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Allargamento dei Balcani in Europa. A che punto siamo?

Aggiornamento: 4 mar 2022

L’apertura del nuovo decennio potrebbe essere ricordata all’insegna di un importante cambiamento dei membri dell’UE. Se da un lato, il Regno Unito è uscito dal progetto europeo, dall’altro non mancano numerose richieste di adesione, specialmente da parte dei paesi dei Balcani occidentali. In questa analisi si cercherà di individuare a che punto si trova l’iter di adesione nell’UE di Montenegro, Serbia, Macedonia del nord, Albania, Bosnia-Erzegovina e Kosovo. Da questo elaborato sarà tralasciato lo sviluppo storico nelle relazioni tra Europa e questi paesi e, soprattutto, il ruolo importante che ricopre l’Italia quale partner strategico tra le parti, temi trattati in maniera più approfondita da Alessandro Galbarini nella sua recente analisi “La questione balcanica nel processo di allargamento dell’Unione Europea” sempre per AMIStaDeS. Inoltre, per maggiori approfondimenti su questo argomento, raccomando la visione del II Incontro Geopolitico delle Nazioni dell’area tra i Tre Mari: Baltico, Nero, Adriatico tenutosi a Roma lo scorso 20 novembre organizzato da Scelgo Europa in collaborazione con AMIStaDes.


1. L’inverno demografico è alle porte?

Infografia di Ewelina Karpowiak/Klawe Rzeczy per BIRN

Uno dei problemi che dovrà affrontare la regione è stato individuato da Tim Judah[1], nel suo recente contributo per l’ISPI, riguardo alla contrazione della popolazione dei paesi balcanici. Secondo i dati attuali proposti da diversi istituti e organizzazioni (quali United Nations, World Bank e Kosovo Agency of Statistics) entro il 2050, la regione vedrà una forte decrescita che colpirà sia paesi già membri dell’UE come la Bulgaria (-39%) e Romania (-30%) ma anche paesi che aspirano a aderirvi come Serbia (-24%) e Bosnia-Erzegovina (-39%). Tra le principali cause di questo spopolamento, Judah individua una generica mancanza di fiducia nel futuro, dovuto a fenomeni di corruzione del sistema giudiziario, ma anche dalla facilità ed economicità dello spostamento nei paesi europei. Capitolo a parte merita il discorso sul lavoro, il quale seppur presente è spesso a condizioni contrattuali sfavorevoli rispetto ad altri paesi. Il caso più emblematico riguarda l’assistenza sanitaria, dove ogni anno migliaia di medici e infermieri emigrano verso i Paesi dell’Unione europea.


Le ragioni principali riguardano la mancanza di professionalità sul posto di lavoro, le cattive condizioni o scarsità di stipendi. Questo fenomeno comporta da una parte, una diminuzione della qualità e il rischio di collasso dei sistemi sanitari nei paesi di partenza, dall’altra tale emigrazione è incoraggiata dalla forte richiesta di queste professioni in paesi quali la Germania, di cui è stimato che entro il 2060 il fabbisogno tedesco di operatori sanitari aumenterà dai quasi 3 milioni attuali ai 4,5 milioni[2].


2. I Balcani: il punto della situazione


I sei paesi possono essere suddivisi, in un’ottica prettamente analitica, in base al punto in cui si trovano nell’iter di adesione. Tale adesione infatti è subordinata ad un lungo processo[3]che inizia con la presentazione della domanda al Consiglio dell’UE che rispetti i c.d. “criteri di Copenaghen”[4]. Successivamente la domanda viene sottoposta all’attenzione del Parlamento europeo e Commissione, i quali devono esprimere il loro parere favorevole sul riconoscimento dello status di candidato”. Di seguito, il Consiglio dell’UE si pronuncia all’unanimità sull’apertura dei negoziati con il paese richiedente. Nella fase dei negoziati vengono svolte conferenze intergovernative per le singole aree tematiche e ruolo fondamentale è svolto dalla Commissione, quale supporto ai paesi candidati. La fase di negoziazione si conclude con la preparazione di un trattato di adesione tra la Commissione e paese candidato, che richiede l’approvazione all’unanimità del Consiglio dell’UE, l’approvazione del Parlamento europeo e la ratifica da parte delle istituzioni comunitarie e dei singoli parlamenti dei paesi membri e candidati.


