

[13] Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 20 novembre 2019, n. 47079, Considerazioni in Diritto, paragrafo 5.4., pagina 11: https://www.sistemapenale.it/pdf_contenuti/1579119955_47079-2019-anonimizzata-tortura.pdf.

[14] La tortura nell’Italia di oggi, Antigone, a cura di Carolina Antonucci, Federica Brioschi, Claudio Paterniti Martello, Luglio 2020, La prevenzione della tortura in carcere, Maura Palma, 31-40.

[15] Amnesty International Italia, Reato di tortura, la prima condanna per un agente di polizia, 18 gennaio 2021: https://www.amnesty.it/reato-di-tortura-la-prima-condanna-per-un-agente-di-polizia/.

[16] Ibidem, Detenzione amministrativa degli stranieri, Gennaro Santoro, 41-48.

[17] Sito Ufficiale del Garante Nazionale di prevenzione della tortura e dei trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti: https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/.

[19] Antigone, Approvata la legge sulla tortura. Lontana da ciò che volevamo. Da domani al lavoro per farla applicare nei tribunali e migliorarla, 5 luglio 2017: https://www.antigone.it/news/antigone-news/3064-approvata-la-legge-sulla-tortura-lontana-da-cio-che-volevamo-da-domani-al-lavoro-per-farla-applicare-nei-tribunali-e-migliorarla.

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