Il cambiamento climatico e l’anarchia in Somalia
- Lucas Asmelash
- 31 gen 2022
- Tempo di lettura: 7 min
Aggiornamento: 10 feb 2022

1. Introduzione
Il rovesciamento del governo di Siad Barre del 27 gennaio 1991 a opera delle forze armate del Congresso somalo unito (CSU) è considerata la genesi politica dell’ancora logorante instabilità del paese. Il vuoto di potere che da ormai trent’anni coltiva e ospita un numero imprecisato di attori armati, quali gruppi nazionalisti e islamisti, signori della guerra, milizie di clan e sottoclan, è oggi costretto a includere un ulteriore fattore, nella complessa quanto inesistente equazione amministrativa. Si tratta del cambiamento climatico e delle sue dirette e indirette complicanze sociali.
Gli sforzi internazionali che dal 1992 si prepongono l’arduo compito di ritardare il più possibile il collasso definitivo della Somalia, basti pensare alle prime missioni di pacificazione dell’Organizzazione delle nazioni unite (ONU), sono oggi orientati verso l’avanzamento di politiche non più spendibili sul fronte della sicurezza militare, ma anche su questioni di sicurezza sociale e sostenibilità collettiva. Anche se il contesto di guerra civile porta con sé uno strascico di conflittualità più o meno grandi e dalla difficile se non impossibile definizione, un fattore che rimane poco compreso agli occhi dei più è come il cambiamento climatico in Somalia stia gradualmente compromettendo la solidità di un tessuto umano sempre più debilitato e infermo.
2. Un’economia di sostentamento dai difficili risvolti
Gli effetti del cambiamento climatico che si sostanziano in fenomeni climatici come siccità, inondazioni improvvise, piogge irregolari, interruzione delle stagioni monsoniche, venti forti, cicloni, tempeste di sabbia, di polvere e aumento generale delle temperature sono ormai percepiti lungo tutti i territori della Somalia. La gravità di queste irregolarità metereologiche altera i livelli di produzione agricola nazionale e compromette la stabilità sociale delle comunità rurali e di quelle più distanti dai centri abitati, come evidenziato in un rapporto speciale emesso dal governo somalo nel 2013. A oggi questo rapporto, per quanto datato, rimane la migliore stima dell'impatto del cambiamento climatico nel paese, poiché per ovvie ragioni relative a questioni di accessibilità interna, risulta impossibile la rilevazione di dati più recenti. Essendo il settore primario la principale risorsa produttiva dell’intera struttura economica della Somalia, ammontando addirittura a tre quinti dell’insieme, è chiaro come le preoccupanti tendenze relative alla desertificazione massiccia delle terre preoccupino non solo gli attori governativi locali, ma anche gli osservatori e gli istituti internazionali di ricerca.
L’agricoltura di sussistenza, che non riesce a soddisfare i consumi interni e che impegna una buona parte della manodopera disponibile, si scontra con gli indici di performance del settore dell’allevamento, creando una condizione di ostilità continua e perdurante fra comunità sedentarie e contadine e quelle itineranti pastorali. Entrambi i settori produttivi, gravemente compromessi e debilitati, spostano la bilancia commerciale del paese in netto passivo, sfociando in un debito estero altissimo e in un’impennata generale nei tassi di criminalità e di traffico illecito di armi e merci.

3. Un paese dalle complesse statistiche sociali
La persistente precarietà governativa che affligge la Somalia rende molto complessa la produzione di statistiche precise. Gran parte delle cifre rappresentate dai grafici della Banca mondiale (WB) fanno riferimento all’anno 2019, quindi a delle osservazioni non completamente aggiornate. Per quanto riguarda i dati sociali, in linea di massima, la Somalia presenta degli indici di natalità molto elevati (42‰) rispetto alle controparti mondiali, definiti con il termine di “stati falliti”, come l’Afghanistan (40‰), la Libia (18‰) e la Repubblica Araba di Siria (23‰). Un fattore molto positivo se si tiene conto delle condizioni ambientali e strutturali del paese. Tuttavia, se si comparano i tassi di mortalità infantile, la nazione supera di misura le concorrenti con una cifra complessiva del 74‰ e con una generale aspettativa di vita inferiore ai 50 anni. Come si può facilmente intuire, sono cifre significative di un livello di sviluppo socioeconomico molto basso e di condizioni di vita estremamente difficili e ai limiti della sopravvivenza.