2.1. Paesi che hanno avviato i negoziati di adesione: Montenegro e Serbia


Il Montenegro ha presentato la domanda di adesione nel dicembre del 2008, due anni dopo è stato riconosciuto lo status di candidato e nel giugno del 2012 sono stati avviati i negoziati di adesione. Ad oggi su un totale di 35 capitoli di negoziato, 32 sono stati aperti ai negoziati, di cui 3 sono già stati provvisoriamente chiusi. In un report del 2019[5]vengono evidenziati importanti sviluppi in settori quale l’amministrazione statale e il sistema giudiziario, specialmente nella lotta alla corruzione anche se risulta ancora presente in molte aree. La Serbia ha presentato la domanda di adesione nel dicembre del 2009, nel 2012 ha ottenuto lo status di paese candidato e nel 2014 sono stati avviati i negoziati di adesione. Su un totale di 35 capitoli di negoziato, 17 sono stati aperti di cui 2 sono stati chiusi provvisoriamente. Il problema principale indicato dal report[6] dello scorso anno riguarda la mancanza di progressi sulla libertà di espressione, e normalizzazione delle relazioni con il Kosovo, considerato requisito prioritario al fine di concludere in negoziati. Per entrambi i paesi, la Commissione Juncker[7]nel 2018 ha affermato che potrebbero entrare a far parte dell’Unione europea nel 2025.


2.2. Paesi candidati: Macedonia del nord e Albania


La Macedonia del nord ha presentato la domanda di adesione nel 2004 e il Consiglio europeo ha concesso lo status di paese candidato nel 2005. Da allora sono state diverse le riforme[8]portate avanti dal governo di Skopje in settori chiave come la magistratura, lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata, la riforma dei servizi di intelligence e la pubblica amministrazione. Ulteriore passo in avanti sono stati registrati a seguito degli accordi di Prespa che ha visto risolversi la disputa legata al nome dell’ex Repubblica di Macedonia con la Grecia. L’Albania ha presentato la domanda di adesione nel 2009 e dal 2014 ha ottenuto lo status di paese candidato. Tirana ha avviato una importante stagione di riforme[9] in tema di giustizia, repressione del crimine organizzato e del traffico di droga. Nonostante questi sforzi l’iter per questi due paesi si è arrestato a seguito del veto francese nello scorso Consiglio europeo di ottobre.


2.3. Paesi potenziali candidati: Bosnia-Erzegovina e Kosovo


La Bosnia-Erzegovina ha presentato la domanda di adesione nel 2016. Nel report[10] del 2019 la Commissione ritiene che i negoziati di adesione con il governo di Sarajevo si possano avviare una volta che quest’ultimo abbia raggiunto una particolare stabilità istituzionale al fine di garantire il rispetto di una serie di priorità dettagliate in materia di democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e una profonda riforma della pubblica amministrazione. Il dossier del Kosovo è uno dei più delicati. Attualmente è riconosciuto come stato da 23 dei 28 membri dell’UE[11] e due paesi candidati (Serbia e Bosnia-Erzegovina) non hanno riconosciuto la sua indipendenza. Come già accennato, la normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo è elemento cardine per il proseguimento nell’iter di adesione per entrambe. A seguito dell’accordo tra Belgrado e Pristina, il Consiglio europeo ha avviato i negoziati relativi all’Accordo di stabilizzazione e associazione, entrato in vigore nel 2016.


3. Prospettive future e scenario internazionale


Attualmente il progetto di allargamento ai Balcani si è temporaneamente arrestato. Nel Consiglio europeo dello scorso ottobre, dove vi era in programma la discussione sull’apertura dei negoziati per l’adesione all’UE di Albania e Macedonia del nord, la decisione è stata ulteriormente rimandata alla primavera di quest’anno, prima del vertice UE-Balcani occidentali che si terrà a Zagabria a maggio. Fondamentali sono stati i voti sfavorevoli di Francia, Danimarca e Paesi bassi, quest’ultimi riguardanti solo l’adesione dell’Albania. Il presidente francese Emmanuel Macron ha motivato la sua decisione ribadendo la necessità di riformare il sistema di allargamento dell’Unione europea prima di ulteriori ingressi. La proposta francese, presentata lo scorso novembre, si articolerebbe in sette step che gradualmente vadano a integrare il paese candidato nella struttura europea, iniziando dai diritti fondamentali propri di uno Stato di diritto fino ad arrivare ad una integrazione economica e nel mercato unico. Una soluzione alternativa viene presentata da Milena Lazarevic e Sena Marić[12], la quale prevederebbe una tabella di marcia per l'adesione graduale all'UE, che includa un meccanismo di ricompense e sanzioni al fine di adattare ai cicli politici a breve termine nella regione. Come proposto dal Centro politico europeo - CEP, l'adesione graduale sarebbe possibile firmando trattati su misura di adesione, che specificherebbero condizioni e pietre miliari per ogni fase dell'adesione.


Tuttavia, la neopresidente della Commissione Ursula Von der Leyen si è espressa favorevolmente all’apertura dei negoziati di adesione per Macedonia del Nord e Albania dichiarando[13] che: “la porta è aperta e i negoziati di adesione devono iniziare. Abbiamo chiesto tanto a questi due Paesi e tanto hanno fatto per rispettare i criteri di adesione e non dovremmo cambiare le regole del gioco solo per loro”. Nonostante questa battuta d’arresto, il presidente serbo Aleksandar Vučić, il primo ministro albanese Edi Rama e quello macedone Zoran Zaev hanno firmato una dichiarazione d’intenti per la creazione di una “mini-Schengen”[14] tra i paesi dell’area balcanica che non siano già membri dell’Unione europea, al fine di garantire uno spazio di libera circolazione di merci, persone, capitali e servizi. All’ultimo West Balkans Summit del dicembre scorso tenutosi a Tirana, questo messaggio è stato ribadito ulteriormente e ha visto la partecipazione del presidente del Montenegro Milo Djukanovic, mentre il presidente del Kosovo Hashim Thaçi ha rifiutato l’invito a causa degli attriti con Serbia e Bosnia-Erzegovina per il mancato riconoscimento dello stato kosovaro. Elemento da non sottovalutare e che potrebbe incidere nel tener alta l’attenzione sulla questione “balcanica”, è la presidenza croata del Consiglio UE.


Il premier della Croazia Andrej Plenkovic, durante il Forum economico mondiale di Davos di questo mese, ha affermato che "se qualche altro paese presiedesse attualmente al Consiglio europeo, dubito che il tema del sudest europeo sarebbe prioritario, visto che abbiamo la conclusione di Brexit, i rapporti con il Regno Unito, il bilancio settennale, la conferenza sul futuro dell'Ue e il grande pacchetto verde". A fargli eco sono le recenti dichiarazioni del premier bulgaro Bojko Borisov, sempre in occasione del forum di Davos, nel quale ha ribadito la convinzione che “senza l’adesione dei Balcani occidentali nell’UE, il piano europeo risulterà essere incompleto”.


Nello scenario internazionale le vicende di queste regioni vengono osservate attentamente da diversi attori internazionali. La Turchia[15] vuole proporsi quale “difensore” dei musulmani sunniti che vivono all’interno del triangolo Istanbul-Vienna-Berlino. La Russia[16] vede i Balcani quale ultimo baluardo di resistenza anti-Nato cercando di presentarsi nella vesta di potenza alternativa e specialmente quale protettrice dei valori delle popolazioni slave e ortodosse di fronte alla corruzione dei valori morali occidentali. La Cina guarda ai Balcani attraverso un’ottica prettamente geoeconomica. Pechino è stata propositrice dell’iniziativa “17+1”[17], che se da un lato non comporta un ritorno economico in senso stretto da un mercato estremamente frammentato ed esiguo, quale essere quello balcanico, dall’altra le garantisce un accrescimento d’immagine internazionale assicurata dalla presenza sui mercati europei e dall’appoggio di paesi esterni in questioni di politica interna[18].

Il premier Rama (Albania) e i presidenti Vučić (Serbia) e Zaev (Macedonia del nord), fautori del progetto “mini Schengen” dei Balcani.