A queste considerazioni puramente materiali e numeriche, si collega il discorso relativo allo sfollamento massiccio dell’entroterra, che si esemplifica in due principali corsi d’azione intrapresi dalle comunità rurali. Il primo è relativo all’enorme esodo di gruppi e collettività che si insediano lungo i fiumi o nelle località dove è più facile reperire acqua potabile, cioè nelle vallate meridionali e sugli altopiani settentrionali. Il secondo corso d’azione, nonché il condiviso visto l’incedere violento delle negatività climatiche, si sostanzia nell’aumento complessivo del tasso di urbanizzazione pari al 46,14%, secondo le stime di World Bank. Un valore che dal 2010 a oggi incrementa del 1% allo scadere di ogni anno. Si può evincere dunque, che nell'ultimo decennio la rapida desertificazione del Sahel sta spopolando interi territori oramai non più arabili fino alle sponde più remote della Somalia. Il cambiamento climatico, dunque, si può dire che alimenti la tensione in Somalia in tre modi: esacerbando le tensioni tra i clan, ingrossando le fila dei gruppi terroristici procurando nuovi affiliati e ingrossando i tassi di migrazione coatta di intere comunità.
4. La fragile scacchiera dei signori della guerra
Dal 1991 a oggi si contano almeno diciotto gruppi rivoluzionari o nazionalisti armati che detenevano e detengono tuttora una forma di controllo territoriale lungo il perimetro politico della Somalia. Un numero impressionante, soprattutto se si esclude il conteggio di organizzazioni armate come i gruppi di matrice terroristica religiosa che proliferano nelle aree più inaccessibili del paese. Mentre al-Shabaab detiene il controllo di una sostanziosa parte del territorio del paese, gli anziani dei clan, reduci da anni di veterana resistenza contro ogni forma di autorità governativa nazionale o internazionale, esercitano ancora un potere considerevole, dominando di fatto il sistema politico e decisionale del paese. La Somalia è una nazione generalmente arida e semi-arida caratterizzata da due soli stagioni di pioggia. Come riportato dal Climate Change Knowledge Portal (CCKP) della Banca mondiale (WB), la temperatura media annuale ruota essenzialmente attorno ai 30°С.
Le precipitazioni sono generalmente scarse e si presentano sotto forma di rovesci o piogge torrenziali localizzate, soggette a un'elevata variabilità spaziale e temporale, alternando casi di alluvione e “bombe d’acqua” a periodi di siccità estrema. Essendo la spartizione territoriale delle risorse agrarie e pastorali la ragione primaria di competizione fra clan e signori della guerra, le gravi siccità o alluvioni che causano interruzioni nell'accesso all'acqua, alti tassi di malnutrizione, epidemie e insicurezza alimentare conducono inevitabilmente a un picco di tensioni fra gruppi armati. In un paese come la Somalia che affronta tali sfide, con condizioni ambientali inadeguate, risorse come cibo e acqua non sono solo un bene fondamentale di sussistenza, ma soprattutto un’inesauribile fonte di potere.
5. Il cambiamento climatico al servizio di al-Shabaab
Sempre secondo Statista, nel 2020 il tasso di disoccupazione in Somalia ha raggiunto valori pari al 13,1% mentre quello giovanile al 19,8%. Le poche prospettive lavorative unite all’insicurezza alimentare derivata da una coltivazione sempre più ridotta delle terre spingono numerosi minorenni e giovani adulti a ingrossare le fila del principale gruppo di matrice islamista dell’area, ovvero al-Shabaab. Queste scelte personali, motivate per lo più da ragioni di puro istinto di autoconservazione, non sembrano cozzare con il messaggio fondamentalista e belligerante di al-Shabaab, anzi, il malessere generazionale di molti disoccupati avvalora le già presenti ostilità del gruppo, amplificando a dismisura il fenomeno dell’indottrinamento ideologico come unica via verso la stabilità individuale e collettiva. Nelle località più remote si registrano casi e testimonianze in cui le comunità minoritarie sono state bersaglio di saccheggi e violenze promosse e deliberate dalle milizie armate di al-Shabaab, che hanno assediato ed estorto bestiame e riserve alimentari. Le persone colpite, dunque, diventano non solo suscettibili a programmi di reclutamento coatto o semi-coatto che promettono di alleviare la povertà e appianare le differenze economiche, ma anche preziose risorse umane sulle quali trarre il maggior vantaggio in termini di approvvigionamento e sostentamento materiale.

6. Migrazione di massa e crisi umanitaria
Sospesi fra il deperimento per fame e per violenza, per molte comunità l’abbandono delle proprie terre resta l’unica opzione di sopravvivenza. Secondo il Global Camp Management and Camp Coordination (CCCM) Cluster si stima che almeno 2,9 milioni di persone siano attualmente sfollate in Somalia. La maggior parte si è auto-stabilita in oltre 2.400 siti IDP (sigla internazionale che sta per Internal Displaced Person, termine tecnico per indicare gli sfollati) in aree urbane e periurbane in tutto il paese. Il più grande di questi, nonché il più numeroso ed esteso in tutto il continente africano, è composto da circa 300.000 rifugiati somali e sito presso Dadaab, nel vicino Kenya. Per integrare i numeri con analisi geografiche relative alla sicurezza alimentare, qui sotto viene riportata una rappresentazione grafica del Integrated Food Security Phase Classification (IPC), uno strumento analitico utilizzato per migliorare l'analisi e il processo decisionale circa i fenomeni di sicurezza alimentare diffusi nel mondo. I colori riportati in legenda determinano una scala di gravità e incidenza geografica che parte da un rischio minimo di insicurezza alimentare (tonalità grigia opaca) a carestia (rosso intenso). Come si può notare, le zone a rischio, nell’arco di soli sei mesi, si sono ingigantite a dismisura, colpendo non solo le aree rurali, ma anche i centri profughi (le piccole capanne) e i centri urbani (i cerchi bucati).


Figura 2 - Gennaio- Marzo 2021 Figura 4 - Aprile - Giugno 2021
7. Conclusione
Sebbene il cambiamento climatico perpetui e detti il ritmo nell’esercizio della violenza in tutta la Somalia, esso ha finora ricevuto poca attenzione mediatica e decisionale se paragonato agli sforzi spesi per contenere il terrorismo e promuovere riforme nel settore della sicurezza. Gli sforzi congiunti delle potenze regionali e delle organizzazioni internazionali si sono concentrati esclusivamente sull’aspetto a breve termine del problema, senza avviare processi di sostenibilità ad ampio respiro e futura implementazione. L'influenza dell'attività umana sul sistema climatico porta con sé dirette e indirette conseguenze ambientali che generano o aggravano condizioni sociali instabili e insicure.
Secondo gli osservatori internazionali, il governo federale somalo e gli stati federali in questione dovrebbero integrare i rischi climatici nella loro pianificazione della sicurezza, migliorando di fatto la loro capacità di prevenire picchi di violenza sistemica ed episodi prolungati di insostenibilità sociale. Tuttavia, per concretizzare policies così complesse e dispendiose si necessita di una forte struttura amministrativa e decisionale tale da ottimizzare ogni sua implementazione e passaggio. Fattore di cui la Somalia è sprovvisto ormai da tempo.
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