4. Conclusioni


L’allargamento dell’Unione europea verso il fronte dei Balcani, nonostante diverse difficoltà da un punto di vista procedurale e di politica interna di stati membri, rimane uno degli obiettivi principali della nuova Commissione Von der Leyen. Al riguardo ne è testimonianza le dichiarazioni di Oliver Varhelyi, commissario per l’allargamento, alla vigilia del suo viaggio del 15-16 gennaio in Macedonia del nord e Albania: “Con la mia prima missione nei Balcani occidentali, voglio inviare un forte segnale che per la Commissione Ue e per me personalmente la prospettiva europea della regione è una priorità". Tale volontà è stata espressa anche in una lettera presentata da sette ministri degli esteri[19] all’allora presidente Jean-Claude Juncker nella quale veniva espressa l’importanza dei Balcani occidentali al consolidamento dell’Europa e che seppur necessaria una riforma sul processo di adesione, questa non debba essere di ostacolo alle trattative con Albania e Macedonia del nord. L’adesione di ulteriori paesi nel meccanismo europeo ha sicuramente il rischio di rendere ancora più macchinosa una struttura già fortemente criticata per sua rigida operatività, d’altro canto, non si può ignorare una regione che ha forti legami storici, culturali ed economici con il continente europeo. Su quest’ultimo aspetto, basti pensare al fatto che Montenegro e Kosovo abbiano adottato in maniera unilaterale l’euro quale moneta legale, nonostante non siano membri effettivi dell’UE.


Note


[1] Analista politico per “The Economist”. [2] Dato riportato da Alida Vracic nell’articolo “Time for policy change on western Balkans emigration” per Balkan Insight. [3] Ai sensi dell’art 49 TUE (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A12016M049) [4] Prendono il nome dal Consiglio europeo nel quale sono stati elaborati e aggiornati nel successivo Consiglio di Madrid del 1995. Tali criteri sono: la presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo stato di diritto, i diritti dell’uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela; l’esistenza di un’economia di mercato affidabile e la capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale all’interno dell’Unione; l’attitudine necessaria per accettare gli obblighi derivanti dall’adesione e, segnatamente, la capacità di attuare efficacemente le norme, le regole e le politiche che formano il corpo della legislazione dell’UE (l’«acquis»), nonché l’adesione agli obiettivi dell’unione politica, economica e monetaria. Per avviare i negoziati di adesione all’UE, un paese deve soddisfare il primo criterio. [5] Report sull’adesione del Montenegro nell’UE. [6] Report sull’adesione della Serbia nell’UE.  [7] All’interno della strategia denominata “Strategy for the Western Balkans” (https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/communication-credible-enlargement-perspective-western-balkans_en.pdf) [8] Report sull’adesione della Macedonia del nord nell’UE. [9] Report sull’adesione dell’Albania nell’UE. [10] Report sull’adesione della Bosnia-Erzegovina nell’UE. [11] Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia e Spagna non hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo [12] M. Lazarevic e S. Marić in “The EU and the Western Balkans: Time to Seize an Opportunity” presente nel dossier ISPI (The Balkans and the EU: A Neverending Story) [13] Dichiarazioni rilasciate nella recente visita in Croazia del 10 gennaio (https://it.euronews.com/2020/01/10/allargamento-ue-continuare-il-processo-di-adesione-con-macedonia-del-nord-e-albania) [14] Per ulteriori informazioni consultare “Lavori in corso per una Schengen balcanica” di Mario Rafaniello per Opinio Juris. [15] L. Gaiser – Limes, «Antieuropa, l’impero europeo dell’America», n.04/2019, p. 170-171. [16] Per approfondire la politica di Mosca nei Balcani consiglio la lettura di Sara Ferragamo “La Macedonia del Nord: dalle mire russe all'integrazione euro-atlantica" [17] Cooperation between China and Central and Eastern European Countries (China-CEE) è una iniziativa fondata nel 2012 dal Ministero degli affari esteri cinese al fine di promuovere le relazioni commerciali e di investimento tra la Cina e i 17 paesi dell’Europa centrale e orientale quali la: Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Grecia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Macedonia del nord, Montenegro, Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia e Slovenia. (http://www.china-ceec.org/eng/). [18] In particolare, l’appoggio della Serbia nelle questioni legate alla sovranità sul Tibet e su Taiwan. [19] Italia, Austria, Croazia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia e Slovacchia.

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